Le unioni civili approdano in Senato. E la destra cattolica promette battaglia di G.Petrucci

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n. 14/2015

L’accelerazione sulle unioni civili per le persone omosessuali, promessa nelle settimane scorse dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, sembra aver raggiunto un primo importante traguardo. Lo scorso 26 marzo, la Commissione Giustizia del Senato ha dato il via libera (14 a 8, un astenuto) al testo base firmato dalla senatrice Pd Monica Cirinnà sulla «disciplina delle unioni civili» che ora passerà all’esame di Palazzo Madama. L’approvazione, grazie al voto di Pd e Movimento 5 Stelle, ha incontrato il pollice verso di Lega, Ncd e Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi, in linea di massima favorevole ad un progetto di riconoscimento delle coppie omosessuali, ha depositato il 20 marzo alla Camera un testo alternativo, a nome della ex ministra alle Pari Opportunità Mara Carfagna, anch’esso contestatissimo dal mondo cattolico e tradizionalista – nonostante i propositi di salvare il “primato” del matrimonio e di escludere la possibilità d’adozione per i gay – perché giudicato comunque foriero di una sorta d’equiparazione di status tra unioni gay e matrimoni.

Il ddl Cirinnà disciplina le unioni civili e anche le semplici convivenze registrate dal notaio. I 19 articoli del testo, che definisce le unioni «famiglie» a tutti gli effetti, prevedono trascrizione automatica del matrimonio contratto all’estero, pensione di reversibilità, subentro nel contratto di locazione, assistenza sanitaria e carceraria, comunione o separazione dei beni, accesso a servizi come asili nido e case popolari, alimenti in caso di separazione. Ma sono le stepchild adoption (l’adozione del figlio biologico del partner, anche se nato all’estero tramite fecondazione eterologa o con la pratica della “gestazione per altri”) a far indignare più di ogni altra cosa i cattolici, anche all’interno del Pd. E il rischio che il ddl finisca nel pantano o venga depotenziato a suon di emendamenti è dietro l’angolo.

Per i vescovi non sono famiglie

Mentre il ddl Cirinnà si appresta ad affrontare il braccio di ferro parlamentare, i vescovi italiani promettono battaglia. «Una forzatura ideologica» che riduce «realtà oggettivamente diverse ad una», ha denunciato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, in chiusura dei lavori del Consiglio permanente Cei di primavera (v. Adista Notizie n. 13/15). La posizione dei vescovi italiani è ben nota: la famiglia, che va sostenuta e incentivata dalle istituzioni, è “solo” quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna. «Non è opportuno chiamare con lo stesso nome realtà oggettivamente diverse», ha poi aggiunto Galantino chiamando alla mobilitazione: «Si tratta di lavorare perché questa proposta non vada avanti». «Non si può andare avanti solo in base alla pressione delle lobby», ha poi concluso; «occorre sentire cosa dice la gente. Altrimenti ci sarà un momento in cui le famiglie con un padre, una madre e dei figli dovranno chiedere scusa di esistere».

Stampa cattolica all’attacco

Il quotidiano dei vescovi Avvenire, nei giorni successivi al voto, ha dato ampio risalto al tema, con titoli e toni a dir poco allarmanti. Il 27 marzo, ad esempio, parla di «contraddizioni giuridiche e di incongruenze antropologiche» del testo di legge. Tra le «notizie cattive», poi, le adozioni interne alla coppia del figlio di uno dei due partner, che avrà, sentenzia Avvenire, un «esito programmaticamente tragico per la sua crescita equilibrata». «Una forzatura spaccatutto», conclude il quotidiano, «un gioco di prestigio confuso e confusionario, davvero ad alto rischio. Per il futuro di tutti».

Le unioni civili concepite da questo ddl sono equivalenti a matrimoni, afferma Mario Adinolfi, annunciando una «opposizione durissima e senza quartiere» (La Croce, 27/3). Nel suo articolo, dall’eloquente titolo “Cosa bisogna fare per fermare il ddl Cirinnà”, Adinolfi descrive il testo come «una legge vergognosa», «che consentirebbe di trasformare il falso in vero», «foriera di conseguenze infernali». Anche il direttore del quotidiano lancia un appello: «Innanzitutto sarà bene inondare il testo base di emendamenti». Poi occorrerà avviare una campagna di pressione sui senatori: «Scrivete email ai parlamentari», «parlatene anche attraverso la stampa, la radio, le televisioni locali, ne parlino i settimanali diocesani e se ne parli nelle parrocchie». «Non accetteremo di essere zittiti con la solita sbrigativa formula: “Omofobi”». Infine, qualora la «minaccia» sarà realmente incombente, conclude, «i senatori cattolici, cristiani o semplicemente alimentati da onestà intellettuale e buona volontà, non potrebbero esimersi dall’aprire una crisi di governo».

Nell’ambito delle testate dall’indubbio posizionamento, segnaliamo l’editoriale del direttore de La nuova Bussola Quotidiana, Riccardo Cascioli, secondo cui questo voto «indica un’accelerazione nell’attacco alla famiglia nel nostro Paese». Dopo aver attribuito la crisi economica all’attacco alla famiglia, Cascioli sottolinea che «ciò di cui stiamo parlando non è certo un problema tipicamente italiano: l’attacco alla famiglia (e alla vita) è globale, è la principale guerra che oggi si combatte nel mondo».

Movimenti in movimento

Puntuale, e puntualmente indignato, il commento del Forum delle associazioni familiari, giunto all’indomani del voto: «Dietro il falso obiettivo del riconoscimento delle unioni civili si vuole introdurre il matrimonio omosessuale». Sulla stessa lunghezza d’onda di Galantino, il Forum ritiene che, «con l’approvazione di un testo come quello in esame, ci troveremmo ad avere due matrimoni paralleli, uguali per la legge ma diversi per la natura». «Ci auguriamo – conclude il Forum – che le esigenze della politica non abbiano il sopravvento e facciano diventare possibile l’impossibile, lecito l’illecito e perfino costituzionale l’incostituzionale».

Contro il ddl si è schierato il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl), Carlo Costalli, in un intervento del 27 marzo su formiche.net. «Si vogliono equiparare le unioni gay al matrimonio, consentendo anche di accedere a meccanismi di filiazione innaturale, legittimando il ricorso all’utero in affitto», scrive Costalli. «L’opposizione a questa ulteriore forzatura operata da una lobby faziosa che vorrebbe minare la nostra società scardinandone i valori fondamentali», conclude, «deve essere durissima e intransigente».

Pesante il commento della “Manif pour Tous Italia”, ramificazione nostrana del movimento nato in Francia per contrastare la legge sul “matrimonio per tutti”. Secondo il portavoce Filippo Savarese, intervenuto in conferenza stampa in Senato lo scorso 26 marzo, «l’esperienza internazionale certifica che le unioni civili sono solo il primo passo nella direzione della rottamazione del matrimonio, per ridefinire ideologicamente la realtà della famiglia e sradicare le figure del padre e della madre».

È infine del 27 marzo il comunicato stampa delle “Sentinelle in piedi”, movimento anch’esso importato da Oltralpe (“Veiller Debout”), che in Italia manifesta contro il ddl antiomofobia di Ivan Scalfarotto e, oggi, anche contro il ddl Cirinnà. «In piedi diciamo no a un testo che vuole distruggere il matrimonio naturale, unica cellula su cui si possa fondare la società». «Ci troviamo oggi di fronte ad una sfida epocale», si legge. «Attraverso il sistema mediatico stiamo assistendo a una mistificazione dell’identità umana, ridotta a un istinto, ad una pulsione sessuale. Tutto ciò – si insiste – avviene attraverso la manipolazione sistematica del linguaggio che ci bombarda senza tregua attraverso i mass media e grazie alla complicità colpevole di chi ha gli occhi chiusi e la coscienza spenta, di chi pensa che opporsi sia inutile o di chi, per quieto vivere, sceglie di allinearsi al pensiero dominante».

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Unioni civili: opportunità e punti deboli

Franco Monaco
Adista n. 15 del 25/04/2015

È stato depositato il testo base di una proposta di legge che disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Un traguardo di civiltà. Un dovere da parte di un legislatore troppo a lungo e colpevolmente inadempiente.

Come dimenticare le infuocate polemiche e le tenaci resistenze che affossarono i cosiddetti “Dico”, al tempo del secondo governo Prodi? Un istituto, i Dico, francamente esile e minimalista, che si limitava a riconoscere taluni circoscritti diritti in capo ai partner in quanto singoli e che invece quasi ignorava il valore del patto tra i due, sotto la pressione di chi paventava un’assimilazione di quell’istituto al matrimonio. Mentre proprio l’impegno a stringere un rapporto stabile – che contempla la responsabilizzazione dei partner tra loro e verso la società – oggettivamente giova alla coesione sociale ed è dunque un valore che rileva e merita apprezzamento e tutela da parte del legislatore dentro la trama di rapporti sociali precari e frammentari. Eppure allora si scatenarono pervicaci resistenze. Si pensi al Family day, con la massiccia e organica mobilitazione della Chiesa italiana sotto la regia del card. Ruini, cui parteciparono anche politici di centrosinistra, compreso il giovane Matteo Renzi, con in prima fila i cosiddetti Teodem della Margherita rutelliana. Sembra trascorso un secolo.

Decisiva la novità rappresentata da papa Francesco. Egli, pur senza recedere dai principi etici, di sicuro interpreta una Chiesa più consapevole della complessità delle situazioni e comunque più rispettosa dell’autonomia della comunità politica e del legislatore. Compresi i legislatori cattolici, che, al tempo dei Dico, furono oggetto di fortissime pressioni. Fu prospettata loro persino la minaccia di misure disciplinari di natura ecclesiastica.

Non è una buona ragione per dismettere un’attenzione critica. Semmai il contrario: ora spetta ai legislatori cattolici esercitare in proprio discernimento e responsabilità. Curiosamente invece politici che allora si misero di traverso invocando incomprimibili ragioni di coscienza oggi sono silenti ed inerti. Mi spiego. Fermo restando l’impegno a portare finalmente a casa il risultato di una buona disciplina legislativa delle unioni civili (anche per mettere fine a iniziative le più disparate e fantasiose da parte delle amministrazioni locali), non si deve dismettere un approccio esigente alla questione. Con questo spirito, segnalo tre caveat.

Il primo: meglio sarebbe applicarsi a una più generale disciplina delle unioni civili sia etero che omosessuali. Anche per non accreditare l’idea di una priorità in agenda di cui non si vede ragione, quasi una discriminazione alla rovescia. Conosco l’obiezione: le coppie eterosessuali già dispongono del matrimonio. Osservo sommessamente che questo è esattamente l’argomento di chi si oppone in radice a ogni forma di riconoscimento giuridico delle unioni tutte.

Il secondo caveat: si deve tenere fermo il “favor familiae” in coerenza con l’articolo 29 della Costituzione, e dunque le unioni civili non devono essere equiparate a tutti gli effetti al matrimonio. Un cedimento in tal senso si riscontra nel suddetto testo base al Senato, laddove, più volte lungo l’articolato, si prescrive di affiancare al matrimonio le unioni civili dentro la legislazione vigente.

Il terzo: la delicatissima questione delle adozioni da parte di coppie gay. In via generale, è mia convinzione che si possa e si debba essere liberali nel disciplinare il rapporto tra i partner in quanto adulti e liberi, ma che, quando entrano in gioco i minori, il legislatore debba essere sommamente cauto e garantista. Per esempio sono state manifestate due preoccupazioni circa le unioni omosessuali: 1) merita chiedersi se non sia un problema la prospettiva di un minore con due padri o due madri connessa alla possibilità di adozione di figli naturali nati da una relazione precedente a quella omosessuale (l’alternativa potrebbe essere l’affidamento da trasformare in adozione solo come scelta del figlio al compimento della maggiore età); 2) non è peregrina l’obiezione di chi paventa che la coppia gay possa fare ricorso a pratiche di fecondazione assistita del tipo dell’utero in affitto. Soluzione vietata in Italia ma praticabile altrove, che ingenererebbe un cumulo di problemi etici e giuridici.

Infine, una preoccupazione che si appunta sul Partito Democratico, partito di maggioranza. Quella di un abbassamento della soglia critica sul tema originato non solo dalla letterale “scomparsa” di coloro che un tempo ostentavano problemi di coscienza, ma anche dall’impressione che, essendo svanite le antiche opposizioni interne ed esterne, i vertici del Pd offrano alla minoranza di sinistra un’apertura sui diritti civili come moneta di scambio per la compressione dei diritti sociali e del lavoro. Uno scambio asimmetrico che può fare breccia in una sinistra elitaria, libertaria e un po’ snob. Non in una sinistra cattolica in cui mi riconosco, che, nel caso di una soluzione legislativa non equilibrata, subirebbe un doppio smacco. Perché una certa visione individualistico-radicale dei diritti civili mal si concilia con il solidarismo, che è la cifra culturale che spiega la naturale affinità tra sensibilità cristiana e orientamento politico a sinistra.