Ma gli scout restano pacifisti di L.Coluccia

Luciano Coluccia
Adista n. 15 del 25/04/2015

L’Agesci ha recentemente stipulato un Protocollo di intesa con la Marina militare per organizzare insieme progetti di educazione ambientale rivolti ai giovani. Una parte del mondo scout ha contestato l’iniziativa, evidenziando la contraddizione fra l’educazione alla pace – uno dei principi fondamentali dell’Agesci – e la collaborazione con una Forza armata. Ma la presidenza dell’Agesci ha confermato la scelta e rivendicato la bontà della decisione. Adista ha dato ampia informazione su questa vicenda (v. Adista Notizie nn. 9, 11 e 12/15). Per proseguire il dibattito, pubblichiamo ora l’articolo di Luciano Coluccia, un capo scout, attivamente impegnato nell’Agesci (che in passato ha già scritto sulla nostra testata, v. Adista Segni Nuovi n. 33/14), che invece esprime un parere favorevole all’accordo.

Cosa fa pensare che un nonviolento smetta di esserlo solo se incontra sulla sua strada un militare (per un breve tratto e per di più su delle attività specifiche)? Eppure questa sembra essere una delle preoccupazioni di alcuni capi scout, promotori della Lettera ai presidenti dell’Agesci che hanno appena sottoscritto un Accordo di collaborazione con la Marina militare.

Anche io sono capo scout, con un passato di attivista nonviolento nel movimento per la pace, ma non ho firmato l’appello perché affermazioni che definiscono come «controversa dal punto di vista educativo la scelta di firmare un Accordo di collaborazione con una Forza armata, impegnata in azioni di guerra anche offensiva» non mi trovano d’accordo. Ci sono molti modi per testimoniare e vivere il proprio amore per la pace e la nonviolenza: uno dogmatico, quello «senza se e senza ma»; uno militante, che ha bisogno di un nemico permanente; e uno più “concreto” (Alex Langer ne fu il testimone migliore).

La collaborazione con la Marina militare si traduce nella possibilità di utilizzare alcune strutture, strumenti e competenze che non vanno ad intaccare la proposta educativa del capo scout che vorrà proporre tali attività insieme alla Marina. Imparare ad utilizzare una cartina nautica, sperimentare un’attività nautica a bordo di un vascello o brigantino, pensare un’attività con il supporto di una Capitaneria per un’attività in difesa dell’ambiente non prepara alla guerra, né arruola futuri soldati. Anche se bisognerà vigilare che queste attività non si configurino come un tentativo di reclutamento mascherato. Il pacifismo militante o ideologico, che tiene molto alla sua “purezza”, omette o non conosce che si può collaborare con una Forza armata, se inserita dentro una cornice di collaborazione e rispetto.

Faccio un esempio che mi è molto caro: i Corpi civili di pace sognati da Alex Langer, persone che scelgono di intervenire in modo pacifico nelle aree di conflitto. Bene. A suo tempo, alcuni di loro sono stati formati in modo professionale dall’Esercito italiano. Due realtà che, volendo assumere il punto di vista radicale, hanno visioni e finalità opposte, ma che hanno collaborato affinché gli operatori di pace potessero gestire situazioni di conflitto e a rischio in modo professionale. Entrambi hanno simulato mediazioni ai check point, attacchi ai convogli umanitari e beneficiato di materiale e tecnologia militare: strumentazione gps, giubbotti antiproiettili, bussole, altimetri. Materiali che allo stesso modo gli scout possono utilizzare se intendono svolgere attività nautiche.

Il mio disaccordo con l’appello riguarda una preoccupazione verso i proclami che non tengono conto delle complessità e delle novità di questi tempi: cosa significa essere operatori di pace oggi? Cosa è più nonviolento oggi: salvare quante più vite umane dai flutti sebbene in divisa, oppure far sbiadire le bandiere arcobaleno alle finestre? Una cultura della pace forse oggi significa anche sforzarsi di trovare punti di condivisione senza temere di venire meno al proprio impegno contro la guerra. Non penso che i nemici, o meglio gli avversari, siano da cercare nelle Forze armate, soprattutto se queste giurano fedeltà ad uno Stato democratico, quanto piuttosto nell’uso della forza che uccide, annienta e commette ingiustizie.

Come capo scout penso che non sarà un accordo su questioni limitate e molto specifiche, inerenti alcune attività, a far venire meno la mia testimonianza e il mio operare per la pace. Non solo, ma educare alla pace e al contempo formare dei buoni cittadini di uno Stato la cui Costituzione prevede che «l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica» significa che i miei sentimenti pacifisti si devono sforzare di superare quella che può essere sentita come una contraddizione: contaminandosi appunto e persuadendo alla bontà dell’opzione nonviolenta. Certo non isolando e separando, ma incontrando e dialogando.

Il mio timore è che alla base di questo disagio ci sia l’idea che alcune parti dello Stato siano avvertite come un corpo estraneo che opera al di fuori di regole che condividiamo come cittadini democratici; che gli eccessi e le nefandezze, gli errori e le tragedie, che pure sono successe, siano la norma; la conseguenza di questo approccio è una sfiducia nella democrazia perché incapace di correggerle e limitarle.

Seguire fino in fondo l’opinione espressa nella lettera, per cui l’intento educativo di noi capi scout è in contrasto con la collaborazione con i militari, significa porsi nel solco di un pensiero nonviolento scolpito nel tempo e quindi immutabile. Come capo scout ho aderito al Patto associativo (la “costituzione” dell’Agesci), un documento in cui m’impegno «a formare cittadini del mondo ed operatori di pace, in spirito di evangelica nonviolenza», e quindi secondo i “precetti” gandhiani di nonviolenza, nonmenzogna e noncollaborazione. Come mi pongo in tutti quei casi in cui scout e Forze armate hanno lavorato insieme, aiutando le popolazioni colpite da alluvioni e terremoti? E che fare di tutte le volte che noi scout e Forze dell’ordine abbiamo collaborato insieme nelle scuole e nei quartieri per la difesa della legalità? Avremmo dovuto porre una separazione perché il loro uso della forza m’impone la non collaborazione con realtà che hanno finalità diverse e lontane da quella che svolgo?

Come capo scout cerco di educare i ragazzi affinché diventino buoni cittadini, perché possano migliorare questo mondo, testimoniando i valori dello scoutismo della solidarietà, della pace e della fratellanza, senza la paura che un’attività nautica con la Marina militare o un’arrampicata con gli Alpini tradisca la mia missione educativa. Non sarà un tratto di strada insieme a metterla a rischio, salvo pensare che non si è maturi e indipendenti, e francamente accetto con difficoltà un punto di vista che mi vede meno libero e meno responsabile e che un recinto di separazione salvaguardi da questo rischio.

Infine, come pacifista di vecchia data, guardo con sconforto ad un movimento che preferisce le caricature antimilitariste del secolo scorso alla complessità del tempo che ci tocca vivere; che non si domanda più quali proposte siano più efficaci nei diversi contesti e che rimanda ad un tempo lontano soluzioni doverose senza però affiancare azioni concrete per salvare quante più vittime dalla violenza o sostenere i più deboli.

Sento il bisogno di nuovi metodi e nuovi sguardi che facciano incontrare le persone di buona volontà chiunque esse siano; sento il bisogno di guardare più ai contenuti e ai buoni esempi, anche se lontani dai nostri ambienti; non mi convincono le grandi marce, i sit-in, le tecniche e i training; gli steccati di chi sente la forza superiore delle proprie idee; le rivendicazioni che separano. Come educatore e testimone non ho paura di “contaminarmi” con chi la pensa diversamente da me, ma cerco di essere lievito diffuso, pronto a sciogliermi e coagulare nei contesti più diversi piuttosto che rivendicare identità alternative che rassicurano, ma che non incidono.

* capo scout Agesci, è capo reparto con i ragazzi dai 12 ai 16 anni