Sinodo. I vescovi tedeschi mettono il carro davanti ai buoi di S.Magister

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/

A giudicare dall’ultimo prodotto della conferenza episcopale tedesca, il sinodo sulla famiglia in programma dal 4 al 25 ottobre potrebbe rivelarsi fatica sprecata. Il cardinale Reinhard Marx arcivescovo di Monaco e presidente della conferenza episcopale, l’aveva fatto capire lo scorso 25 febbraio con una battuta che ha fatto il giro del mondo:

“Non siamo una filiale di Roma. Ogni conferenza episcopale è responsabile della cura pastorale nel proprio contesto culturale e deve predicare il Vangelo nel proprio modo originale. Non possiamo aspettare che un sinodo ci dica come dobbiamo modellare qui la cura pastorale del matrimonio e della famiglia”.

Ma ora è la stessa conferenza episcopale di Germania a mettere nero su bianco il medesimo concetto, in quella che è la sua risposta ufficiale – dopo aver consultato il “popolo di Dio” – al questionario preparatorio diffuso da Roma in vista della prossima sessione del sinodo.

Arrivati alla domanda su “come promuovere l’individuazione di linee pastorali a livello di Chiese particolari”, ecco infatti cosa scrivono i vescovi tedeschi:

“Una parte delle risposte, rimandando a differenze sociali e culturali, approverebbe accordi regionali sulle direttive pastorali al livello delle Chiese particolari. Si potrebbe anche partire da processi di dialogo diocesani sul tema matrimonio e famiglia i cui risultati verrebbero poi discussi con altre Chiese particolari”.

La formulazione è un po’ contorta, ma i fatti parlano chiaro. In quasi tutte le diocesi della Germania già si danno l’assoluzione sacramentale e la comunione eucaristica ai divorziati risposati, come già aveva fatto intendere un precedente documento della conferenza episcopale tedesca, approvato il 24 giugno 2014 ed esibito fieramente a Roma nella sessione del sinodo sulla famiglia dello scorso ottobre:

Questo documento è leggibile integralmente nel sito web della conferenza episcopale di Germania non solo nella lingua originale tedesca, ma anche in italiano, in inglese, in francese e in spagnolo, a riprova della volontà di questo episcopato di dare lezione a tutto il mondo.

E lo stesso accorgimento multilingue è stato adottato per le risposte al questionario presinodale, rese pubbliche in questi giorni:

Qui di seguito è riprodotta la sezione del documento con le risposte sui punti più controversi: divorziati risposati, matrimoni misti, omosessuali.

I vescovi tedeschi non solo approvano che si diano l’assoluzione e la comunione ai divorziati risposati, ma anche auspicano che si benedicano in chiesa le seconde nozze civili, che si dia la comunione eucaristica anche ai coniugi non cattolici, che si riconosca la bontà dei rapporti omosessuali e delle unioni tra persone dello stesso sesso.

Scrivono che non intendono mettere minimamente in discussione la dottrina della Chiesa universale relativa al matrimonio e alla famiglia. Ma non spiegano come conciliare tale dottrina “cum Petro e sub Petro” con le pratiche pastorali da loro messe in atto in Germania.

A giudizio del cardinale Gerhard Müller, infatti, tale conciliazione è impossibile. Anzi, “l’idea che le conferenze episcopali siano un magistero oltre il Magistero, senza il papa e senza la comunione con tutti i vescovi, è un’idea profondamente anticattolica e che non rispetta la cattolicità della Chiesa”. Müller è tedesco, ma in Germania lo ritengono più “romano” che uno di loro, in quanto prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Un altro cardinale ritenuto più romano che tedesco è Paul Cordes, presidente emerito di Cor Unum. Anche lui ha criticato i vescovi suoi connazionali, per la loro pretesa di dare lezione al mondo pur essendo alla testa di una Chiesa in sfacelo, dove tanti preti non pregano né si confessano, due terzi dei fedeli non credono nella risurrezione di Gesù e solo il 16 per cento dei cattolici dicono di credere in un Dio che è persona, e non in una vaga entità:
__________

DALLE RISPOSTE DEI VESCOVI TEDESCHI AL QUESTIONARIO PRESINODALE

DIVORZIATI RISPOSATI

[Domanda n. 37: “Come rendere più accessibili e agili, possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità?”].

[Domanda n. 38: “La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente ‘la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti’. Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?”].

La domanda relativa alla pastorale per cattolici divorziati e risposati ha avuto risposta da tutti e per lo più anche molto dettagliatamente. Essa preoccupa molti fedeli anche oltre la cerchia di coloro che hanno alle spalle un matrimonio naufragato. Indubbiamente questa rimane una posizione chiave per la credibilità della Chiesa. L’attesa che il sinodo dei vescovi apra nuove strade in questo punto è molto elevata tra i fedeli. A questo proposito salta agli occhi che il popolo di Dio non esprime un invito indifferenziato ad avere misericordia, ma che argomenta con distinzioni teologiche.

Il fallimento di un matrimonio è un processo doloroso, accompagnato da sensi di colpa. I fedeli si aspettano che la Chiesa accompagni con sostegno e comprensione persone il cui matrimonio è fallito e non che le spinga ai margini della comunità. Dovrebbero piuttosto essere incoraggiate a collaborare attivamente nella comunità (cfr. “Familiaris consortio”, n. 84). Da questa prospettiva viene anche dibattuta la questione della possibilità dell’ammissione al sacramento della riconciliazione e alla comunione sacramentale di cattolici divorziati e risposati. I sacramenti vengono considerati innanzitutto un mezzo di salvezza: in essi Cristo viene in aiuto alle persone deboli e colpevoli. Per la gran parte dei cattolici l’esclusione dai sacramenti, soprattutto se è permanente, come nel caso dei divorziati risposati, è in contraddizione con la l oro convinzione che Dio perdoni ogni peccato, dia la possibilità di cambiare direzione e consenta un nuovo inizio.

Quanto all’ammissione ai sacramenti la maggior parte dei fedeli si aspetta soluzioni strutturali invece che eccezioni pastorali compiute di nascosto. Questa non sarebbe un’ammissione indifferenziata ai sacramenti, sarebbe bensì vincolata a dei criteri. Solo pochi fedeli rifiutano per principio l’ammissione alla comunione di divorziati risposati perché temono che così potrebbe venir indebolita la testimonianza della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. La grande maggioranza dei fedeli non condivide questo timore.

Per questo motivo incontra molta approvazione la delibera del consiglio permanente della conferenza episcopale tedesca del 24 giugno 2014 sulle “Vie teologicamente sostenibili e pastoralmente adeguate per l’accompagnamento dei divorziati risposati”, aggiunte in allegato. Nella loro delibera i vescovi tedeschi propongono di ammettere al sacramento della riconciliazione e alla comunione i fedeli divorziati e risposati se è definitivamente fallita la vita comune nel matrimonio canonicamente valido, se i doveri risultanti dal primo matrimonio sono chiaramente definiti, se si pentono del fallimento del primo matrimonio e con tutte le loro forze si impegnano a vivere il secondo matrimonio nella fede e a educare i figli nella fede.

È stata avanzata anche la proposta di riconsiderare il fallimento del matrimonio sotto il profilo del diritto canonico, della dogmatica e della pastorale creando delle forme liturgiche in cui trovano espressione davanti a Dio il dolore sulla separazione e le recriminazioni su ferite o umiliazioni, ma anche la speranza di un nuovo inizio. Dal punto di vista della teologia sacramentale bisogna chiarire il rapporto tra fede e sacramento del matrimonio.

Diverse diocesi e associazioni ritengono che sia saggio riflettere sulla prassi delle Chiese ortodosse, non per adottarla, bensì per aprire vie analoghe nella Chiesa cattolica. A questo proposito bisognerebbe fornire un’interpretazione teologica. In questo contesto si consiglia di riflettere sulla benedizione di un secondo matrimonio (civile), che però si dovrebbe chiaramente distinguere dal matrimonio religioso.

Sono sicuramente benvenute delle facilitazioni nei processi di annullamento del matrimonio e una riduzione dei costi (innanzitutto per le perizie). Alcuni esperti propongono di rinunciare al generale trattamento di una seconda istanza, dato che di regola questa conferma il giudizio della prima istanza, e di far emettere il verdetto della prima istanza da un collegio invece che da un singolo giudice. Si potrebbe anche riflettere se non richiedano un controllo le presunzioni legali nel diritto matrimoniale.

Tuttavia un’agevolazione del processo non costituisce una generale soluzione del problema. Se paragonato con l’elevato numero di persone interessate, quello di coloro che battono la strada di tale procedimento è molto modesto e probabilmente aumenterebbe di poco anche se questo processo venisse semplificato. Non si dovrebbe perciò dare troppa importanza a queste misure.

MATRIMONI MISTI

[Domanda n. 39: “La normativa attuale permette di dare risposte valide alle sfide poste dai matrimoni misti e da quelli interconfessionali? Occorre tenere conto di altri elementi?”].

Nell’oltre 40 per cento dei matrimoni in cui uno dei partner è cattolico l’altro appartiene ad un’altra confessione cristiana, in genere a quella evangelica. Cresce inoltre il numero dei matrimoni tra un partner cattolico ed uno senza confessione. Per questo motivo la domanda sull’accompagnamento pastorale è molto trattata nelle risposte.

I fedeli si aspettano che anche la vita matrimoniale e familiare di partner di diversa confessione sia aiutata dalla Chiesa (secondo il can. 1128 CIC ) e che il coniuge non cattolico venga invitato a partecipare alla vita della comunità, anche se l’organizzazione della vita religiosa nella famiglia deve essere lasciata ai due partner.

Un ampio spazio nelle risposte occupa la domanda su una possibile ammissione del coniuge non cattolico, specialmente se evangelico, alla comunione sacramentale. L’esclusione dalla comunione del partner di un’altra confessione viene considerata un ostacolo, in particolare per l’educazione cristiana dei figli. Dal punto di vista teologico si sottolinea che l’esortazione apostolica “Familiaris consortio” (1981) esprime chiaramente l’apprezzamento dei matrimoni misti, mettendo in rilievo il significato dell’eucarestia come “fonte del matrimonio cristiano” (n. 57). Per quanto riguarda il sostegno del matrimonio sacramentale e tenendo conto dell’educazione religiosa dei figli, ci si deve perciò chiedere come il coniuge non cattolico possa partecipare alla vita della comunità e a quali condizioni possa essere ammesso anche alla comunione. Non hanno forse i matrimoni misti, tenuti insieme dalla doppio vincolo del battesimo e del matrimonio, un grande bisogno spirituale che nel caso singolo permetterebbe l’ammissione all’eucaristia del partner non cattolico (cfr. can. 844 § 4 CIC; enciclica “Ut unum sint” del 1995, n. 46, enciclica “Ecclesia de eucharistia” del 2003, n. 45 e 46)?

OMOSESSUALI

[Domanda n. 40: “Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?”].

In Germania le convivenze omosessuali hanno uno status diverso da quello del matrimonio (“unioni civili”). Il loro riconoscimento si basa su un largo consenso sociale che viene sostenuto anche dalla maggioranza dei cattolici, come hanno dimostrato tra l’altro anche le risposte al primo questionario per la preparazione del sinodo straordinario.

I fedeli si aspettano che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, venga accettata dalla Chiesa come dalla società e che nelle parrocchie venga creato un clima di stima nei confronti di ogni persona. Quasi tutte le risposte concordano con il giudizio provato dalle scienze umane (medicina, psicologia) che l’orientamento sessuale è una disposizione immutabile e non scelta dal singolo. Per questo motivo irrita il discorso delle “tendenze omosessuali” citate nel questionario e viene percepito come discriminante.

Solo singoli interpellati rifiutano in linea di principio rapporti omosessuali perché gravemente peccaminosi. La maggioranza si aspetta dalla Chiesa una valutazione più differenziata basata sulla teologia morale, che tenga conto delle esperienze pastorali e delle conoscenze scientifiche. Quasi tutti i cattolici accettano rapporti omosessuali se i partner vivono valori come amore, fedeltà, responsabilità reciproca e affidabilità, senza per questo mettere le convivenze omosessuali sullo stesso piano del matrimonio. Si tratta di accettarle pur affermandone contemporaneamente la diversità. Alcune posizioni si pronunciano anche a favore di una benedizione di queste convivenze, differente rispetto al matrimonio.

Una pastorale che accetta persone omosessuali esige una maturazione della morale sessuale religiosa, che tenga conto delle più avanzate conoscenze scientifiche, antropologiche, esegetiche e teologiche.