La ‘moschea’ della Biennale a Venezia

Una vicenda significativa per interpretare l’appello da molti ripetuto di mantenere vivo il dialogo fra religioni!

1) Moschea e Baruffe Chioggiote

Nino Urettini
www.italialaica.it

L’artista svizzero Christoph Buchel è stato incaricato dall’Islanda di gestire il suo Padiglione per la Biennale d’Arte di Venezia.
Buchel ha preso in affito la chiesa di Santa Maria della Misericordia, di proprietà privata e chiusa dal 1969, per farne un’istallazione: “The Mosque: the first mosque in the historic city off Venice” (La prima moschea nella città storica di Venezia). Installazione che, come ha detto il presidente della comunità islamica di Venezia, Amin Al Adhab,è riuscita a “scaldare i cuori di 20 musulmani”.
All’interno c’è il mihrab che indica la direzione della Mecca, il pulpito per l’iman, tappeti e iscrizioni coi versetti del Corano. Chiunque può entrare, togliendosi le scarpe, come d’uso.
C’è stata una provocazione: un visitatore, leghista, non ha voluto togliersi le scarpe, dicendo che quello era un padiglione della Biennale e non una moschea. Subito i leghisti e i neofascisti del Fronte Nazionale, hanno inscenato una manifestazione contro i musulmani.
La Curia ha protestato perché non è stato chiesto il suo permesso per trasformare una Chiesa cattolica in una Moschea. Da notare che nella Chiesa della Misericordia non si celebrano più dal 1969 riti della religione cattolica, e, anzi, è stata venduta a privati.
Nessuno è in grado di dire se sia ancora consacrata!
Il Comune, commissariato dopo i fatti del Mose, ha tirato fuori un cavillo giuridico: non stato chiesto il “cambio d’uso”!
Il Prefetto si appella a questioni di sicurezza: il luogo, aperto al pubblico si presta a provocazioni di estremisti!
Si dà tempo all’artista svizzero di sgombrare entro il 20 maggio. Conoscendo il gusto per la provocazione di Christoph Buchel, si dovrà ricorrere ai celerini!
L’Italia farà ancora una volta una pessima figura di fronte al mondo intero!
La realtà è che tra poche settimane ci saranno le elezioni regionali e per il Comune di Venezia: l’antislamismo paga sempre!
Stupisce invece la posizione della Curia che si oppone all’uso religioso, islamico, di una Chiesa chiusa da quarant’anni e venduta a privati. Come se a Venezia mancassero le chiese.
Ma l’attuale patriarca, successore del ciellino Scola, è un tradizionalista, ben lontano dalle idealità ecumeniche di Papa Francesco.
Certo, sarebbe vergognoso che in una città cosmopolita come Venezia, dove ci sono ben tre sinagoghe, una chiesa ortodossa e una armena, si vietasse l’uso temporaneo di una moschea: occorrevano gli islandesi per far scoppiare una simile contraddizione!

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2) La ‘moschea’ della Biennale a Venezia

Sandro. G. Franchini
www.italialaica.it

La vicenda della ‘moschea’ allestita in una ex chiesa di Venezia ha certamente un intento provocatorio che, è evidente, ha ottenuto il risultato desiderato. Non entro in merito agli aspetti giuridici della questione, anche se mi pare strano che un edificio che non è più ufficiato da oltre 40 anni, adibito a magazzino, dove non vi è più alcun segno devozionale, e di proprietà privata, possa essere ancora ritenuto ‘sacro’ (vedi codice di Diritto canonico 1212). Inoltre mi pare che si stiano alterando i termini della questione ‘sacralizzando’ un edificio che non è più tale da 40 anni e una ‘moschea’ che non mi risulta essere per niente tale, essendo un evento espositivo della Biennale.
Certo è che, parlando di religione, se c’è chi riesce a trarre da sé il meglio, c’è anche chi butta fuori il peggio. Quando si invocano i principi cristiani come identitari della nostra cultura e così impedire agli altri di poter costruire un luogo dove pregare nella loro fede, si mostra il peggio della strumentalizzazione di una fede e si avvilisce il cristianesimo. La pseudo-moschea veneziana è riuscita a mettere il dito nella piaga viva dell’intolleranza che può nascondersi così spesso negli ambienti religiosi di tutto il mondo. Dopo le tragedie delle guerre di religione e le atroci sofferenze inferte agli eretici o a chi non condivide la stessa fede, non siamo ancora pronti a rispondere a una sfida che il nostro tempo ci sta ponendo davanti con drammatica urgenza. Per venire a noi: come dobbiamo rispondere a chi chiede di pregare nella sua religione in un luogo per lui sacro? Continueremo a rispondere di no o a fargli la vita difficile, magari appellandoci, come fa la Lombardia, a regolamenti edilizi? Solo pochi anni fa sarebbe stato difficile prevedere l’acutizzarsi dei problemi posti oggi alle comunità locali e nazionali dal confronto di culture e di religioni diverse, nel contraddittorio fenomeno che vede, da un lato, l’affermarsi, di una sempre più capillare secolarizzazione e, dall’altro, l’acutizzarsi di sensibilità religiose, ridestatesi sia per rispondere alle mai spente esigenze di valori trascendenti, sia per le strumentalizzazioni che ne vengono fatte da forze politiche ed economiche, troppo spesso assecondate e favorite da autorità religiose e da gruppi senza scrupoli, a fini identitari e, quindi, generatrici di intolleranze che, come stiamo vedendo in alcune parti del mondo, si spingono fino al più crudele fanatismo.
A complicare il quadro è che la diversità di religione, in questi ultimi anni, si è sempre più associata alla diversità culturale, sociale ed economica dei vari gruppi, fenomeno reso drammatico dall’ondata migratoria che senza controllo si sta riversando sull’Europa, fenomeno cui si associa un recupero del valore identitario della religione, più precisamente della religione maggioritaria, in ciascun paese: il cattolicesimo in Italia e in altri paesi europei, l’ortodossia in Russia, l’islam in Oriente, e via dicendo. Come scrive Silvio Ferrari, il disorientamento provocato dalla globalizzazione, dall’immigrazione e più in generale dal declino del Vecchio Continente sul palcoscenico mondiale ha fatto riemergere in larga parte della popolazione l’esigenza di ritrovare le proprie radici culturali e spirituali nella tradizione religiosa di ciascuna nazione o regione.
Nel rapporto tra la religione e la politica, oggi assistiamo così a un’impressionante impennata delle istanze di carattere religioso e la politica, così incerta e insicura di se stessa anche per la lunga opera di delegittimazione che, in alcune aree, è stata condotta anche dalle forze religiose, non sa dare adeguate risposte. Solo la politica, e quindi lo Stato nelle forme di sovranità politica e di solidarietà sociale che dovranno essere riformate o reinventate, può e deve dare nuove ed efficaci risposte. I singoli stati nazionali non sono in grado di risolvere queste sfide, che vanno affrontate a livello delle grandi regioni che si stanno delineando nel mondo. Il pericolo può essere che, nella debolezza della politica e nell’incertezza istituzionale, queste cerchino nelle religioni la loro definizione di identità, delegando ad esse la provvista di contenuti e di senso da dare alle nuove realtà statuali. Questa strada condurrebbe alla rovina, all’insorgere di nuove teocrazie, allo schiacciamento delle libertà individuali e all’erezione di nuovi roghi.
La società civile, e quindi lo Stato, non può stabilirsi in una comunità organica e ordinata senza stabilire un dialogo fattivo con le confessioni religiose presenti nel suo territorio, osservando un particolare riguardo alle chiese e comunità storicamente maggiormente radicate nella popolazione, ma al tempo stesso mantenendo tutte su un piano di sostanziale parità e, soprattutto, senza rinunciare al proprio ruolo ‘sovrano’ e laico, che lo caratterizza e che lo obbliga a stabilire la sintesi dei valori etici e morali che possano e debbano essere riconosciuti dall’intera comunità che è chiamato a governare.
Questo non per indifferenza religiosa, non per misconoscimento del contributo che le singole fedi hanno dato alla formazione dei valori etici e culturali che caratterizzano la comunità, ma perché non è l’una o l’altra religione che lo Stato deve rispettare o favorire, ma l’esperienza religiosa in sé, in quanto capace, per i profondi valori che le religioni sanno infondere in tanta parte della popolazione, di dare un contributo essenziale alla felicità dell’uomo e alla crescita della società. In questa prospettiva, lo Stato laico, rispettoso delle religioni, ma fortemente consapevole della propria autonomia e delle proprie responsabilità appare essere oggi, nelle società multireligiose e multiculturali suscettibili di contrasti come di feconde integrazioni, l’unica forza capace di garantire la coesistenza, la pace e la libertà religiosa degli individui.

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3) «Basta riti religiosi nella chiesa-moschea»

Marta Artico
http://nuovavenezia.gelocal.it

«Nel rispetto della città di Venezia, dei buoni rapporti con la comunità e per tranquillizzare le coscienze dei cittadini, la Comunità Islamica si impegna a chiedere ai propri fedeli di non praticare più alcun rito religioso nel padiglione islandese ed evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni, che invece di favorire il dialogo interreligioso in città, lo inquinano. Chiediamo al contempo ai visitatori il dovuto rispetto dell’opera, che riveste per noi un alto valore artistico e simbolico».

È stato un passo sofferto quello della Comunità Islamica di Venezia e Provincia, che venerdì ha diffuso un messaggio indirizzato alla città e alla comunità internazionale, per evitare che ci sia chi trasforma un Allahu Akbar, che significa semplicemente “Dio è grande”, o un semplice gesto di lode, in qualche cosa di diverso. Da qui anche la scelta, visto che alcuni punti ancora non sono stati chiariti da parte dell’organizzazione, di evitare riti religiosi quali la preghiera del venerdì, senza limitare invece le iniziative prettamente culturali e scolastiche, come quella di domenica, quando i bambini della scuola della comunità andranno in visita alla chiesa-moschea-padiglione.

La Comunità assicura «che il suo ruolo è stato quello di fornire all’artista le informazioni corrette relative agli aspetti tecnici necessari perché l’opera rispondesse ad una rappresentazione rispettosa e pienamente coerente ai dettami della fede e riconosce all’artista, a opera compiuta, una superlativa capacità realizzativa, meritevole di elogio». Non solo. «Siamo coscienti», scrive il direttivo, «che quest’opera d’arte è limitata nel tempo e di conseguenza non viene considerata dalla Comunità una vera e propria Moschea, le preghiere che sono state svolte nel padiglione sono state il frutto di una spontanea manifestazione di sentimento religioso favorita dalla bellezza ed evocatività dell’installazione, nonché espressione di gratitudine per l’attenzione e il rispetto tributato alla nostra comunità da un Paese amico». Ancora. «La collaborazione con l’artista, di cui siamo orgogliosi, aveva anche lo scopo di favorire quel dialogo che ogni giorno nasce e che però spesso si spegne». Da qui la richiesta di circoscrivere le espressioni prettamente religiose per non in correre in distorsioni. «Come Comunità siamo da sempre impegnati a promuovere la legalità, la solidarietà e la partecipazione attiva alla vita pubblica della città che abbiamo eletto a nostra casa comune e della quale facciamo parte a pieno titolo, da cittadini italiani, contribuenti, lavoratori, professionisti, imprenditori e genitori che guardano con amore al futuro di questa città unica al mondo».

Il direttivo non perde la speranza che un “miracolo” del dialogo possa ancora compiersi. «Facciamo appello alle istituzioni e alle forze migliori della società civile veneziana perché insieme sappiamo cogliere la sollecitazione ad essere all’altezza di un grande compito culturale e di pace che Venezia ha svolto ed è chiamata a svolgere in un mondo segnato dai conflitti nelle società complesse e multiculturali». Low profile, finché il nodo gordiano non sarà sciolto.