Lo Spirito del mondo di V.Mancuso

Vito Mancuso
la Repubblica, 25.05.2015

Viene da lontano l’esito del referendum irlandese con cui oltre il 62 per cento dei votanti ha detto sì alle nozze gay. Viene dalla lotta a favore dei diritti umani.

Una lotta iniziata più di due secoli fa nel nome dell’uguaglianza e che ha portato a una serie di conquiste sociali tra cui il suffragio universale, la libertà di stampa, la libertà religiosa, l’istruzione per tutti, la parità uomo-donna nel diritto di famiglia, il superamento legale di ogni discriminazione razziale e altri traguardi di questo genere, tutti riconducibili al valore dell’uguaglianza di ogni essere umano. Sabato l’ha ribadito la maggioranza degli irlandesi: “ Yes Equality”.

In queste trasformazioni dei costumi e del diritto si manifesta l’evoluzione della cultura e del pensiero prodotta da ciò che Hegel denominava “Spirito del mondo”, nel senso che noi non siamo i padroni delle nostre idee, ma sono le idee a entrare in noi. C’è però una differenza rispetto al filosofo tedesco, e cioè che ora il primato non è più dello “Spirito oggettivo” rispetto allo “Spirito soggettivo”, ma al contrario. Assistiamo a una radicale riscrittura dei rapporti tra singolo e società: il primato non è più della società e delle sue istituzioni a cui il singolo si deve uniformare come nei secoli passati, ma è piuttosto del singolo a cui la società deve sapersi adattare servendone la felicità e la realizzazione. Prima erano i singoli a piegarsi alle istituzioni, ora sono le istituzioni a piegarsi ai singoli, modificando persino la Costituzione, come in Irlanda.

Il valore in gioco era il diritto di ogni essere umano all’amore integrale. Fino a poco tempo fa nei Paesi più avanzati del mondo (ma in Italia ancora oggi) se una persona nasceva con un orientamento sessuale di tipo omosessuale si vedeva negato il diritto all’amore integrale, che non si accontenta di esprimersi solo come passione privata ma desidera uno statuto pubblico, nel senso che esso entra a definire l’identità sociale di una persona, non più singolo, ma legato a un’altra persona in permanente comunità di vita. È questo desiderio dell’amore di acquisire una dimensione pubblica che porta le persone a sposarsi, e non semplicemente a convivere.

Chi desidera sposarsi non riesce più a pensare se stesso a prescindere dall’altro e chiede alla società di riconoscere pubblicamente il suo nuovo statuto, mutando per così dire la sua carta d’identità sociale e dicendo al mondo: “non sono più solo io, io sono unito con l’altro”. Questo è ciò che io chiamo “amore integrale” e che ritengo essere un diritto costitutivo di ogni essere umano. L’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile che ogni essere umano acquisisce alla nascita, un diritto nativo, radicale, di cui nessuno può essere privato.

Ormai il tempo è compiuto anche da noi per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, senza distinzione. Il ritardo italiano non va colmato procedendo solo al riconoscimento delle unioni civili senza parlare di matrimonio, ma occorre procedere al matrimonio anche per le coppie gay, perché sono in gioco l’uguaglianza e il diritto nativo all’amore integrale.

Il senso complessivo di questo movimento è altamente evangelico, perché sempre, quando trionfa la singolarità della persona rispetto alla logica di Stato delle istituzioni e delle tradizioni, si afferma il punto di vista di Gesù, il quale sosteneva che il sabato era per l’uomo e non l’uomo per il sabato, e che per questo venne eliminato dal potere istituzionale. La Chiesa gerarchica però non l’ha ancora capito. Non l’ha capito nel 1789 quando il movimento è iniziato, e non l’ha capito in questi giorni in Irlanda con i vescovi che hanno lanciato un appello per il «rispetto dei valori della famiglia tradizionale ». I singoli credenti invece sì.

A meno infatti di non ritenere che essi in una nazione tra le più cattoliche al mondo siano solo il 37,9%, occorre riconoscere che per la maggioranza dei fedeli le posizioni della gerarchia cattolica non hanno rilevanza quando sono in gioco questioni etiche e diritti umani. L’arcivescovo di Dublino ha detto che «la Chiesa ora deve fare i conti con la realtà». È vero, e spero che qualcosa avverrà. Ma ancora più importante è che i conti con la realtà li faccia la politica italiana, dando al nostro Paese una legge che consenta a ogni cittadino di vivere, nella pienezza del matrimonio, il diritto nativo all’amore integrale.

————————————————————————————-

“La Chiesa non può interferire. Basta ignorare le coppie gay”

Giacomo Galeazzi
La Stampa, 25 maggio 2015

Monsignor Mogavero: gli omosessuali non sono malati.

Ai governanti spetta il compito di normare l’esistente». Perciò «in Italia non si può far finta che le unioni gay non esistano e che non ci siano diritti da riconoscere a queste coppie». L’esito del referendum irlandese, osserva il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, canonista e commissario Cei per l’immigrazione, «non va ignorato nel nostro paese».

Un’analisi lucida, senza fughe in avanti o sottovalutazione della portata del cambiamento. «In Irlanda il primo ministro Enda Kenny ha fatto i conti con la realtà: anche in Italia il governo deve prendere atto che esistono centinaia di migliaia di convivenze tra persone dello stesso sesso».

Realtà che «hanno diritto a una regolamentazione». Anche la Chiesa deve fare la sua parte. «Noi come vescovi siamo chiamati ad accompagnare e assistere le persone nelle situazioni concrete in cui si svolge la loro vita piuttosto che a condannare ed escludere». Insomma, una voce autorevole dell’episcopato italiano ritiene che la vicenda irlandese suoni come un campanello anche per Matteo Renzi.

Da Pantelleria, dove è in prima linea nel soccorso dei «boat people», l’ ex sottosegretario Cei unisce alla missione di pastore la formazione da giurista: «Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e lasciare una realtà sociale diffusa senza riconoscimento giuridico». E «i gay non sono malati da curare e sia nell’ azione del legislatore, sia nella pastorale della Chiesa al centro deve esserci sempre la persona».

E ciò a maggior ragione perché «non tutti hanno una professione di fede e i non credenti hanno parimenti diritto a veder tutelato un loro diritto di dignità». Senso pratico maturato nella decennale esperienza al fianco di Camillo Ruini al vertice della Chiesa italiana. Né barricate né sacri strali . Politica e cura d’ anime. Ovunque.

La valanga dei sì alle nozze gay si riverbera da Dublino a Roma. «Quello che è accaduto in un paese più cattolico dell’ Italia come è l’ Irlanda non può essere derubricato ad anomalia». Tanto più che nello spirito della misericordia di Francesco e della Chiesa che non chiude le porta, a un intervento legislativo da parte del governo non si contrapporrebbero «crociate né scontri Stato­Chiesa».

L’attenzione nelle gerarchie è confermata anche dalla «sensibilità mostrata dal Sinodo dei vescovi sulla famiglia». Da parte sua, evidenzia, il Papa ha il merito di «aver portato il discorso sul piano della persona».

Rimangono «dei limiti che la dottrina cattolica rileva sul tema del matrimonio e delle unioni», ma oggi «si può parlare di questi argomenti senza paure e senza considerare queste situazioni dei fenomeni da additare». Mogavero lo ha detto chiaro e tondo nel pieno del pieno del dibattito sinodale. «Bisogna superare i pregiudizi ecclesiastici che riducevano l’omosessualità a perversione e pericolo pubblico, il legislatore civile non può far finta che non esistano le unioni gay e le coppie di fatto».

Quindi «non hanno alcun fondamento» le proteste dell’episcopato per le proposte di riconoscimento delle coppie gay: «Uno Stato laico non può fare scelte di tipo confessionale e la Chiesa non può interferire nella sfera delle leggi civili».

Dublino «non è così lontana». Occorre «prenderne atto con realismo e dare una risposta». «Meglio il dialogo della finzione.