Il Family Day di Francesco di A.Prosperi

Adriano Prosperi
la Repubblica 24 giugno 2015

«Chi sono io per giudicare?». Così aveva detto papa Francesco; la seconda frase che ha dolcemente
sfumato la dottrina dell’infallibilità papale.

La prima era stata quella, indimenticabile, di papa Wojtyla: «Se mi sbaglio mi corrigerete». La frase
di Bergoglio fu pronunziata nel corso di una celebre intervista, sull’aereo di ritorno da Rio de
Janeiro. Le domande dei giornalisti riguardarono allora la pastorale per i divorziati e la cosiddetta
lobby gay in Vaticano. All’indomani del Family day, su questi temi leggiamo dei documenti che
dicono intanto una cosa: qualcuno deve pur giudicare. Dunque papa Francesco intende dare delle
risposte. Le ha preparate tastando il polso della Chiesa: dopo otto mesi di confronto nelle diocesi,
ecco pronto un documento di lavoro elaborato dal sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e destinato
al tavolo del sinodo ordinario previsto in Vaticano dal 4 al 25 ottobre.

Oggi questo documento è sotto gli occhi di tutti. Ed è evidente che questa circolazione allargata è stata
concepita come il secondo tempo della consultazione: un modo per valutare le reazioni e le opinioni del mondo.
Una Chiesa che ascolta il mondo, dunque. E che nello stesso tempo gli suggerisce una propria ipotesi di lavoro
su terreni difficili e controversi. Viene in mente un consiglio di Sant’Ignazio ai suoi seguaci: lui diceva
che bisognava «entrare con la loro e uscire con la nostra». Un suggerimento fondamentale: adeguarsi
a culture e contesti anche remotissimi dal cristianesimo europeo per radicarvisi.

Ma vediamo questo documento. Sui sacramenti ai divorziati sembra che si apra un percorso non
impervio, di tipo penitenziale, capace di portare alla “integrazione” di queste persone nella Chiesa:
e non si trascuri l’offerta di rendere agevoli le procedure dei tribunali ecclesiastici per i casi di
nullità matrimoniale. La lunga storia della Chiesa è lì per insegnare come, una volta fatto entrare il
matrimonio tra i sacramenti, si sono trovate le soluzioni ai problemi posti dalla natura labile dei
legami coniugali: dalla poligamia delle culture non europee ai problemi di alleanze matrimoniali dei
regnanti europei. Ma sarà possibile che le coppie del secondo o terzo matrimonio accettino di vivere
in castità per potersi sentire “nella” Chiesa? Vedremo, anzi vedranno loro. Una cosa è certa: il
metodo della “via penitenziale” alla riconciliazione spazza via i pronunciamenti dottrinali tipo
“prendere o lasciare” e apre la strada all’incontro privato e sommesso di persone portatrici di
problemi concreti con un paziente confessore – un metodo che rappresentò la proposta fondamentale
dei gesuiti nell’Europa lacerata dalle guerre di religione della prima età moderna.

La vera difficoltà sembra invece risiedere nella questione delle coppie omosessuali. Qui il lettore
italiano è obbligato a scrutare con particolare inquietudine quel che si prepara nella vasta fucina di
idee e di norme dove è stato elaborato questo documento. Noi, qui, non siamo negli Usa e nemmeno
in Irlanda. E abbiamo capito, senza bisogno della rumorosa manifestazione romana recente, quanta
confusione e quanta tensione alberghi in tanta parte del Paese, spinta dalla paura dell’ignoto a
tapparsi occhi e orecchie davanti alla realtà del nostro tempo per chiudersi nelle sue più arcaiche
certezze. Il documento che leggiamo, tra molte frasi fraterne e misericordiose sui problemi delle
famiglie, conferma che l’unico matrimonio concepibile per la Chiesa è quello tra uomo e donna,
«aperto alla procreazione» come ha commentato il teologo Bruno Forte. Ma riconosce anche che
«vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita
dei partner».

Basta questo per capire che la chiesa di papa Francesco non desidera capeggiare battaglie di religione
su questa materia. E viene naturale chiedersi: questo mutuo sostegno non potrebbe essere riconosciuto
dalla legge di uno Stato che pensi a tutti i cittadini senza paraocchi confessionali e gli conferisca
il riconoscimento legale di un legame coniugale a tutti gli effetti? E uno Stato cavourianamente
libero non potrebbe fare la sua parte nel compito che una libera Chiesa
propone a se stessa, quello di garantire formalmente il principio del rispetto dovuto a ogni persona?

Un principio fondamentale, che apre un orizzonte respirabile: «Ogni persona, indipendentemente
dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità, sia nella
Chiesa sia nella società». Parole sante, si vorrebbe dire. Anche parole laiche. Non dice forse la
costituzione italiana all’articolo 3 che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzione
di sesso etc., » e che il compito della Repubblica è quello di rimuovere gli ostacoli che
«impediscono il pieno sviluppo della persona umana»?

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Il Sinodo sulla famiglia apre ai risposati: “Non escluderli”

Andrea Tornielli
La Stampa 24 giugno 2015

L’«Instrumentum laboris», la road map per il Sinodo del prossimo ottobre sulla famiglia presentato
ieri in Vaticano, contiene una parola chiave: «accompagnare». Il documento ripresenta le
conclusioni del Sinodo 2014 e vi aggiunge temi e proposte emerse dalla discussione nelle comunità
locali. La vera novità è una richiesta di attenzione verso le famiglie che vivono la povertà e le
conseguenze della crisi economica, le situazioni di difficoltà a motivo di un figlio disabile a cui
garantire assistenza anche dopo la morte dei genitori, o i problemi legati alla tossicodipendenza. E
ancora, verso il coniuge rimasto solo dopo la morte dell’altro o a seguito di una separazione. Questi
i temi che interessano la base che è stata consultata.

La necessità di accompagnamento e di misericordia continua a riguardare sia le coppie conviventi
non ancora sposate, sia le famiglie «ferite» passate attraverso il divorzio, come pure le persone
omosessuali. Ma senza novità di tipo dottrinale, né, a proposito di gay, con ripensamenti a proposito
del tradizionale «no» verso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il documento di lavoro
propone un annuncio del «Vangelo della famiglia» che «dia speranza e non schiacci», e rilancia il
grande tema della misericordia, anche in vista dell’ormai prossimo Giubileo.

Sui divorziati risposati, il testo afferma che c’è un «comune accordo sull’ipotesi di un itinerario di
riconciliazione o via penitenziale» per loro, ma si riconosce che manca un accordo sullo sbocco di
questo cammino: secondo alcuni può essere soltanto la prassi tradizionale che li vede esclusi dai
sacramenti, a meno che i due coniugi non scelgano di vivere «come fratello e sorella», cioè «in
continenza». Mentre secondo altri l’esito di questo percorso, in alcuni casi particolari, potrebbe
portare a un passo ulteriore. Presentando l’«Instrumentum laboris» l’arcivescovo Bruno Forte,
segretario speciale del prossimo Sinodo sulla famiglia, «non c’è un no pregiudiziale» alla
riammissione alla comunione, ma si tratta di un «processo aperto su cui bisogna discernere
insieme». Se ne discuterà dunque a ottobre.

Mentre molto può essere fatto per i divorziati risposati, i quali, pur non potendo accedere ai
sacramenti, non devono essere emarginati dalla comunità: «Vanno ripensate le forme di esclusione
attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, in quello educativo e in quello caritativo. Dal
momento che questi fedeli non sono fuori della Chiesa, si propone di riflettere sull’opportunità di
far cadere queste esclusioni». Ribadita anche la necessità di snellire i procedimenti per verificare la
nullità del matrimonio religioso.

Sull’omosessualità, si ribadisce che «ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza
sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che
nella società», aggiungendo l’auspicio che i progetti pastorali riservino «una specifica attenzione
all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste
stesse persone».
Ma l’«attenzione pastorale» e «il matrimonio gay» sono «due cose diverse», ha precisato in conferenza stampa
il cardinale Peter Erdö, relatore generale del Sinodo 2015. Nel documento c’è
un riferimento critico alle teorie che vogliono rimuovere la differenza sessuale fra maschio e femmina:
questa rimozione «è il problema, non la soluzione».

Infine, nuova è l’affermazione del «crescente bisogno» di «includere le famiglie, in particolare la
presenza femminile, nella formazione sacerdotale».

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“Nessuno si senta escluso ma no a letture di parte”

intervista a Bruno Forte, a cura di Paolo Rodari
la Repubblica 24 giugno 2015

Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del Sinodo, si parla di un
Sinodo che apre su gay, coppie di fatto e divorziati risposati. È così?

«Una simile lettura è falsificante: il Sinodo vuole annunciare il valore e la bellezza della famiglia in
un mondo che — nonostante il desiderio di famiglia che si riscontra particolarmente fra i giovani —
conosce una crisi diffusa dell’istituto. La famiglia è intesa dal testo di preparazione al Sinodo nel
suo significato di società naturale fondata sul matrimonio, quale è affermato anche nella
Costituzione italiana all’art. 29, e dunque come unione stabile e feconda di un uomo e di una donna.
Questa unione, che nel sacramento nuziale è consacrata e benedetta dal Signore, è preziosa come
scuola di umanità, di socialità, di esperienza ecclesiale e di vita di fede. Circa le situazioni cui lei
accennava, lo strumento di lavoro per il Sinodo, appena pubblicato, afferma un principio che per un
cristiano dovrebbe essere ovvio e basilare: il rispetto di ogni persona umana e l’impegno della
Chiesa a offrire accompagnamento a tutti in vista della maggior integrazione possibile, nella verità e
con carità».

Ritiene in ogni caso che si possa arrivare a concedere la comunione ai divorziati risposati?
«Mi sembra che la domanda così posta rischi di equivocare le intenzioni del Sinodo: il desiderio è
che queste persone siano rispettate e accompagnate con la massima cura e possano essere integrate
mediante una partecipazione responsabile e leale nella vita della comunità cristiana, senza
comunque intaccare il messaggio fondamentale del valore dell’istituto familiare e della piena
comunione ecclesiale ».

Qual è a suo avviso il cuore del documento, quali i suoi punti più importanti?
«Vangelo della famiglia, accompagnamento pastorale per tutti e integrazione: questi mi sembrano i
concetti chiave, che non sono in contrapposizione fra loro. Su tutto domina l’intenzione di
esprimere attraverso l’agire della Chiesa il volto della misericordia con cui Dio ama tutti, nessuno
escluso».

Francesco è già intervenuto in questo lavoro oppure no? Quali sono state, se ci sono state, le
sue indicazioni?

«Il lavoro sinodale si muove in piena sintonia con il Papa, che oltre ad avere presieduto l’assemblea
straordinaria del Sinodo dell’ottobre scorso, ha presieduto anche i consigli in cui è stato elaborato il
documento preparatorio, che è appunto l’Instrumentum laboris ».