In Africa, suore abusate da preti: nuova denuncia in Vaticano di E.Cucuzza

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n° 22 del 20/06/2015

In Africa ci sono suore costrette a “vendersi”, abusate da ecclesiastici e poi abbandonate dalle loro stesse congregazioni. La questione – invero annosa – è stata posta, apertis verbis, dalla teologa congolese suor Rita Mboshu Kongo, docente alla Pontificia Università Urbaniana, al seminario internazionale dal titolo “La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi”, promosso dal 29 al 31 maggio scorsi in Vaticano dal mensile Donna Chiesa Mondo, supplemento dell’Osservatore Romano. Alla relazione della teologa fa accenno in modo sibillino il quotidiano ufficioso della Santa Sede in un servizio del 1° giugno: suor Mboshu, vi si legge, «ha descritto la dolorosa subordinazione a cui vengono costrette gran parte delle donne africane, in ragione di una cultura che vuole l’uomo capo e padrone. Ciò produce gravi distorsioni anche in seno alla Chiesa generando problemi legati sia al carisma che alle vocazioni religiose». Certo l’argomento è assai spinoso, ma l’intervento schietto di suor Mboshu è stato molto apprezzato dall’uditorio e anche dal segretario di Stato card. Pietro Parolin che, officiando la messa in chiusura del seminario, ha chiamato suor Rita all’ambone.

Sull’argomento, nei giorni del seminario, la teologa ha parlato (in modo più ampio di quanto non appaia in questo limitato spazio) con il settimanale spagnolo di informazione religiosa Vida Nueva (6-19 giugno). Data la penuria di risorse, dice suor Rita nell’intervista, «ci sono molte congregazioni africane povere che mandano le religiose a studiare senza fornire loro alcun sostegno economico», tanto che esse si trovano spesso a dover chiedere l’elemosina. Ma «chi ti dà una mano è quello che comanda», osserva la teologa, sicché «i loro benefattori le sottomettono e sfruttano il loro corpo. Se non hanno altro da dare in cambio, queste donne vendono quello che hanno: la parte che hanno consacrato al Signore la commerciano per poter vivere». Sono molte le religiose che conoscono questa realtà, sottolinea, anche se non ne parlano per paura. Fino a che non capita che rimangano incinte e allora la congregazione «le caccia dal convento» perché «è una vergogna». È una situazione «abituale in Africa», dove istituti o congregazioni di altri Paesi «accorrono per “pescare” vocazioni», ma non cercano «persone interessate alla vita religiosa da formare», bensì solo una sorta di manovalanza «per risolvere i loro problemi: hanno bisogno di personale che lavori nelle scuole o negli asili che gestiscono».

Chi sono «i benefattori» è l’“arcano” svelato da suor Rita quando spiega che le religiose non sono capaci di opporsi agli ecclesiastici che esigono da loro prestazioni sessuali. Questo, in parte, succede perché sono cresciute in una cultura dove la donna è considerata inferiore all’uomo: «Si pensa che bisogna obbedirgli. Alcuni sacerdoti arrivano perfino ad utilizzare falsi argomenti teologici per giustificare il loro comportamento». Nei Paesi dove l’aids è molto diffuso, denuncia la teologa, sacerdoti e vescovi abusatori considerano le monache «più sicure» per evitare il contagio nei rapporti sessuali. Non sono casi isolati, ripete: è quasi impossibile quantificare il numero di suore che subiscono abusi dai loro «benefattori» o sono state abbandonate dalla loro congregazione. Bisogna aiutarle è l’appello di suor Rita. «Sono sparse per il mondo. Chi mai si è interessato a loro? Dove sono? Cosa fanno? Non ci interessa», è la sua amara constatazione. Ma la Chiesa, considera, «finché non affronterà le sofferenze delle religiose africane, non farà chiarezza sulla situazione delle donne al suo interno».

Una vergogna nota dal 1995

Il settimanale spagnolo dedica al dramma dell’abuso dei preti sulle suore africane anche l’editoriale (“Una vessazione contro la donna e la Chiesa”). Vi si osserva che «non è la prima volta che viene emessa una tale denuncia. Una ventina d’anni fa – ricorda Vida Nueva – le Missionarie di Nostra Signora d’Africa alzarono la voce avendo constatato l’abuso del clero locale in 15 Paesi del centro e sud Africa». La Santa Sede mise mano alla questione «sollecitando fermamente i vescovi della regione a sradicare presto questa situazione». «La testimonianza di suor Rita dimostra che non si è fatto il sufficiente», osserva l’editoriale, mentre bisogna applicare contro queste «atrocità» la stessa tolleranza zero decisa con gli abusi dei preti sui bambini. «Non si può permettere che un ecclesiastico, che sia vescovo o sacerdote, confonda il servizio con la schiavitù e meno ancora con lo sfruttamento sessuale».

Il rapporto-denuncia cui fa riferimento Vida Nueva è del 1998, a firma di suor Marie Mc Donald. Già tre anni prima, il 18 febbraio 1995, suor Maria O’ Donohue, allora coordinatrice dei programmi sull’aids per conto della Caritas Internationalis e dell’agenzia Cafod (Fondo cattolico per lo sviluppo oltremare), consegnò al card. Martinez Somalo, allora prefetto della Congregazione vaticana per la Vita Consacrata, un rapporto in cui si parlava di suore sfruttate sessualmente, sedotte e spesso violentate da preti e missionari in quanto considerate «sicure» dal punto di vista sanitario.

Ma solo nel 2001 il caso degli abusi sulle suore uscì dalle stanze vaticane, e fu grazie al settimanale statunitense National Catholic Reporter che pubblicò quattro documenti, tra cui i due rapporti rimasti sino ad allora strettamente confidenziali (v. Adista nn. 24, 26, 27, 30, 36, 37 e 42/01). Il Vaticano, tramite l’allora portavoce della Sala Stampa Joaquín Navarro-Valls, fu così costretto ad ammettere l’esistenza del problema. Nel maggio del 2001, fornendo una lettura del fenomeno dalle pagine della rivista dei gesuiti spagnoli Razón y Fe (v. Adista n. 42/01), p. Juan Antonio Irazabal affermò che il tentativo di creare un «clero indigeno» in questi Paesi, si era realizzato con un «discernimento delle vocazioni molto superficiale, a volte inesistente».