Quale “genere” di pontificato? Cambiano i nomi, ma i “valori non negoziabili” sono sempre lì di V.Gigante

Valerio Gigante
www.adistaonline.it

La riflessione, forse maliziosa, viene però spontanea: se il papa avesse parlato con la stessa insistenza della necessità che gli istituti religiosi aprano i loro conventi, le loro strutture, le loro case di accoglienza (spesso trasformate in hotel di lusso) all’ospitalità dei migranti che fuggono dalla guerra, dalla persecuzione, dalla miseria, oggi forse Salvini avrebbe qualche argomento in meno e i migranti qualche speranza in più. Invece su questo tema papa Francesco, dopo il celeberrimo discorso fatto ai gesuiti del Centro Astalli di Roma, il 10 settembre 2013, ha sorvolato. Mentre, sulla cosiddetta ideologia di gender, specie negli ultimi tempi, Bergoglio ha parlato a tamburo battente.

Di rilievo l’intervento del 13 giugno scorso, durante l’udienza concessa al Consiglio Superiore della Magistratura in Vaticano. Discorso tutto difensivo, quello del papa, caratterizzato da una espressione chiave del suo pontificato – che ritorna ciclicamente in molti dei suoi discorsi (del resto, è tipico di Bergoglio ricorrere a “tormentoni” come «cultura dello scarto», «periferie della storia», «globalizzazione dell’indifferenza») –, quella della lotta alle «colonizzazioni ideologiche», che nel lessico bergogliano significa difesa della famiglia tradizionale. Francesco ha detto che la globalizzazione porta con sé «aspetti di possibile confusione e disorientamento, come quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento delle radici culturali di realtà che vanno invece rispettate; e ciò per effetto di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite. Tante volte – ha detto – ho parlato delle colonizzazioni ideologiche» in riferimento «a questo problema». Il papa si è spinto, a braccio, sino a sfiorare il non sense nel passaggio in cui invita i giudici a non «abusare della categoria dei diritti umani volendo farvi rientrare pratiche e comportamenti che, invece di promuovere e garantire la dignità umana, in realtà la minacciano o addirittura la violano». Dove l’“abuso” dei diritti umani dovrebbe leggersi come norme a tutela delle unioni civili, dell’interruzione di gravidanza, forse anche al divorzio.

Ma il discorso rivolto da Francesco al Csm è stato preceduto da una sfilza di suoi interventi a favore della famiglia tradizionale e contro qualsiasi apertura nel campo del riconoscimento delle unioni omosessuali e di qualsiasi forma di relazione diversa da quella fondata sulla famiglia formata da uomo e donna.

Repetita iuvant

Solo per restare agli ultimi mesi, basta riferirsi al 16 gennaio 2015, quando – nel corso del suo viaggio nelle Filippine – davanti a circa 20mila persone riunite nel palazzo dello sport Mall of Asia Arena di Pasay, a sud di Manila, dopo aver invitato la folla a resistere ai tentativi di «ridefinire il matrimonio», ha affermato, citando l’Humanae vitae di Paolo VI, che in quell’enciclica papa Montini allertava «le sue pecore del lupo che stava arrivando». Quindi il passaggio chiave del discorso, rigorosamente a braccio, in cui compare la stessa espressione utilizzata per i giudici del Csm: «Attenti alle colonizzazioni ideologiche che vogliono distruggere la famiglia, che non nascono dal sogno, dalla preghiera, dall’incontro con Dio, dalla missione che Dio ci ha dato. Vengono da fuori, per questo dico che sono colonizzazioni. Non perdiamo la libertà che Dio ci ha dato, la missione della famiglia! E così come i nostri popoli in un certo momento della storia hanno maturato la decisione di dire no ad ogni tipo di colonizzazione politica, come famiglie dobbiamo essere molto sagaci, forti nel dire no a qualsiasi intento di colonizzazione ideologica sulla famiglia».

Tanto per chiarire il concetto, tre giorni dopo, il 19 gennaio, sull’aereo che da Manila lo riportava a casa, il papa è tornato sulla questione con una storiella che sa di apologo, raccontata durante la sua tradizionale chiacchierata con i giornalisti al seguito: «Venti anni fa, nel 1995, una ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione. Furba, ha detto di sì e anche ha fatto fare un altro libro e ha dato i due [libri] e così è riuscita… Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo; sì con gruppi del popolo, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il Sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi prestiti [si impongano] certe condizioni. Io dico soltanto questa che io ho visto. Perché dico “colonizzazione ideologica”? Perché prendono, prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e farsi forti, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza! I popoli non devono perdere la libertà».

Un altro intervento in cui il papa ha usato l’espressione “colonizzazione ideologica” a proposito della cosiddetta ideologia gender, su cui si farebbe «tanta confusione», è stato durante la visita pastorale alla diocesi di Napoli, il 21 marzo scorso. E poi ancora nell’udienza generale del 15 aprile: «La differenza e la complementarità tra l’uomo e la donna (…) stanno al vertice della creazione divina», ha detto durante una catechesi dedicata al tema della famiglia. «L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze». «La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione».

Confusione versus comunione e generazione

E arriviamo alle ultime settimane. 8 giugno: papa Francesco, nel discorso ai vescovi di Porto Rico ricevuti in visita ad limina, denuncia come la bellezza del matrimonio sia messa in pericolo dalla cosidetta ideologia gender. La «complementarità tra un uomo e una donna, vertice della creazione divina, viene messa in discussione dalla cosiddetta ideologia gender, in nome di una società più libera e più giusta». In realtà, avverte Francesco, «le differenze tra uomo e donna non sono per la contrapposizione o la subordinazione ma piuttosto per la comunione e la generazione, sempre a immagine e somiglianza di Dio». «Senza il reciproco contributo – aggiunge – nessuno dei due può comprendersi in profondità».

E ancora, il 14 giugno (il giorno dopo l’incontro con il Csm di cui sopra) il papa riceve in Vaticano le famiglie partecipanti al Convegno ecclesiale di Roma. «L’essere genitori si fonda nella diversità di essere, come ricorda la Bibbia, maschio e femmina. Questa è la “prima” e più fondamentale differenza, costitutiva dell’essere umano». «E questa reciprocità e complementarietà nella differenza è tanto importante per i figli. I figli maturano vedendo papà e mamma così; maturano la propria identità nel confronto con l’amore che hanno papà e mamma, nel confronto con questa differenza».

Il “segno” del pontificato di Francesco è anche questo. Dire le stesse cose che aveva detto il suo predecessore, Benedetto XVI, ma senza che questo desti lo stesso scalpore di qualche anno fa presso l’opinione pubblica, concentrata (distratta?) sulle tante parole, gesti, atteggiamenti anticonformisti del papa. L’espressione “valori non negoziabili” è stata mandata in soffitta (troppo difensiva in termini concettuali; troppo aggressiva in termini sostanziali); ma il suo spirito continua ad aleggiare. Ed a permeare la teologia e gli orientamenti pastorali di questo pontificato.