Se impoverisce il mondo non è progresso di L.Kocci

Luca Kocci
il manifesto, 19 giugno 2015

È stata presentata ieri in Vaticano Laudato si’, l’enciclica ecologica di papa Francesco «sulla cura della casa comune», annunciata da tempo e anticipata dall’Espresso che lunedì scorso, violando l’embargo, ha pubblicato una bozza, come prevedibile, uguale all’originale.

Titolata in italiano – anzi in volgare umbro del XIII secolo, visto che si tratta di un verso del Cantico di frate Sole di Francesco d’Assisi – invece del tradizionale latino, l’enciclica è ampia, ma la tesi è compatta.

Il rapido sviluppo industriale e tecnico degli ultimi due secoli – dalla prima rivoluzione industriale – ha assegnato un enorme «potere» agli esseri umani, presto trasformato in «dominio», «saccheggio» delle risorse e «sfruttamento» della Terra, dei popoli e delle persone. L’economia e la finanza – non enti astratti, ma capitalisti, banche e multinazionali – hanno preso il sopravvento sulla politica, e la «massimizzazione del profitto» è diventato il valore dominante e il motore del sistema. Questo processo ha generato una grave «crisi ecologica», che è anche crisi «sociale» ed «umana», di cui l’ambiente e miliardi di esseri umani impoveriti sono vittime sacrificali, necessarie al mantenimento del sistema e al benessere di pochi. Ci vogliono, allora, una «resistenza» allo sfruttamento e all’oppressione strutturali e una «conversione ecologica», che per realizzarsi hanno bisogno di una «rivoluzione culturale» capace di sovvertire il «paradigma tecnocratico» che comanda «sull’economia e sulla politica».

Come? Lungo due vie: un mutamento delle azioni politiche e finanziarie, auspicando una «autorità politica mondiale» attenta al bene comune (che sembra un’idea piuttosto velleitaria, anche perché lo stesso Bergoglio, nell’enciclica, elenca i fallimenti dei vertici internazionali per il clima e lo sviluppo sostenibile); e, dal basso, nuovi stili di vita («sobrietà», buone pratiche, consumo critico) e azioni politiche (campagne in difesa dei beni comuni, boicottaggio) per stimolare o costringere imprese e istituzioni a cambiare rotta.

Il messaggio è rivolto «a ogni persona che abita questo pianeta». I cristiani, convinti che la Terra sia dono di Dio, devono essere «coerenti con la propria fede» e non contraddirla «con le loro azioni».

L’analisi della situazione è dettagliata, talvolta ripetitiva, sono inseriti elementi della dottrina apparentemente fuori tema, dalla condanna dell’aborto («non è compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto») alla rivendicazione della «mascolinità» e «femminilità» di ogni essere umano contro la pretesa di «cancellare la differenza sessuale». «Sorella» Terra «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». E i «sintomi di malattia» sono ovunque, «nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi»: inquinamento che provoca «milioni di morti», urbanizzazione e cementificazione selvaggia, «perdita di biodiversità», rifiuti che trasformano la Terra «in un immenso deposito di immondizia», «riscaldamento globale», riduzione di «risorse essenziali come l’acqua potabile», spesso privatizzata e «trasformata in merce». Una distruzione ambientale che ha conseguenze sulle persone: «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali».

Le cause sono tutte umane, riconducibili ad una: la «massimizzazione del profitto», difesa dalle oligarchie con «nuove guerre mascherate con nobili rivendicazioni» e con una «concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui». Invece è il contrario, perché ad esempio «il salvataggio delle banche» è stato fatto pagare «alla popolazione», senza «riformare l’intero sistema», anzi riaffermando «un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi».

Chi dice questo viene accusato di voler «fermare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano», ma non è così, scrive Francesco. Si tratta piuttosto di dare vita a «un’altra modalità di progresso e di sviluppo» – uno «sviluppo sostenibile», una «decrescita in alcune parti del mondo» –, «che potrà offrire altri benefici economici a medio termine». Una soluzione radicale: «Non basta conciliare in una via di mezzo la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro», la stessa «crescita sostenibile diventa spesso un diversivo» e una «giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine». Bisogna «ridefinire il progresso», perché «uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso».

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Laudato si’, l’impegno della Chiesa «in difesa del creato»

Alessandro Santagata
il manifesto 17 giugno 2015

Attesa da tempo e giunta all’attenzione della stampa in maniera rocambolesca, la prima enciclica
sociale di papa Francesco è destinata a lasciare il segno. Premesso che stiamo parlando di una
bozza, anche se ragionevolmente non molto dissimile dal testo finale, si nota già da una prima
lettura che siamo di fronte a un documento meditato, lungo e dettagliato, fino a risultare in alcune
sezioni piuttosto ripetitivo.

Ispirata dal Cantico del poverello d’Assisi, la «Laudato si’» è di fatto la prima enciclica nella storia
della Chiesa dedicata espressamente al problema ambientale.

Ma si inserisce in un lungo percorso di riflessione sulla questione sociale, i cui predecessori sono
ricordati già nelle prime pagine. Come Giovanni XXIII, il papa sceglie un doppio interlocutore: il
gregge dei fedeli e l’insieme degli «uomini di buona volontà», ai quali si rivolge per cercare
insieme le soluzioni alla crisi del pianeta. A Paolo VI viene riconosciuto di aver posto per primo già
nel 1971 il problema ecologico e agli ultimi due pontefici di averlo sviluppato: dalla Centesimus
annus di Giovanni Paolo II, la prima a parlare esplicitamente di «difesa dei beni collettivi», alla più
recente Caritas in veritate di papa Ratzinger, in larga parte incentrata sull’impegno della Chiesa in
difesa del Creato. Quest’ultima categoria, del resto, rappresenta la chiave dal punto di vista
teologico anche del testo di Bergoglio.

L’assunto di fondo è che la società occidentale, con il contributo colpevole anche di molti cristiani,
abbia distorto l’interpretazione del racconto della Creazione esaltando la missione del «dominio»
sulla terra (1,28) e dimenticando quella della «custodia» (2,15). Alla Chiesa – prosegue il papa –
spetta il compito di «demitizzare» questa visione e di «porre fine al mito del progresso infinito»,
peraltro smentito anche dalle acquisizioni della scienza. Per i credenti, il punto di approdo sarà la
«conversione ecologica», ovvero sia una nuova considerazione delle «conseguenze dell’incontro
con Gesù nelle relazioni con il mondo».

In una prospettiva laica e politica, tutt’altro che estranea all’enciclica, il progetto dell’«ecologia
integrale» avanzato da Francesco interroga la società del tempo presente e ne illumina alcune
contraddizioni. In primo luogo, il papa prende atto che il principio evangelico della «destinazione
universale dei beni», sviluppato da Tommaso e poi cardine della dottrina sociale da Leone XIII in
avanti, è stato assunto anche dal pensiero laico più attento alla crisi ecologica globale. Le nuove
generazioni, in particolare, si mostrano coinvolte dal problema della sostenibilità, come dimostra la
proliferazione di movimenti (quello per l’acqua, per esempio) ai quali la Chiesa guarda con favore.

Eppure – denuncia Bergoglio – l’inconcludenza degli ultimi vertici internazionali sul clima e
sull’esaurimento delle risorse naturali sta lì a dimostrare che la subordinazione della politica al
«paradigma tecno-economico» non è venuta meno, malgrado le conseguenze disastrose della crisi
finanziaria del 2007–2008. Al contrario, l’emergenza delle migrazioni e l’aumento della miseria
costituiscono la prova di una crisi ben più profonda e che tocca direttamente i fondamentali morali e
civili delle nostre società.

Per Francesco, denunciare la prepotenza delle oligarchie – come il testo fa a più riprese seguendo il
modello del Documento di Aparecida, la dichiarazione dell’episcopato latinoamericano del 2007 al
papa particolarmente cara – non basta se alla critica al mercato senza regole non si accompagna una
riflessione sull’«ecologia umana» e quindi sul collegamento tra il problema ambientale e sociale
(due volti della stessa medaglia) e la deriva antropologica relativista.

In altri termini, grosso modo gli stessi di Benedetto XVI, papa Francesco individua nell’idolatria
dell’Occidente il punto di crisi che tiene insieme la battaglia per la difesa della vita (contro l’aborto,
la diffusione dell’ideologia gender, ecc) e quella per la difesa del Creato. La stessa lettura del potere
tecnocratico sembra da questo punto risentire in alcuni punti di una valutazione più etica che
economico-fattuale.

Ecco allora che anche quest’ultimo documento si inserisce pienamente nel discorso di Francesco,
con la permanenza di elementi tradizionali dell’anti-secolarismo cattolico e con aperture importanti
anche per chi non crede e debitrici, da un lato, delle linee guida dell’eco-teologia di Leonardo Boff
e dei teologi della liberazione, dall’altro della lectio francescana: dalla funzione sociale della
proprietà privata alla teorizzazione dei beni comuni, alla disattivazione del dispositivo filosofico
occidentale di «dominio».

Nelle sezioni conclusive – peraltro ricche di osservazioni puntuali su gentrificazione, ripartizione
della terra e diversificazione agricola, emissioni, decrescita, ecc. – l’enciclica parla di un contributo
di tutte le religioni a una «rivoluzione culturale» che deve essere spirituale, estetica e linguistica. É
in questa prospettiva, laica e multiculturale, che lo sforzo di Francesco può e deve essere meditato
anche in chiave politica.