Un doppio Bergoglio incontra i membri del Csm e 100mila scout Agesci di L.Kocci

Luca Kocci
il manifesto, 14 giugno 2015

C’è una parola che ha unito i due appuntamenti di ieri mattina di papa Francesco in Vaticano, prima l’udienza ai membri del Consiglio superiore della magistratura e poi l’incontro con gli scout cattolici dell’Agesci: educazione.

«È necessario intervenire non solo nel momento repressivo, ma anche in quello educativo», ha detto prima il pontefice ai componenti del Csm. «Voi offrite un contributo importante alle famiglie per la loro missione educativa verso i fanciulli, i ragazzi e i giovani. I genitori ve li affidano perché sono convinti della bontà e saggezza del metodo scout, basato sui grandi valori umani, sul contatto con la natura, sulla religiosità e la fede in Dio, un metodo che educa alla libertà nella responsabilità», ha ripetuto poi agli scout.

Ma tranne l’insistenza sull’educazione, i due momenti sono stati profondamente diversi. Sia sotto l’aspetto formale: da una parte i completi scuri dei membri del Csm nell’austerità della Sala clementina del Palazzo apostolico, dall’altra i calzoni corti e i fazzolettoni degli scout nel clima festoso di piazza San Pietro, dove erano accorsi in 100mila da tutta Italia (senza l’ex scout Matteo Renzi, solitamente a favore di telecamere). Sia, soprattutto, dal punto di vista dei contenuti.

Perché al Csm, a parte l’appello alla lotta alla corruzione («fenomeni come l’espansione della criminalità, nelle sue espressioni economiche e finanziarie, e la piaga della corruzione, da cui sono affette anche le democrazie più evolute, possono trovare un argine efficace»), papa Francesco ha rivolto un discorso difensivo, riesumando un’espressione già usata in altre occasioni, quella delle «colonizzazioni ideologiche», che nel lessico bergogliano significa difesa della famiglia tradizionale. Sfumando i toni ma puntando comunque al bersaglio, Francesco ha detto che la globalizzazione porta con sé «aspetti di possibile confusione e disorientamento, come quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento delle radici culturali di realtà che vanno invece rispettate; e ciò per effetto di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite. Tante volte ho parlato delle colonizzazioni ideologiche quando mi riferisco a questo problema» («ideologie colonizzatrici» che «cercano di distruggere la famiglia» aveva detto a Manila a gennaio, a Napoli a marzo aveva usato la stessa espressione per identificare la «teoria del gender», uno «sbaglio della mente umana»). E ha messo in guardia sulla difesa ad oltranza dei diritti umani, «nucleo fondamentale del riconoscimento della dignità essenziale dell’uomo», che tuttavia va condotta «senza abusare di tale categoria volendo farvi rientrare pratiche e comportamenti che, invece di promuovere e garantire la dignità umana, in realtà la minacciano o addirittura la violano» (in tal senso in passato ci si è riferito ad aborto e unioni gay).

Di tutt’altro segno il discorso rivolto agli scout, con l’invito a rafforzare la «capacità di dialogo» e a «fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore!». E l’elogio della Carta del coraggio, il documento scritto collettivamente l’estate scorsa da Rover e Scolte (gli scout della fascia di età 16-21 anni) riuniti a San Rossore per la Route nazionale. «Questa Carta – ha detto ieri papa Francesco – esprime le vostre convinzioni e aspirazioni, e contiene una forte domanda di educazione e di ascolto rivolta alle vostre comunità capi, alle parrocchie e alla Chiesa». Ma la Carta del coraggio è un documento decisamente avanzato su temi sociali ed etici come unioni di fatto e coppie omosessuali (e infatti parecchi scout, lasciata San Pietro, si uniscono al corteo del Gay Pride): consideriamo famiglia «qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto», hanno scritto gli scout, invitando la Chiesa (e la politica) a «mettersi in discussione», «rivalutare i temi dell’omosessualità» e «accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall’amore».

Resta da capire qual è il vero Bergoglio: quello delle «colonizzazioni ideologiche» del Csm o quello della Carta del coraggio degli scout?

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Per chi «copre» casi di pedofilia il giudizio dell’ex Sant’Uffizio

Luca Kocci
www.ilmanifesto.it

I vescovi accusati o colpevoli di «abuso di ufficio» sui casi di pedofilia saranno giudicati da un’apposita sezione che verrà creata all’interno della Congregazione per la dottrina delle fede, ovvero l’ex Sant’Uffizio. Lo ha stabilito ieri papa Francesco, al termine della riunione del cosiddetto C9 – il Consiglio dei cardinali che lo sta aiutando nell’elaborazione di un progetto di riforma della Curia e nel governo della Chiesa –, accogliendo una proposta fortemente voluta dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori (in cui sono presenti anche due laici, Mary Collins e Peter Saunders, che subirono abusi sessuali da alcuni preti), presieduta dal cardinale statunitense, il cappuccino Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, diocesi che negli anni passati è stata investita da uno scandalo di pedofilia ecclesiastica di grandissime dimensioni.

Non si tratta dell’introduzione di un nuovo reato, come precisa il direttore della Sala stampa della Santa sede, padre Federico Lombardi («ci sono già nel codice di diritto canonico gli agganci per questo, non è che nasce dal nulla»), ma della definizione di una precisa «procedura con cui affrontare questi casi» che fino ad ora – nei rari casi in cui il Vaticano ha proceduto nei confronti di un vescovo – erano gestiti senza un “protocollo” preciso.

Nella fattispecie è stabilito che «la competenza a ricevere ed esaminare le denunce di abuso d’ufficio episcopale (il comportamento dei vescovi che non hanno dato seguito alle denunce di abusi e violenze sessuali da parte di ecclesiastici su minori, n.d.r.) appartenga alle Congregazioni per i vescovi, per l’Evangelizzazione dei popoli o per le Chiese orientali» – a seconda dell’area in cui sarebbe commesso il reato –, e che successivamente il giudizio spetti alla Congregazione per la dottrina della fede. All’interno di essa sarà istituita «una nuova Sezione giudiziaria», guidata da un segretario, che quindi si affiancherà all’unico segretario al momento previsto e che collaborerà strettamente con il prefetto della Congregazione.

Una riorganizzazione che dovrebbe rendere la procedura più rapida e funzionale. In ogni caso il papa ha stabilito «un periodo di cinque anni in vista di ulteriori sviluppi delle presenti proposte e per il completamento di una valutazione formale della loro efficacia». Resta il nodo della collaborazione con le autorità civili degli Stati, non ancora affrontato e regolato.