Verso il Sinodo: nuovi contributi dal fronte progressista di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Notizie n° 26 del 18/07/2015

Quello che si celebrerà in ottobre è il secondo Sinodo sulla Famiglia. Difficile attendersi risultati molto diversi dalla prima assise, quella del 2014, anche se la celebrazione di un Sinodo “ordinario” rispetto al precedente, che era “straordinario” prevede la presenza di un numero maggiore di padri sinodali indicati dalle conferenze episcopali, con la conseguenza che il dibattito dovrebbe essere, se non più libero, certamente meno indirizzato dalla Curia e dai dicasteri romani. Certo, il fatto che il papa (in una intervista concessa in occasione dei due anni di pontificato alla vaticanista Valentina Alazraki, per la rete messicana Televisa) abbia definito «aspettative smisurate» quelle di tanti credenti nei confronti dell’assise sinodale ha contribuito a smorzare gli entusiasmi. Così come la frase «con questo non si risolve nulla», detta, sempre nel corso della stessa intervista, da papa Francesco circa l’idea di concedere la comunione ai divorziati risposati.

Tanto meno, ha aggiunto il papa, se loro – i divorziati – la comunione la “vogliono”, «la pretendono». Perché la comunione non è «una coccarda, una onorificenza. No». In ogni caso, in attesa del Sinodo il dibattito teologico prosegue, seppure con toni certamente minori rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tra le novità, un saggio del card. Walter Kasper, divenuto ormai di fatto il portavoce delle istanze liberal del Sinodo, dell’ala cioè più “aperturista” sulle questioni spinose che la Chiesa contemporanea si trova ad affrontare, a partire dalla comunione ai divorziati risposati. Kasper – che il papa aveva fatto intendere di considerare uno dei suoi più ascoltati consiglieri in materia di pastorale familiare – è tornato a proporre l’accesso dei divorziati risposati all’eucaristia, dopo «un percorso penitenziale».‎ Lo ha fatto in un lungo articolo pubblicato sul mensile dei gesuiti tedeschi Stimmen der Zeit (luglio 2015).

Le tesi di Kasper non contengono particolari novità rispetto a quelle già espresse nella sua celebre relazione pronunciata di fronte al Concistoro dei cardinali del 21 febbraio 2014 e poi nel corso del dibattito al Sinodo sulla Famiglia del 2014. Nel suo saggio, definisce «famiglie ferite bisognose di aiuto» quelle in cui i coniugi hanno divorziato. Afferma che «la comunione sacramentale, cui l’assoluzione apre di nuovo la strada, deve dare alla persona che si trova in una difficile situazione la forza per perseverare sul nuovo cammino. Proprio i cristiani in situazioni difficili hanno bisogno di questa sorgente di forza che è per loro il pane di vita».

Perché, in fin dei conti, se i sacramenti sono «doni» che Dio, tramite Gesù, fa «ai suoi figli» questi doni vanno specialmente destinati a coloro che «vivono in situazioni di difficoltà e disagio a causa di fallimenti, dolorose rotture, cadute». Senza che la Chiesa li carichi di ulteriori sofferenze, come l’ostracismo dai sacramenti. Senza per questo arrivare ad «una pseudomisericordia a buon mercato. Vale infatti, secondo quanto si legge in 1Cor 11, 28, il seguente principio: chi ostinatamente, cioè senza volontà di conversione, persevera nel peccato grave non può ricevere l’assoluzione ed essere ammesso alla comunione (CIC, can. 915). Questo principio è in sé evidente e indiscutibile.

La questione concreta di chi si trovi effettivamente in modo ostinato in una tale situazione di perdizione non è però ancora decisa. Per dare risposta a tale questione bisogna distinguere bene le diverse situazioni ed esaminarle singolarmente con comprensione, discrezione e tatto». «Non si può parlare di un’oggettiva situazione di peccato senza considerare anche la situazione del peccatore nella sua singolare dignità personale. Per questa ragione non può esserci alcuna soluzione generale del problema, ma solo soluzioni individuali».

Nella stessa direzione di Kasper si era mossa anche Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti di Roma le cui bozze vengono riviste dalla Segreteria di Stato, diretta da p. Antonio Spadaro, assai vicino a papa Francesco. Oltre al colloquio fra Spadaro e il teologo domenicano p. Jean-Miguel Garrigues (v. Adista Notizie n. 22/15), sul numero 3958 (30/5) p. Gian Luigi Brena, filosofo e antropologo, firma un editoriale dal titolo “Misericordia e verità” in cui, attraverso l’analisi di una delle parole chiave del pontificato di Francesco, cerca di dimostrare come la sollecitudine pastorale verso le persone e le loro vicende umane e familiari non contrasti con la fedeltà alla verità cristiana, ma anzi aiuti a conoscere meglio tale verità, ad assimilarla e a realizzarla nella propria vita.

Durezza del cuore e flessibilità della legge

Torna a parlare dell’indissolubilità del matrimonio anche p. Guido Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, già priore del monastero romano di San Gregorio al Celio, docente al Pontificio Istituto Biblico e alla Pontificia Università Urbaniana. Mesi fa, Gargano aveva scritto un saggio (v. Adista Notizie n. 17/15) sul quadrimestrale di teologia Urbaniana University Journal sostenendo che nel Regno dei cieli predicato da Gesù c’è posto anche per chi usufruisce della concessione mosaica del ripudio.

Il monaco ha recentemente inviato un nuovo saggio, in forma di lettera, al blog di Sandro Magister (in prima linea nell’animare il dibattito dell’ala più intransigente dell’episcopato e del mondo teologico sulla questione dell’accesso all’eucarestia per i divorziati), replicando alle critiche ricevute in questi mesi e ribadendo la sua tesi di fondo. E cioè che Gesù, in linea con una corrente del giudaismo a lui contemporanea, quella degli “esseri moderati”, teorizzasse la validità di due leggi: quella “scritta nelle stelle”, eterna ed immutabile, antecedente agli stessi patriarchi, che stabilisce l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, e quella stabilita da Dio con il suo popolo attraverso Mosè, più flessibile perché necessitata ad andare incontro alla limitatezza umana, alla «durezza di cuore» del popolo ebraico, e che invece consentiva il ripudio del coniuge.

Gesù, con la sua affermazione «non sono venuto ad abolire la legge, ma a darle pieno compimento», «accettandone la saggezza intrinseca anche quando “accondiscende” alla nostra “durezza di cuore”», sceglie di dare fiducia alla legge mosaica, e decide – sostiene Gargano – di non «abolire del tutto le sue indicazioni. Gesù non è venuto per abolire Mosè, ma per favorirne il compimento. Infatti la sua Legge non è fissista, non è perfezionista, ma dinamica».

Resta un elemento che su Adista avevamo già avuto modo di rilevare: rispetto a tesi assai più coraggiose sul tema dei divorziati risposati (come quella dell’ecclesiologo don Giovanni Cereti e, ancor di più, quella del liturgista Andrea Grillo) il dibattito, sul fronte progressista, sembra ormai attestarsi su una linea teologicamente piuttosto prudente, tipicamente “francescana”. Il peccato resta – cioè la rottura di un vincolo considerato indissolubile (che però Grillo e Cereti discutono si possa sempre considerare tale) – ma la misericordia di Dio che si esercita attraverso il magistero della sua Chiesa può eventualmente concedere a chi sbaglia, se si pente e riconosce pubblicamente il suo errore e compie un adeguato percorso spirituale, di tornare ad accostarsi all’eucarestia.