Il migliore dei Papi possibili? di A.Tempestini

Attilio Tempestini
www.italialaica.it

La domanda è, ovviamente, di quelle che mal si prestano ad una risposta netta; tanto più se si mirasse ad una risposta che tenga presenti, analoghe domande formulabili per pontefici del passato. Proviamo, tuttavia, quanto meno ad andare nel senso di una risposta -per l’attuale pontefice-. Articolandola, su tre livelli; che d’altra parte circoscrivono il discorso a campi particolarmente rilevanti in tema di laicità e, dunque, prescindono dalle posizioni di papa Francesco su un piano economico-sociale.

Il primo livello, possiamo definirlo teologico. Naturalmente non è che mi porrò da un punto di vista interno, ad un ambito di saperi in materia di divinità: senza dubbio, mi mancherebbero i ferri del mestiere. Bensì mi porrò da un punto di vista esterno, per mettere a confronto da un lato una dimensione teologica (che fa perno, appunto, su una divinità); dall’altro una dimensione umanistica, nel senso di prescindere da entità divine.

Fra gli elementi di fondo, che differenziano le due dimensioni, direi che vi è quello per cui nella prima, trova necessariamente posto un’istanza di infallibilità; nella seconda, questa necessità manca. Quando allora il papa, nelle settimane scorse, ha parlato di crimini commessi dalla Chiesa cattolica nell’America meridionale ed ha chiesto perdono al riguardo, ecco che indubbiamente l’istanza di infallibilità si stempera ed il contrasto fra le due dimensioni si attenua.

Il secondo livello riguarda i modi, in cui la Chiesa si comporta rispetto a chi ne fa parte; modi che, nei termini più formalizzati e sistematici, danno vita al diritto canonico. Su questo livello mi sembra che, con papa Francesco, le cose vadano in una direzione corrispondente a quella che ho appena individuato. Così, ecco darsi più rilievo alla circostanza, che pure il clero può sbagliare: giacché i casi di pedofilia li vediamo, adesso, chiaramente sanzionati. Così, ecco che non ci si ritiene a tal punto infallibili da sbarrare la porta, a chi si trova in situazioni che la Chiesa considera sbagliate: mi riferisco alla nota affermazione del papa, secondo la quale se una persona omosessuale cerca Dio, non sta al papa stesso giudicarla (va da sé che resta il problema di come si atteggi, il papa, verso chi da omosessuale non cerca Dio…).

Il terzo livello riguarda i modi, in cui la Chiesa ritiene che lo Stato debba rapportarsi alla medesima: riguarda, insomma, i rapporti di cui -a considerarli dal lato dello Stato- si occupa il diritto ecclesiastico. Ebbene, se ciò che ho finora osservato comporta rilevanti novità nei confronti dei precedenti due pontefici, qui le novità appaiono assai scarse.

Basti considerare la visita fatta al papa, qualche mese fa, dal nostro presidente della Repubblica; nel corso della quale, essi hanno rilevato che vi sono “eccellenti relazioni tra la Santa sede e l’Italia”. Ora, secondo il papa relazioni del genere -ed il suo interlocutore non mi risulta che abbia detto qualcosa, per prendere qualche distanza- sono frutto dei “Patti lateranensi”; essi garantendo “il mutuo orientamento alla fattiva collaborazione, sulla base di valori condivisi e in vista del bene comune”.

Insomma, un elogio non soltanto del regime concordatario, ma della sua concretizzazione in determinate norme che rispetto a quelle, statuite nel 1929, sono passate negli anni ’80 per appena qualche attenuazione. Al tempo stesso si parla, di valori condivisi e bene comune fra da un lato la S. Sede; dall’altro, uno Stato di cui chi non è di fede cattolica fa pur parte con ugual diritto, rispetto a chi è di tale fede.

Il papa ha (nella stessa occasione) aggiunto, che non si deve “confinare l’autentico spirito religioso nella sola intimità della coscienza”: e fin qui, siamo ai noti principi liberali secondo i quali la libertà delle idee è da tutelare, anche allorché queste vengono manifestate e sostenute. Ma, ha proseguito il papa, va riconosciuto “il ruolo significativo [di questo spirito religioso] nella costruzione della società”: e qui invece, da tali principi liberali ci si allontana proprio, giacché è loro estraneo un riconoscimento di significatività a questo o quello “spirito” -religioso oppure no-. Ci si trova, piuttosto, dalle parti dell’Habermas su cui mi sono soffermato in un recente contributo per “Italialaica”.

Concluderei, quindi, che ai primi due livelli considerati, parlare del migliore dei papi possibili non sembra fuor di luogo: giacché pare difficile immaginare, in un pontefice, posizioni che si spingano notevolmente oltre quelle suddette. Diverso il discorso, per il terzo livello: si potrebbe pur immaginare un pontefice il quale, per esempio, dichiari di apprezzare in ugual misura relazioni con Stati, non basate su concordati. Naturalmente potrebbero dargli una spinta, per giungere a dichiarazioni del genere, Stati che dal canto loro non facessero del regime concordatario, un dato indiscutibile.