E Salvini riscrive la “sua” Chiesa Sì a Biffi, no ai vescovi “comunisti” di A.Rapisarda

Antonio Rapisarda
www.iltempo.it

Sì al presepe e al bambinello contro il laicismo, difesa del crocifisso nelle scuole pubbliche ma sempre tutelando lo «spazio vitale» della politica dall’ingerenza del Vaticano sulle questioni sovraniste come la difesa dei confini. È la Chiesa secondo «l’altro Matteo», la particolare declinazione del messaggio evangelico e dei confini dell’istituzione religiosa da parte del leader della Lega Nord, in pieno scontro dialettico e politico con il segretario della Cei Nunzio Galantino, a quanto pare voce più che legittimata dal Santo padre.

Ha parlato addirittura di «sfida» ieri Ilvo Diamanti su Repubblica, a proposito dei rapporti tesi tra il segretario leghista e la Chiesa di papa Francesco, spiegando come la Lega si consideri di fatto «la vera difesa della Croce contro i nuovi barbari». Se i tratti mistici non mancano di certo nell’immaginario leghista – a partire dal Carroccio stesso, sul quale il sacerdote benediceva i combattenti in guerra contro le truppe dell’imperatore, e piene di santi sono le insegne della Liga Veneta e della Lega Lombarda -, se Salvini pubblicamente manifesta stima per la Chiesa e rivendica la sua fede cattolica, non rinuncia però – davanti a quelle che reputa invasioni di campo – a pronunciare il cavouriano «libera Chiesa in libero Stato». Una misura necessaria che funge da contraltare alle esternazioni di alcuni esponenti di primo piano del Vaticano sul delicato dossier immigrazione.

Anticlericalismo? Per nulla. Lui stesso ne è convinto: «La Chiesa non è questa», ha ribadito rispondendo agli attacchi dei «vescovi comunisti». Quali i riferimenti allora dell’«altro Matteo»? Il vescovo di Como Alessandro Maggiolini e l’ex arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi su tutti. Entrambi impegnati nella difesa delle radici e dell’identità specifica dell’Europa. «Uomo di fede e di coraggio. Ci mancherà» scriveva Salvini il giorno della scomparsa di Biffi, ripercorrendo così uno dei suoi ragionamenti: «O l’Europa ridiventerà cristiana o l’Islam vincerà: gli islamici hanno una visione integralista della vita pubblica… I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d’accordo con tutte le idee, è così per chi non ha nessuna idea» Lo predicava, inascoltato, nel lontano 2000. Non vi sembra che avesse ragione? Grazie cardinal Biffi».

E di Biffi ha ricordato anche la «ricetta» sull’immigrazione, ossia la preferenza per i popoli di fede cattolica perché i musulmani «nella stragrande maggioranza vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità, individuale e associata». Una Chiesa baluardo della (propria) tradizione, quindi, più che dell’universalità accusata – senza dosi necessarie di realismo – di essere globalizzante e di favorire, nel caso specifico, lo sfruttamento dell’immigrazione da parte di Ong o, peggio, delle mafie. Una teologia tutt’altro che ipocrita, insomma, dove l’immigrato non è il buono a tutti i costi e il suo contributo può diventare virtuoso nel rispetto delle regole e nella capacità effettiva di offrirgli un lavoro vero, qualificato e onesto. Una Chiesa declinata in chiave identitaria, infine.

Del resto la Chiesa a cui guarda Salvini è di «popolo» e non «di base», sensibile al sentire della comunità territoriale. Non è un caso – come spiega Lorenzo Fontana, europarlamentare e sodale del segretario – che «è Don Camillo il parroco per eccellenza secondo la nostra visione». Dalla figura creata dal genio di Giovannino Guareschi emerge infatti la difesa degli interessi del proprio territorio «ma anche la figura del prete antimoderno e preconciliare, attento a combattere “l’errore”». La Chiesa di Matteo Salvini è un patchwork dove convivono icone religiose di rottura come il don Sturzo dell’appello agli uomini «liberi e forti» e il don Milani della «disobbedienza» («l’obbedienza a una legge sbagliata non è virtù, ma complicità»), così come il tradizionalismo del Papa filosofo Benedetto XVI del quale il segretario leghista rilancia la strenua difesa dei diritti non negoziabili che ha segnato il suo pontificato. La Chiesa di Salvini è sostanziale, non spettacolare, e contraria al protagonismo inopportuno di sparute autorità ecclesiastiche. Ma è soprattutto la Chiesa che non si preoccupa di scontentare i maestri del politicamente corretto.