Eugenio Bernardini: il dialogo tra cattolici e valdesi riparte da ecumenismo e giustizia sociale di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Notizie n° 30 del 12/09/2015

La visita di papa Francesco al tempio valdese di Torino, il 21 giugno scorso, e la sua richiesta di perdono per le persecuzioni messe in atto dalla Chiesa cattolica contro i seguaci di Pietro Valdo; nonché il Sinodo appena concluso, nel corso del quale si è tra l’altro approvata una liturgia comune per la benedizione delle unioni omosessuali. Sono tante le novità che nelle ultime settimane hanno caratterizzato la vita della Chiesa valdese e metodista, una piccola realtà di alcune decine di migliaia di fedeli, che da anni però fa parlare di sé per la sua organizzazione orizzontale, la sua inclusività, la sua apertura ai temi ed alle sensibilità del mondo contemporaneo. Su alcune delle questioni al centro del dibattito sinodale da poco concluso (v. Adista Notizie n. 29/15) e delle cronache recenti Adista ha intervistato il moderatore della Tavola Valdese (cioè l’organo operativo della Chiesa valdese e metodista) il pastore Eugenio Bernardini, in carica dal 2012, subentrato alla pastora Maria Bonafede, prima donna a ricoprire questo importante incarico.

Guardando le immagini del Sinodo suscita sempre una certa impressione vedere le urne in cui i sinodali depositano le schede elettorali per votare sulle singole mozioni… La verità sembra si cerchi assieme, che non sia qualcosa che venga dall’alto, fissata una volta e per sempre. Una idea di Chiesa diversa da quella a cui si è abituati. È questo l’aspetto che continua a caratterizzarvi rispetto alle altre confessioni?

Una Chiesa che vive di collegialità e democrazia interna molto sviluppata è la forma tipica assunta da tutte le esperienze che si richiamano alla Riforma, che hanno assunto un modello ecclesiologico opposto a quello verticistico che Lutero aveva così duramente criticato. Si tratta di sistemi che si sono storicamente sviluppati in maniera diversa, ma sono tutti basati sulla partecipazione della base; sul voto democratico, per cui la maggioranza vince, anche se non sempre la maggioranza ha ragione, e quindi decide; su incarichi a termine, che hanno sempre un inizio ed una fine stabiliti. Sono tutti quei caratteri di una comunità fraterna, collegiale e corresponsabile che pensiamo siano quelli peculiari dell’esperienza luterana sin dall’inizio della Riforma.

Passiamo alla questione del perdono chiesto dal papa. Ci sono state molte polemiche sui giornali rispetto alla posizione da voi assunta. Per alcuni la vostra risposta evidenzia una certa difficoltà e un certo disagio all’interno del mondo valdese sulle vicende passate, che non vi consentirebbero ancora di chiudere questa pagina dolorosissima della vostra storia…

Veramente le cose non stanno così come le hanno raccontate alcuni organi di stampa. Abbiamo tanti esempi di generazioni contemporanee, appartenenti alla stessa nazione, cultura, religione di quelle che le hanno precedute che hanno fatto ammenda per fatti ed azioni compiute anni o secoli prima. Sono esperienze che fanno già parte – e da tempo – di un dibattito ampio che ha avuto il suo punto più alto nel riflessione sulla possibilità stessa che dopo la tragedia della Shoah si possa chiedere scusa agli ebrei odierni. Le risposte di studiosi ebrei e di tanti intellettuali protagonisti nell’impegno contro l’antisemitismo è fondamentalmente basata sul distinguo. È cioè importante che le generazioni attuali possano prendere le distanze, anche con parole forti, rispetto a ciò che i loro avi hanno compiuto, utilizzando anche le categoria usata da papa Francesco, cioè quella della richiesta di perdono. Tale richiesta deve essere ovviamente accolta, ed anche noi lo abbiamo fatto, ma in un senso lato, cioè come il segno della presa di distanza dal passato e l’impegno affinché il presente sia radicalmente diverso da ciò che è stato e che non deve essere ripetuto. Nel suo senso più ampio e vero, però, soltanto chi ha subìto un danno può in senso proprio perdonare.

Seguendo questo ragionamento, però, si potrebbe eccepire che allora solo chi ha compiuto una violenza può chiedere perdono per essa. Quindi, tecnicamente, papa Francesco non sarebbe stato legittimato a chiedere scusa per qualcosa che non ha compiuto lui personalmente, ma i suoi predecessori…

Quello che però papa Francesco ha fatto di radicalmente nuovo e di veramente importante – e che rende quindi particolarmente significativa la sua richiesta di perdono – è stato affermare ciò che finora nessun pontefice aveva mai detto prima. E cioè che ai valdesi sono stati fatti torti non cristiani e persino disumani. Di più: che questi torti sono stati compiuti dalla Chiesa, non da figli della Chiesa che hanno sbagliato. Qui c’è uno scarto significativo rispetto alle numerose richieste di perdono fatte da Giovanni Paolo II. Francesco ha affermato queste novità in modo chiaro, esplicito e coraggioso. E noi questo lo abbiamo colto, apprezzato e interpretato come la volontà di aprire una nuova pagina nel dialogo con la nostra Chiesa. E noi siamo pronti ad intraprendere questa strada. La questione che abbiamo sollevato in una frase è stato il richiamo al fatto che purtoppo ciò che è accaduto rimane, anche nella memoria. Ma è giusto e logico che sia così, perché una memoria che viene coltivata evita di ritrovarsi nella stessa situazione. Il giorno dopo la stampa cattolica aveva letto correttamente la nostra lettera, un giornale laico no, mostrando a mio avviso la mancanza delle categorie fondamentali per affrontare un problema così complesso come quello del perdono. Che pretende un impegno ed un dialogo autentico, profondo ed articolato, come è giusto che avvenga tra i cristiani.

Le chiedo ora un giudizio da una prospettiva attenta, ma esterna rispetto alla Chiesa cattolica su papa Francesco: quelle del pontefice romano sono, a suo giudizio, importanti prese di posizione, gesti, atteggiamenti di apertura che però non cambiano la prassi e la dottrina della Chiesa cattolica; oppure si tratta di vera “rivoluzione”, come sostengono i più?

I cambiamenti profondi in una istituzione complessa come la Chiesa cattolica richiedono tempo e un cambiamento di mentalità, una cultura diversa. Non si realizzano certo nel giro di pochi mesi e forse nemmeno in pochi anni. Quello ci auguriamo possa accadere sotto papa Francesco è che la situazione oggettiva in cui si trova oggi il cammino per un cristianesimo ecumenico e per un fecondo dialogo interreligioso consenta a tutti di trovare soluzioni più avanzate e creative rispetto al passato. E ciò sia sul fronte dei tradizionali nodi teologici che continuano a separarci o comunque soltanto a distinguerci come Chiese cristiane e confessioni religiose, sia sul terreno di una maggiore collaborazione su tutta una serie di questioni che riguardano la costruzione di una società più libera, più equa, più accogliente. Tutto ciò sta accadendo oggi sulla questione dei migranti. Vedremo col tempo se si tratta di un cammino che si potrà approfondire ed assestare anche su altre importanti questioni. Noi valdesi ci auguriamo sinceramente che possa essere così, perché dopo cinque secoli di polemiche è ora di voltare pagina. Non vorrei quindi iscrivermi al partito di chi scommette per una parte o per l’altra rispetto all’esito che può avere questo pontificato.

La Dominus Iesus di Ratzinger e Wojtyla ha solennemente affermato che le Chiese diverse dalla ortodossa non possono essere più definite in alcun modo Chiese sorelle, e nemmeno Chiese in senso proprio… Rispetto a questo nulla finora è cambiato…

Una questione – quella del mancato riconoscimento della nostra Chiesa come tutte quelle che sono figlie del protestantesimo – che io ho immediatamente posto a papa Francesco al momento del suo arrivo a Torino, come Chiesa. Mons. Bruno Forte al Sinodo ha provato a indicare quale strada si potrebbe realisticamente percorrere assieme proprio sul riconoscimento da parte cattolica delle Chiese che non hanno mantenuto la successione apostolica diretta. Forte ipotizza un percorso in cui nessuno chiede all’altro di rinunciare ad essere se stesso; ma nonostante la mancanza di una piena comunione ci si può reciprocamente riconoscere come Chiese. Una tesi non nuovissima in ambito ecumenico, ma che la ponga oggi un alto rappresentante della Cei in una ribalta istituzionale come il Sinodo valdese e metodista conferma l’esistenza di un clima che consente almeno di provare a realizzare assieme una maggiore comunione e collaborazione.

Il leggero calo segnalato dagli ultimi dati rispetto all’8 per mille ai valdesi che significato ha per voi?

Noi seguiamo sempre con attenzione i dati dell’8 per mille. Sono e restano fondi pubblici, parte delle tasse dei contribuenti che noi dobbiamo gestire con grande attenzione perché non sono soldi nostri. Il calo per la verità ce lo saremmo aspettato nei prossimi anni più che adesso, per l’ingresso nel sistema della ripartizione dei fondi di nuove confessioni religiose, come la buddhista o l’induista. In ogni caso per noi conta soprattutto che ci sia trasparenza da parte di tutti i percettori dell’8 per mille, dallo Stato alle Chiese. La trasparenza non serve alla competizione tra chi è destinatario delle firme dei contribuenti, ma a vigilare affinché il denaro venga utilizzato sempre per progetti che abbiano valore sociale e religioso. Noi pensiamo di farlo da sempre, rendendo conto puntualmente e dettagliatamente delle nostre scelte e questo è stato riconosciuto da moltissime persone che ci hanno in questi anni dato fiducia. Questo conta più dei numeri. Poi, ovviamente, contano anche i numeri…

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Otto per mille, le sfide in un mondo in crisi

Sara Tourn
www.riforma.it

Rivedere le quote di distribuzione fra Italia ed estero e potenziare la Commissione di valutazione dei progetti: una discussione fortemente operativa

Aumentare i controlli avvalendosi di diverse professionalità, elaborare una procedura per la presentazione dei progetti che sia al tempo stesso approfondita e agile, intensificare i contatti diretti con le associazioni e le opere destinatarie dei fondi. Questi sono i tre ambiti principali su cui l’Ufficio Otto per mille intende concentrarsi per migliorare il proprio servizio e la gestione di una materia sempre più complessa (nel 2014 sono stati finanziati più di 1000 progetti).

Il tema è stato affrontato nel dibattito del pomeriggio di martedì 25 agosto e ripreso dalla conferenza stampa del giorno seguente, moderata da Sergio Velluto, alla quale hanno partecipato Susanna Pietra, responsabile dell’ufficio Otto per mille, e il pastore della chiesa valdese di Pinerolo Gianni Genre, membro della Commissione otto per mille. In questa direzione va l’atto approvato dal Sinodo su questo tema, che chiede criteri di selezione più precisi, maggiori risorse per la fase di controllo sul campo, rivedendo le modalità di selezione dei progetti.

Le decisioni adottate dal Sinodo in corso riflettono pertanto l’aspetto fortemente operativo del tema. Innanzitutto è stata rivista la ripartizione dei fondi fra Italia ed estero , che negli ultimi due anni era stata stabilita al 50% (in precedenza c’era una prevalenza dell’Italia), prevedendo una quota minima del 40% per ogni campo di attribuzione e un “cuscinetto” del 20% da attribuire all’uno o all’altro. Come ha spiegato Susanna Pietra, «decidere a priori due quote fisse rappresentava un ostacolo al nostro lavoro, impedendoci di finanziare progetti molto validi e interessanti perché i fondi erano terminati; è invece importante garantire una sorta di flessibilità per rispondere alle emergenze e alle situazioni improvvise che vengono a crearsi».

L’altro aspetto su cui il Sinodo si è pronunciato è la modifica della composizione della Commissione otto per mille, formata da volontari e coordinata da un membro della Tavola valdese (in questo caso il Moderatore), data la crescente mole di lavoro (ciascuno ha dovuto esaminare 200 progetti). La nuova Commissione, che ha durata annuale, avrà un minimo di 6 e un massimo di 10 membri.

A questo proposito il pastore Gianni Genre ha spiegato: «una delle questioni che dobbiamo affrontare seriamente è come analizzare e valutare tutti questi progetti che noi in parte conosciamo direttamente e personalmente; una prima valutazione viene fatta dall’Ufficio opm, poi interviene la Commissione, sempre chiedendosi se sta agendo correttamente (pensiamo ad esempio agli scandali legati alle cooperative in “Mafia capitale”). Molto importante è il momento di confronto, il nostro lavoro prevede alcune intense giornate in cui i membri si trovano per discutere su migliaia di progetti: teniamo conto infatti sono il 25-30% di essi sono stati effettivamente finanziati… (i motivi di rifiuto sono diversificati, dal vizio di forma all’inconsistenza della proposta)».

L’aumento della quantità e qualità dei controlli, preventivi e in itinere, è uno degli obiettivi anche dell’Ufficio Otto per mille, che da settembre si avvarrà «di persone con competenze in materie diverse (sanitarie, ingegneristiche, economiche…) che facciano anche “l’analisi d’impatto” in modo che il’Ufficio possa riportare in Sinodo una valutazione della ricaduta sui vari territori dei progetti realizzati. Senza dimenticare che i controlli da parte dell’ufficio (in media 50-60 all’anno), sono anche un’occasione per farsi conoscere. Sempre più spesso, infatti, i soggetti che usufruiscono dei fondi chiedono di conoscere la realtà valdese. Un valido sostegno viene poi dalle chiese, come singole comunità e come denominazioni, non solo come divulgatori delle informazioni legate alla gestione dell’otto per mille e ai vari progetti, ma come promotori di progetti importanti, come ad esempio Mediterranean Hope, promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia».

Non spaventa dunque, anzi viene accolta molto favorevolmente l’indagine avviata dalla Corte dei Conti, da un lato sull’utilizzo concreto dei fondi otto per mille e dall’altro sulla conoscenza da parte degli italiani di tale gestione. E non spaventa nemmeno la lieve flessione negli ultimi dati, con un calo di alcune migliaia di firme: le motivazioni sono diversificate, legate a divergenze sugli orientamenti in materia di famiglia, bioetica, sessualità, ma sicuramente anche la crisi economica ha influito negativamente. Quello che conta, per tutti, è continuare a portare il proprio aiuto a coloro che più ne hanno bisogno.