I valdesi. L’Europa sia più coraggiosa, l’Italia più laica di J.Rosatelli

intervista a Eugenio Bernardini, a cura di Jacopo Rosatelli
www.ilmanifesto.info

Si è chiuso ieri a Torre Pellice, piccola «capitale» del mondo protestante italiano nelle montagne
torinesi, l’annuale Sinodo valdese.

Dei risultati del confronto fra i 180 «deputati» (i delegati con diritto di voto, laici e pastori) parla
Eugenio Bernardini. Sposato, tre figli, laureato alla Facoltà valdese di teologia di Roma nel 1981,
ha studiato anche a San José in Costa Rica (Centro America). Consacrato al ministero nel 1982, è
stato pastore a Foggia e Orsara di Puglia, Torino, Coazze-Giaveno e San Secondo di Pinerolo. È
stato direttore del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdese «Riforma» dal 1996 al 2003.

E ora Bernardini è stato rieletto per la quarta volta moderatore della Tavola valdese, cioè guida
dell’organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi.

Pastore Bernardini, il suo bilancio di questo Sinodo?

I nostri lavori si sono svolti in un clima particolare, per due ragioni. Innanzitutto perché avevamo
vissuto a giugno l’evento storico della visita di papa Francesco al Tempio valdese di Torino, con i
messaggi che ci siamo scambiati, molto autentici e fraterni, e la sua richiesta di perdono per le
persecuzioni da noi subite. Una richiesta a nome della Chiesa cattolica e non, come nel passato, a
nome di «alcuni cattolici che hanno sbagliato». Sulla richiesta di perdono abbiamo risposto in modo
articolato e non banale: qualcuno non ci ha capiti e ha ritenuto che noi rifiutassimo la richiesta del
papa. Non è così. Abbiamo accolto le sue parole come la volontà di cominciare una storia nuova,
ricordando semplicemente ciò che per un cristiano è scontato: non si può perdonare per interposta
persona.

E la seconda ragione che spiega il clima particolare in cui si sono svolti i vostri lavori?

La questione dei migranti, il dramma che stiamo vivendo. Di fronte a ciò che accade non possiamo
fare a meno di continuare la nostra opera di accoglienza in tutta Italia. Ma non solo: continuiamo a
insistere nei confronti delle istituzioni europee per cercare soluzioni per fermare questi episodi
quotidiani di morte.

Su questo c’è consonanza con la chiesa cattolica di papa Francesco. Invece, le differenze
restanosul tema dei diritti civili: al sinodo avete fatto un ulteriore passo in avanti, approvando
una liturgia ufficiale per la benedizione delle coppie di persone dello stesso sesso…

È così. Esiste una radicale differenza nell’approccio ai temi etici, specialmente quelli riguardanti
l’affettività. L’approccio protestante è diverso da quello cattolico non da oggi, ma da fine Ottocento,
ad esempio su un tema come la contraccezione. Sulle unioni omosessuali abbiamo fatto il passaggio
che ha citato: è un’evoluzione della scelta compiuta cinque anni fa di rendere possibile la benedizione delle coppie dello stesso sesso.

Non esiste più alcuna differenza nelle benedizioni delle unioni eterosessuali e omosessuali?

No, non sono uguali. Nel senso che noi riconosciamo la specificità delle unioni omosessuali, il
vissuto delle persone che formano quelle coppie, e il contesto di discriminazioni e difficoltà nel
quale spesso vivono. Quindi le unioni hanno la stessa dignità, tuttavia le liturgie sono diverse,
perché tengono conto del contesto, della vita. L’anno prossimo spero che potremo approvare un
documento molto importante sulla famiglia, che per noi è diventato «sulle famiglie», al plurale:
siamo coscienti che la nostra riflessione pastorale deve rivolgersi a una pluralità di modelli di
unione.

Anche per questo motivo, voi siete percepiti come un presidio di laicità nel nostro paese. Qual
è lo stato di salute, oggi, della laicità in Italia?

È incompleto e va implementato, utilizzando le parole del presidente Sergio Mattarella sul tema
della libertà religiosa. È una laicità incompleta perché anche nella mente di una parte della
popolazione non è un concetto acquisito. E in alcuni è acquisito malamente: non è assenza della
religione, ma il fatto che ciascuno deve stare nei propri limiti. E va implementato, dicevo, perché in
uno stato moderno la laicità è un presidio che crea in una società plurale spazi di convivenza
proficui. Senza laicità non possiamo accogliere le diversità. Il tasso di laicità di questo nostro paese
deve senz’altro aumentare. Ciò significa che chi detiene posizioni di privilegio deve accettare di
fare passi indietro.

Dal vostro osservatorio, come percepite la crisi che sta attraversando l’Europa?

Vediamo un’Europa in cui non spiccano personalità che hanno l’ascendente per fare scelte
coraggiose, magari impopolari. E manca un consenso su idee forti comuni. Una delle frasi che
Martin Luther King ripeteva ai suoi collaboratori quando lo invitavano alla prudenza era: «Noi non
dobbiamo seguire l’opinione pubblica, la dobbiamo formare». I leader europei dovrebbero assumere
con più coraggio scelte lungimiranti, ma questo coraggio non c’è.

Alcuni attribuiscono al «carattere protestante» della Germania la sua politica di rigore, ad
esempio nei confronti della Grecia. Lei cosa ne pensa?

Da un certo punto di vista noi comprendiamo forse più di altri cosa c’è nell’animo di leader politici
che hanno alla loro base il rigore della cultura protestante: in Germania se un politico mente deve
dimettersi, e anche la presidente delle Chiese protestanti tedesche lasciò il suo ruolo per
un’infrazione al codice della strada. E aggiungo che anche nella gestione dell’emergenza profughi, i
numeri della Germania sono sempre veritieri, oltre che molto più alti dei nostri: in altri Paesi
mancano invece dati certi. Detto questo, noi apprezziamo molto le critiche che le nostre Chiese
partner muovono al governo tedesco sul fronte dell’accoglienza ai profughi. E ripeto che la
leadership europea, quindi anche quella tedesca, soffre di gravi deficit nell’affrontare le crisi del
nostro tempo, compresa ovviamente quella della Grecia: manca una visione lungimirante, c’è solo
piccolo cabotaggio dettato dal troppo riguardo per gli umori dell’opinione pubblica.

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Migranti e nuove famiglie. Le proposte del Sinodo valdese

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 29 del 05/09/2015

Al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi, svoltosi a Torre Pellice dal 23 al 28 agosto (v. notizia precedente), il dibattito si è svolto come di consueto nel segno dell’attualità. A partire dalla predicazione del culto di apertura, tenuta dalla pastora Erika Tomassone e incentrata sul tema dell’incontro con l’estraneità. «Non a tutti piace viaggiare nella vita quotidiana – ha detto la pastora – non tutti sono curiosi, non tutti amano incontrare persone di altre culture, avere a che fare con altre usanze, e poi quegli strani cibi e le malattie di cui possiamo anche fare a meno; non tutti hanno i mezzi per fare del turismo durante le vacanze; non tutti i nostri viaggi sono vacanze, ma spostamenti dai molti nomi: emigrazioni, esodi, esilii, fughe». «Quando però parliamo della nostra vocazione – ha proseguito – il viaggiare si impone. Se non ti sposti, se non vivi uno spaesamento umano davanti a Dio, c’è qualcosa che non va. Nello stare fermi c’è il rischio di costruire una casa più o meno bella, una struttura di pensiero, parole e azioni più o meno stanca, dove ogni cosa ha la sua spiegazione, il suo perché». Eppure è proprio Gesù ad invitarci a sconfinare dai nostri recinti ideologici e teologici, a scompaginare le nostre certezze per incontrare l’estraneità, prima fra tutte la «misericordiosa estraneità di Dio» capace di cambiare le nostre vite. È l’esperienza del profeta Giona che Gesù stesso, nel brano di Luca 11,29-32, prende ad esempio e la cui vicenda ha fatto da filo conduttore del sermone. «Finisce che invece di abbandonarti con fiducia all’incontro con quel Dio che si è spaesato per venire fino a te e portarti liberazione e che ti vuol far camminare, ti arrocchi e ti difendi. Ti trinceri nel tuo paese etico, teologico e spirituale». E allora, ha concluso Tomassone, «in questo tempo di rinnovati muri mentali e materiali con cui ci difendiamo dagli altri e le altre, di reticolati, macerie e di fronti contrapposti, ci conceda Dio una vita di liberi viaggiatori, libere viaggiatrici».
Parole in linea con quella che è la pratica quotidiana della Chiesa valdese che al tema dell’incontro e dell’accoglienza dedica tanta parte della sua attività. Ne è un esempio il progetto Mediterranean Hope che si articola in un Osservatorio sulle migrazioni istituito a Lampedusa, il centro di accoglienza e di incontro “Casa delle culture” a Scicli (RG), un relocation desk per seguire il progetto migratorio delle persone accolte. «In collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio – ha spiegato Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) – siamo impegnati nella quarta fase del progetto che consiste nella costituzione di “corridoi umanitari” dal Marocco all’Italia per permettere a soggetti particolarmente vulnerabili di ottenere, in base alla normativa vigente, un visto umanitario per raggiungere il nostro Paese sfuggendo al ricatto criminale degli scafisti».
Un progetto rilanciato nel corso del Sinodo a seguito dell’ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo, vale a dire il ritrovamento di 51 cadaveri nella stiva di un barcone diretto verso l’Italia e soccorso al largo della Libia da una unità svedese. «Siamo rimasti profondamente segnati da quello che abbiamo vissuto», hanno dichiarato gli operatori di Mediterranean Hope: «Ieri sera al molo di Lampedusa non abbiamo visto solo profughi, non abbiamo soccorso semplicemente chi fugge dalle guerre e chiede protezione. Ma abbiamo soccorso madri, figli, fratelli e amici di persone morte in mare che per tutta la vita, come noi, continueranno a rivivere questi momenti drammatici».
A dimostrazione dell’importanza che riveste la questione per la Chiesa valdese, il Sinodo ha approvato un ordine del giorno che dà mandato alla Tavola valdese «di farsi portavoce presso le Istituzioni della Repubblica affinché operino in modo che quanti/e si mettono in viaggio, per motivi di sopravvivenza o per cercare una vita migliore, possano essere accolti/e e accompagnati/e nei loro progetti di vita, perché il denaro investito dallo Stato venga speso effettivamente a favore dell’integrazione e dell’inclusione sociale dei migranti; e affinché si moltiplichino gli sforzi per affrancare i migranti dalle mafie».

Le novità dell’8 per mille

Mediterranean Hope, come tanti altri progetti promossi da valdesi e metodisti, è finanziato con i fondi dell’8 per mille, altro tema al centro del dibattito sinodale. «L’8 per mille valdese e metodista è entrato in una fase di consolidamento sia riguardo alle procedure sia rispetto ai numeri», ha spiegato il pastore Gianni Genre, membro della commissione 8 per mille della Tavola valdese, che ha commentato la lieve flessione delle firme a favore della Chiesa valdese (emersa dagli ultimi dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate) come «un assestamento fisiologico» che conferma comunque un numero di firme 20 volte maggiore rispetto al numero dei fedeli. Tra le novità approvate in sede sinodale, l’implementazione delle procedure di selezione e valutazione dei progetti finanziati, avvalendosi di esperti che, come ha spiegato Susanna Pietra, responsabile dell’Ufficio 8 per mille della Tavola valdese, «possano valutare non solo l’andamento delle diverse iniziative ma anche il loro impatto sulle società e i territori a cui si rivolgono». Un potenziamento delle verifiche che si inserisce «in una politica di trasparenza che ha sempre contraddistinto la Chiesa valdese», ha dichiarato Genre: «Per questo, abbiamo visto favorevolmente l’iniziativa della Corte dei conti che per la prima volta ha proceduto ad una indagine conoscitiva sull’uso dei fondi 8 per mille».
L’assemblea ha inoltre deciso di incrementare i progetti riguardanti l’accoglienza dei migranti. «Non solo il progetto Mediterranean Hope che ha una dimensione nazionale ed internazionale, ma anche altri di più piccola entità. Stanno aumentando anche le richieste di associazioni di migranti costituitesi in Italia per promuovere iniziative nei loro Paesi d’origine». Infine, il Sinodo ha deciso di rendere più flessibile la ripartizione tra le quote destinate all’estero e quelle all’Italia: ciascuna dovrà corrispondere a un minimo del 40% del budget totale, utilizzando il restante 20% a seconda delle necessità che di volta in volta si presenteranno.

Nuove famiglie

Al Sinodo si è parlato infine anche di nuove famiglie. In particolare, i deputati hanno ricevuto e inviato alle chiese locali affinché lo studino e lo valutino, un ampio documento redatto dalla Commissione famiglie nominata dalla Tavola valdese. Nel documento, ha spiegato Paola Schellenbaum membro della Commissione, la famiglia fondata sul matrimonio rimane rilevante ma non è più considerata forma privilegiata o addirittura unica. «Il testo – ha aggiunto – è il frutto di un confronto, di un dialogo con la società, di cui cerca di cogliere i cambiamenti e le novità». Le chiese locali dovranno far pervenire le loro osservazioni sul testo che verrà posto in discussione e votazione al Sinodo del prossimo anno.
I membri sinodali hanno inoltre affrontato la questione di una liturgia per la benedizione di coppie dello stesso sesso. Nel 2010 l’assemblea ha introdotto la possibilità, per le chiese locali che abbiano fatto un opportuno percorso, di celebrare benedizioni di unioni di coppie dello stesso sesso. Successivamente ha dato mandato alla commissione apposita di definire una liturgia ufficiale che è stata sottoposta al Sinodo di quest’anno e approvata. Il testo della liturgia inizia con la citazione biblica di 1Gv 4,7 che dice: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio». «Questo – ha spiegato Mirella Manocchio, coordinatrice della commissione culto e liturgie delle Chiese battiste, metodiste e valdesi – per dire che ogni amore autentico, libero e sincero viene da Dio, indipendentemente dal fatto che si tratti di una coppia eterosessuale o omosessuale».