Ignorate o sottovalutate. Le teologhe non ci stanno e alla vigilia del Sinodo dicono la loro di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 33 del 03/10/2015

Se parlare di rivoluzione, come fanno e hanno fatto in molti, è probabilmente fuori luogo, quel che è certo è che da quando Bergoglio è diventato papa abbiamo visto e sentito cose che mai avremmo ritenuto possibili: rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo varcare la soglia del Vaticano; la leader dei No Global, Naomi Klein, tenere all’Augustinianum, a Roma, una conferenza sul cambiamento climatico organizzata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; l’isola di Lampedusa scelta come meta del primo viaggio papale; il capitalismo oggetto di puntuali denunce. E così a ritroso fino al celeberrimo «Chi sono io per giudicare?».
Esempi che manifestano un impegno a favore degli ultimi che ha impresso alla Chiesa un cambiamento, quantomeno simbolico.
Un impegno cui però, per essere davvero a 360°, manca qualcosa: perché rispetto a una grossa fetta di “ultimi”, le donne, il papa – anche volendo accantonare per un momento le numerose volte in cui ha condannato la cosiddetta “ideologia gender” – non ha mostrato finora alcuna intenzione di muovere un passo. Che si tratti dei diritti riproduttivi – sempre e comunque stigmatizzati – o di un maggiore ruolo delle donne nella Chiesa – necessità dichiarata a parole ma rimasta lettera morta – Bergoglio non sembra essere poi così “femminista”, come si è spinto a definirsi il 17 settembre scorso parlando all’udienza ai giovani consacrati (e ringraziando la testimonianza delle donne consacrate; non tutte però, specificava, perché «ci sono anche alcune un po’ isteriche»).
Persino nella Laudato si’ – dove non si rintraccia neppure un accenno al fatto che saranno le donne, in quanto più povere, a pagare maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico – c’è un passaggio dedicato all’aborto, «incompatibile con la difesa della natura», nel quale il papa dichiara: «Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà». Insomma, come sintentizza con amara ironia la femminista statunitense Katha Pollitt, «l’aborto provoca lo scioglimento dei ghiacciai e l’estinzione della specie. Dall’Eden all’ecologia è sempre colpa delle donne».
E se rispetto all’Eden il 16 settembre scorso il papa ha detto che «esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male», nella stessa occasione ha affermato che c’è invece «spazio per una teologia della donna» all’altezza della «benedizione» contenuta nelle parole che Dio rivolge al serpente ingannatore: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe» (Gn 3,15a). Affermazione che ricorda quella relativa a una «teologia della donna» ancora da fare pronunciata nell’estate 2013, che fece storcere il naso alla teologa Ivone Gebara, la quale si domandava come potesse il papa ignorare «la forza del movimento femminista e la sua espressione nella teologia femminista cattolica» (v. Adista Documenti n. 29/13).

Prendiamo parola!

Insomma il papa non sembra neanche lontamente aver raccolto i frutti della teologia femminista né sembra propenso a valorizzare il lavoro teologico che, dal Concilio Vaticano II in poi, le donne hanno condotto in ogni campo. Lo dimostra anche il fatto che non ha approfittato dell’occasione fornitagli dal Sinodo sulla famiglia per modificarne la composizione in maniera da dare significativo spazio alle loro voce. La lista dei partecipanti prevede infatti giusto una trentina di donne, di cui la maggior parte invitata, come lo scorso anno, come metà di una coppia chiamata a parlare in quanto tale (e naturalmente senza alcun diritto di voto).
In questo quadro giunge dunque davvero a proposito la pubblicazione, il 1° ottobre, di un libro che raccoglie 40 interventi scritti da altrettante teologhe di ogni provenienza geografica – dal titolo Catholic Women Speak: Bringing Our Gifts to the Table (“Le donne cattoliche prendono parola: portando i nostri doni alla tavola”) – che costituisce il primo frutto di un progetto che ha visto confrontarsi centinaia di donne cattoliche da ogni parte del mondo grazie a un forum online (www.catholicwomenspeak.com).
Tanti i nomi di rilievo che al pubblico di Adista risulteranno familiari: da Elizabeth A. Johnson a Lisa Sowle Cahill; da Tina Beattie a Margaret Farley; passando per le italiane Cettina Militello e Lucetta Scaraffia. E tanti i temi trattati: dalla contraccezione al matrimonio omosessuale; dalla mortalità materna all’esperienza femminile di castità. Tutte questioni sulle quali le autrici vorrebbero che il Sinodo ascoltasse la loro voce.
«Intendiamo porre domande ed esaminare questioni che non hanno trovato nella Chiesa uno spazio di discorso aperto», spiegano nell’introduzione al volume. «Per esempio, c’erano poche donne al Sinodo dei vescovi del 2014 e la maggiore parte era stata invitata a partecipare solo in quanto metà di una coppia che celebra e appoggia l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia. Valorizziamo e rispettiamo la loro testimonianza – proseguono – ma rimpiangiamo, comunque, il fatto che nessuna di loro abbia fatto riferimento all’esperienza dei milioni di donne cattoliche che non si conformano così agevolmente a questo modello». I partecipanti, poi, non si sono interessati del lavoro condotto dalle teologhe che hanno «scritto di matrimonio, vita familiare, sessualità, e rapporti umani». Insomma, «le voci femminili non sono state ascoltate in modo da rappresentare autenticamente l’enorme diversità delle vite delle donne cattoliche, né è stato riconosciuto il contributo delle teologhe».
«Papa Francesco ha detto che “noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna”»: «Tali osservazioni – sottolinea il Network – riducono le donne a oggetti da studiare, a una distinta categoria di riflessione. In quest’ottica, la teologia serve e riguarda soprattutto gli uomini, il “noi” cui si fa riferimento. Ma le donne – precisano – hanno fatto teologia dall’epoca dell’Antico Testamento. Resistiamo, quindi, a qualsiasi suggerimento secondo cui esisterebbe nella Chiesa la necessità di una teologia “femminile” o “della femminilità”. Anziché una teologia femminile più profonda, riteniamo necessario per la Chiesa avere una teologia più profonda dell’essere umano: una teologia antropologica che può essere sviluppata solamente attraverso l’inclusione delle donne nel processo di riflessione teologica». «In questo libro ci sono alcune delle voci finora assenti. Siamo ben consapevoli – concludono – che nessun libro può vantare di racchiudere una diversità così ricca e abbondante: la nostra speranza è che la volontà di aprire uno spazio di dialogo e incontro consentirà ad altre donne di alzare la voce ed essere ascoltate».

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Il Sinodo cattolico sulla famiglia

Letizia Tomassone, teologa protestante, Coordinamento delle teologhe italiane
www.riforma.it

Non mi appassiona criticare le scelte di un’altra chiesa, ma oggi credo sia necessario esprimersi per far emergere la voce delle donne e dell’esperienza quotidiana di famiglia che, nel Sinodo cattolico che si avvicina, non hanno trovato alcuno spazio.

Nel Sinodo cattolico saranno emessi pronunciamenti che ancora una volta avranno un gran peso sulla vita di donne e uomini di ogni età nel momento in cui questi si incontreranno, faranno coppia, nasceranno: poiché si nasce sempre in una famiglia e lì si vivono relazioni di genere più o meno ingiuste, più o meno di dominio e subordinazione, più o meno ispirate all’affetto condiviso e alla libertà di ognuna e ognuno. E la religione ha un potere morale che condiziona addirittura le legislazioni.

Papa Francesco ha spesso ripetuto: la chiesa siamo tutti, non solo alcuni. E’ su questa base che ha voluto questa larga consultazione, la massima possibile, sulle dinamiche di cambiamento che coinvolgono le famiglie nel nostro tempo in ogni società. Un Sinodo anche accompagnato da questionari (uno nuovo sta per partire) inviati a tutti i vescovi; il primo ha avuto risposta da molti gruppi e associazioni del mondo cattolico.

Eppure il Sinodo che si occuperà dei temi della famiglia vede un soggetto del tutto assente: le donne. Solo tredici presenze, di cui tre religiose nominate e non elette, e tutte senza possibilità di voto. E anche le risposte al questionario non sono state rese note fuori dal Sinodo, che appare così blindato, tenendo fuori le voci critiche e non omologate.

Già i documenti preparatori sono segnati dalla mancanza di uno sguardo di genere. La prospettiva storica, presente negli strumenti di lavoro, da un lato toglie base scientifica alla cosiddetta legge naturale, dall’altro però etichetta come caduta nel peccato la ricerca in atto nel mondo occidentale di fare della coppia e della famiglia un fatto affettivo e non un ingranaggio dell’economia o della politica. Questa ricerca viene bollata come auto-centrata, eppure nelle relazioni famigliari del passato ben poco della libertà e della autodeterminazione erano presenti nel contratto matrimoniale, nella sfera della sessualità e in quella della riproduzione.

Il Sinodo dovrà affrontare i nodi della disuguaglianza uomo-donna in molte realtà famigliari del mondo, ma per ora non sembra prendere in considerazione uomini e donne concrete che in quanto coniugi, figli e figlie e in molte altre posizioni fanno vivere le realtà famigliari. Inoltre secondo i testi prodotti sinora la pari dignità tra i sessi non rientra nel quadro degli insegnamenti della chiesa sul matrimonio, che restano quelli dell’indissolubilità e della procreazione. Solo un punto nel documento introduttivo cita i diritti delle donne e dei minori nella famiglia, ma subito sottolinea il pericolo dell’individualismo che sarebbe insito nella rivendicazione degli stessi diritti.

Questo porta, secondo le teologhe cattoliche che stanno seguendo con attenzione i lavori in vista del Sinodo, a rimuovere il soggetto maschile ed ecclesiale che resiste contro i diritti delle donne. Esso non viene nominato né in negativo, per una forma di autocritica, né in positivo, come capace di sostenere la promozione della libertà delle donne.

Scrive una di esse, Rita Torti, “preoccupa la scelta di denunciare la violenza nei confronti delle donne senza menzionarne gli autori”. Le cattoliche americane invitano poi il Sinodo a prendere in considerazione i doni preziosi e vitali che esse portano alla tavola comune: per esempio il sacerdozio comune dei credenti e la libertà femminile nella chiesa che le deriva dal battesimo; la riscoperta di testi biblici liberanti; la capacità di cura e l’accento su una chiesa capace più di servizio che di potere.

Di fronte alla necessità di una battaglia così dura per far riconoscere la propria voce nel luogo in cui si elabora la teologia della chiesa sento di essere privilegiata a vivere la mia fede in una chiesa che non solo riconosce i ministeri femminili, ma che è stata capace di formulare parole e pratiche di critica del soggetto maschile patriarcale fondato religiosamente. E che in generale, volendo riscrivere un documento sul matrimonio, ascolta le esperienze e le elaborazioni di donne e uomini. Così il documento sulla famiglia che è approdato al Sinodo valdese per essere inviato allo studio delle chiese quest’anno invita le chiese a essere una comunità che si prende cura, anche elaborando nuove forme pattizie fra persone che tengano conto di criteri come: la giustizia nella relazione, le aspettative nel legame affettivo, il riconoscimento dell’altra/o come compagna/a di umanità. Le famiglie e le coppie sono plurali come plurali sono le società in cui le chiese, anche quella cattolica romana, sono chiamate ad annunciare che Dio è amore.

Anche quando la chiesa cattolica cerca una uniformità che possa essere riconosciuta nella propria forma sacramentale è necessario che queste diversità siano ascoltate e non messe a tacere o demonizzate, e che costituiscano la base e la linfa del magistero cattolico.

Così la chiesa imparerà nuove vie e non starà semplicemente a riaffermare dottrine tradizionali che sono state usate per ormai troppo tempo per asservire le donne in società in cui solo gli uomini sembrano potersi esprimere pienamente.