Verso il Sinodo 2015. La legge che ingabbia lo Spirito di IlGuado

Il Guado – Milano
Adista Segni Nuovi n° 32 del 26/09/2015

Il Guado è un gruppo di omosessuali credenti che opera a Milano dal 1980. Nei 35 anni di esperienza che abbiamo sulle spalle abbiamo capito che noi omosessuali credenti siamo colpevoli di non aver aiutato la Chiesa a “comprendere” la nostra omosessualità: vivendola nell’ipocrisia e evitando, quasi sempre, di condividerla all’interno delle comunità cristiane di cui facciamo parte.
L’invito alla parresia che papa Francesco ha fatto in occasione dell’apertura del Sinodo dello scorso anno ci spinge a dare un contributo che parta dalla nostra esperienza. Ci siamo limitati a rispondere ad alcune delle domande poste dal Sinodo dei vescovi.

«Come aiutare a capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio e come esprimere questa verità nell’azione pastorale della Chiesa verso le famiglie, in particolare quelle ferite e fragili?».

Fondamentale è l’accesso all’Eucarestia che, quando viviamo una ferita o una situazione di fragilità, secondo la Chiesa, è la vera medicina che ci aiuta a percorrere il retto cammino. (…). Per quanto un’azione pastorale possa essere efficace e “vicina” alle persone che vivono in situazione irregolare (come i divorziati risposati) resta l’enorme contraddizione per cui tali persone sono escluse dall’incontro sacramentale più intimo con Dio, cioè l’Eucaristia che, per Ambrogio, deve essere ricevuta “sempre”, perché è la medicina che rimette i nostri peccati. Davvero la situazione che si viene a creare è paradossale, perché la misericordia di Dio viene negata nell’atto supremo del suo dono, dimenticando che è Cristo stesso ad aver affermato: «Prendetene e mangiatene tutti». Se il centro della vita cristiana è l’Eucarestia come si può sentire un cristiano che ne viene allontanato? Si sentirà rifiutato da Dio e rischierà di allontanarsi in maniera definitiva dalla Chiesa.
Sarebbe dunque opportuno non dimenticare mai il suo essere una medicina che ci è stata donata in maniera gratuita perché agisca dentro di noi in maniera efficace. Tutto sta nel decidere se l’Eucaristia debba essere la manifestazione di una coerenza di vita morale e di fede (…) oppure ciò che accompagna il fedele verso quella coerenza e gli dà la forza per raggiungerla. A ben vedere, infatti, la nostra vita cristiana è sempre imperfetta, ed è solo per la Grazia di Dio che può avvicinarsi alla perfezione. (…). È la liturgia stessa che ci ricorda questo, quando, poco prima della comunione eucaristica, affida al celebrante questa preghiera: «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa». Di fronte al dono della grazia sacramentale siamo tutti peccatori ed è solo in ragione della fede della Chiesa che diventiamo degni di riceverla. Non permettere la comunione eucaristica a una persona che con la sua vita sacramentale dimostra di essere in comunione con la Chiesa solo perché vive in una situazione in cui si manifesta un disordine morale significa non fidarsi fino in fondo della grazia di Dio. (…).

«La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente “la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti”. Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?».

La domanda da porsi, in questo caso, è una sola: conta di più il Codice di Diritto canonico o conta di più la Scrittura con l’invito pressante a lasciar agire lo Spirito di Dio che, come dice Pietro nella casa del centurione Cornelio, «non fa preferenze di persone» (At 10,34)? Anche le parole che spesso vengono citate per sostenere che Gesù stesso abbia affidato alla Chiesa il compito di difendere in tutti i modi l’indissolubilità del matrimonio si applicano a una situazione completamente diversa da quella in cui si trova una persona divorziata che vive un secondo matrimonio. I farisei che si rivolgono a Gesù gli chiedono se sia giusta la legge mosaica che permette al marito di ripudiare la moglie: un atto di violenza in cui qualcuno impone, in nome dei suoi privilegi, le sue decisioni a qualcun altro, senza curarsi della sua volontà.
La risposta di Gesù è molto chiara, ma può essere applicata a una situazione completamente diversa come quella che vivono le persone che, al giorno d’oggi, divorziano? Comprese all’interno del contesto in cui si collocano, le parole di Gesù (Mc 10,2-12) sono un invito a superare la legge (il Diritto canonico) e a seguire l’annuncio cristiano (la libertà dei figli di Dio). E quel «non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito» è un ammonimento pesante a quanti, in nome di norme giuridiche puramente umane, pretendono di separare due persone che si amano di un amore vero.
E due persone che, dopo un primo matrimonio, decidono di intraprendere con serietà una nuova relazione basata sul rispetto, sulla responsabilità, sulla fedeltà e aperta al servizio non sono persone che si amano di un amore vero? Con che autorità un uomo può pretendere di rompere la loro relazione in nome di un Diritto canonico rigido e incapace di superare gli errori che ciascuno può commettere?
Si tratta in sostanza di accogliere ciò che di buono c’è nelle nuove nozze, incoraggiando i coniugi a viverle in un’ottica evangelica, aiutandoli, nello stesso tempo, a compiere un adeguato percorso penitenziale che li porti a confessare gli errori che hanno portato allo scioglimento del precedente matrimonio e a sanare le eventuali situazioni di conflitto ancora presenti. (…). Si potrebbe riconoscere la possibilità di celebrare delle seconde nozze dopo un adeguato percorso penitenziale, riprendendo la prassi in uso nelle Chiese ortodosse.
Pur affermando la verità dell’indissolubilità, definita anche nella Gaudium et Spes (n. 48) e mai messa in discussione da alcun padre sinodale, si possono quindi cercare delle strade che permettano di non allontanare dalla Chiesa chi vive un secondo matrimonio. È vero che, così facendo, si abbandona la mistica nuziale che spesso viene richiamata nella celebrazione del matrimonio, ma quella stessa mistica viene richiamata quando con l’ordine si accede al sacerdozio ministeriale e in quel caso, viene tranquillamente sciolta quando il sacerdote è ridotto allo stato laicale. (…).

«Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?».

Sul tema dell’omosessualità esiste nella Chiesa una distanza grave tra la dottrina così come è enunciata nei documenti del magistero e la prassi di moltissime comunità. Questa distanza ha implicazioni molto gravi sia sulla vita delle persone omosessuali che nella vita delle loro famiglie. (…).
L’omosessualità nelle nostre comunità è quasi sempre un tabù; una persona che condivide, all’interno della comunità cristiana la propria omosessualità, viene quasi sempre emarginata e allontanata; nel tentativo di ostacolare il percorso di riconoscimento e di valorizzazione delle relazioni omosessuali che molti Stati portano avanti si usano espressioni, nei confronti delle persone omosessuali, che non sono affatto delicate e rispettose.
Invece di affrontare il tema dell’omosessualità con «studio attento, impegno concreto e riflessione onesta» (Homosexualitatis problema, 2), si dà spazio a gruppi di ciarlatani che, contro qualunque evidenza scientifica, elaborano le ipotesi più strampalate sull’origine dell’omosessualità, confondono l’orientamento sessuale (che ha a che fare con l’omosessualità) con l’identità di genere (che riguarda invece la transessualità e con l’omosessualità non ha niente a che fare), parlano di possibili terapie riparative dell’omosessualità (che quando non sono inutili sono addirittura dannose, con effetti gravi sull’equilibrio psichico di chi le subisce e che in alcuni casi hanno portato addirittura al suicidio) e si inventano “ideologie del gender” che nessun autore serio definirebbe tali.
Dietro a questo atteggiamento c’è una sostanziale sfiducia nell’azione della grazia di Dio che si ritiene incapace di ricavare dalla vita delle persone omosessuali dei percorsi concreti verso la santità. A pensarci bene si tratta di un peccato grave di cui si macchiano molte comunità ecclesiali e molti pastori che sono chiamati a guidarle. Un peccato che nasce da un sentimento di paura che condiziona l’atteggiamento di tutta la Chiesa quando si parla di omosessualità. (…).
Gli omosessuali vengono spinti a vivere nell’ipocrisia la loro condizione, dimenticandosi che Gesù, nel Vangelo, mentre non parla mai di omosessualità, parla molto spesso di ipocrisia, condannandola sempre con grande decisione. Quale sequela di Gesù può essere vissuta se si viene spinti a vivere nell’ipocrisia il proprio orientamento sessuale?
La Chiesa, se davvero intende prendere sul serio quanto il suo magistero ha affermato sull’omosessualità, deve innanzitutto superare la paura e incoraggiare le persone omosessuali che ci sono al suo interno affinché offrano ai fratelli la loro esperienza, condividano le loro difficoltà, mettano a disposizione le loro capacità.
Si tratta di aiutare le persone omosessuali a iniziare quel percorso che – partendo dall’accettazione di sé attraverso una sana autostima (che sola può fornire le energie per iniziare un cambiamento importante nella propria vita), con il supporto e la vicinanza della comunità e di chi vive nei loro confronti un’autentica amicizia, pregando regolarmente e accostandosi ai sacramenti – decide di fare proprio quell’invito alla castità che la Chiesa rivolge a tutti i credenti, non solo agli omosessuali.