Su donne e genere la Chiesa studi l’Abc. Intervista a Benedetta Selene Zorzi

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 37 del 31/10/2015

«Le mie figlie volevano le bambole e non i giochi dei fratelli. E se hanno bisogno di risolvere un problema pratico vanno dal papà, perché il ruolo dell’uomo è quello di andare nel mondo, mentre se devono sfogare malumori vengono da me perché le donne accolgono» (Huffington Post, 17/10). Basterebbero le parole della scrittrice Costanza Miriano, autrice del famigerato Sposati e sii sottomessa, per chiarire quanto limitanti possano essere gli stereotipi di genere: gli uomini vanno nel mondo, quindi non hanno tempo, non compete loro, non si confà alla loro “natura” accogliere; le donne accolgono quindi non hanno tempo, non compete loro, non si confà alla loro “natura” andare nel mondo. Insomma gli uomini sono così, le donne sono colà. Tertium non datur.

Il contesto di simili dichiarazioni, pronunciate per dimostrare l’esatto opposto, vale a dire quanto preziosi siano i tradizionali modelli maschile e femminile, è presto detto: il convegno romano “Generazione famiglia”, promosso dal gruppo Manif pour Tous Italia il 17 ottobre scorso per serrare le fila contro il ddl Cirinnà sulle unioni civili e il diffondersi della fantomatica “ideologia del gender”.

A tuonare dal palco contro matrimoni gay e presunte colonizzazioni ideologiche ai danni della famiglia “naturale”, oltre a Miriano, la crème de la crème del cattolicesimo tradizionalista nostrano: dal giornalista Mario Adinolfi alla deputata Ncd-Ap Eugenia Roccella, passando persino per l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, notoriamente esperto di questioni di genere.

«Ci muoveremo su tre fronti», ha annunciato al termine dei lavori il portavoce della Manif pour tous Italia, Filippo Savarese: «Costituiremo un coordinamento nazionale anti-gender, ovvero, una rete di famiglie che in tutta Italia sarà costantemente in allerta su questa tematica. Poi, con l’operazione “Caro Ministro”, invieremo migliaia di raccomandate al Ministero dell’Istruzione per far uscire il gender dalle scuole italiane. Infine, il 4 dicembre, inviteremo le famiglie a non mandare i figli a scuola, per la giornata chiamata “Prima la famiglia”. Con questa simbolica protesta non vogliamo metterci contro la scuola che, anzi, è nostra alleata, ma far capire che l’educazione sessuale, affettiva e morale avviene prima tra le mura domestiche».

Abbiamo parlato della questione e delle sue implicazioni con Benedetta Selene Zorzi, del Coordinamento Teologhe Italiane, autrice, tra le altre cose, del prezioso volume Al di là del “genio femminile”. Donne e genere nella storia della teologia cristiana (Carocci, 2014).

Il prossimo 4 dicembre i bambini del “Family Day” non andranno a scuola. Che cosa pensi dell’ultima trovata delle associazioni che si definiscono pro-family riunite a Roma lo scorso 17 ottobre?

Di primo acchito mi verrebbe da dire che non mandare i bambini a scuola è sempre e comunque una grave colpa, come lo è l’epurazione sistematica di un certo tipo di letture, cosa che avviene solo nei regimi totalitari, perché sembrerebbe che i pregiudizi siano più importanti della cultura. Conoscere non ha mai fatto male a nessuno, se non allo status quo. Sinceramente, poi, fare una guerra ideologica usando i bambini, che non sanno nemmeno quale sia il punto della questione, credo sia una grave colpa delle famiglie nella loro responsabilità educativa.

È almeno un decennio che la Chiesa stigmatizza il concetto di “genere” riducendolo a strumento per oscurare la differenza o dualità dei sessi, ma è solo da un paio d’anni a questa parte che alcune realtà ecclesiali (e parte della Chiesa stessa) hanno cominciato a far circolare lo spauracchio dell’“ideologia gender”. Cosa ha determinato l’emergere ora di tale questione e quali pensi siano le reali ragioni di questa crociata?

Gli studi di genere sono molto più vecchi dello spauracchio cattolico “ideologia gender”. Mi sembra che le uniche che negli ambienti cattolici si siano misurate seriamente con gli studi di genere siano state le teologhe. Purtroppo, i nostri studi sono stati sempre sottovalutati dai nostri colleghi maschi. Ora si svegliano e si accorgono sgomenti che “il mondo parla ‘gender’” (per parafrasare un celebre padre della Chiesa), corrono ai ripari in gran fretta, provando a recuperare lacune di assimilazione che difficilmente riescono però a colmare. Ne è un esempio l’articolo apparso su Il Sole 24 Ore il 18 ottobre a firma di Gianfranco Ravasi – tra le migliori menti nel nostro panorama clericale quanto ad apertura di orizzonti e profondità di conoscenze – che risulta però un vero pasticcio concettuale, oltre a palesare grossolani errori. C’è bisogno di una vera alfabetizzazione di questi temi tra il clero, i seminaristi e i teologi che, probabilmente anche perché maschi, fanno una certa fatica a “vedere” il problema, perché è sempre stato loro nascosto.

Se non mi sbaglio, il primo documento ufficiale che stigmatizza in modo consistente il problema “gender” è la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo”, emanata nel 2004 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a firma dell’allora card. Ratzinger (benché il termine fosse stato introdotto dal Pontificio Consiglio per la Famiglia nel 1999 come “ideologia del sesso gender”). Salutato da alcune femministe della differenza con tono assolutamente favorevole, nella totale indifferenza dei teologi, tale documento destò invece sin da subito la preoccupazione di molte teologhe cattoliche, perché a fronte di un recupero della riflessione di genere in teologia, esso prendeva una posizione fortemente essenzialista, che ontologizza le definizioni di genere, denunciando come “ideologia del gender” alcuni estremismi caricaturalizzati di una corrente minoritaria, con un effetto di riflusso negativo su tutti gli studi di genere e quindi anche sulle posizioni guadagnate così a fatica da parte della riflessione e delle pratiche del femminismo, compreso quello cattolico.

Cosa era accaduto? I documenti ufficiali avevano assunto la definizione di gender data da due statunitensi antifemministe (D. O’Leary e C. Sommers, convinte di un complotto segreto all’opera già da prima della Conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995 per promuovere l’omosessualità). Questo ha di fatto collocato la Chiesa ufficiale su una posizione di profonda incomprensione non solo degli studi di genere e della loro importanza come categoria analitica in teologia e nella riflessione etica, ma anche del mondo moderno. Riducendo il genere al sesso, incapaci di distinguere tra sesso biologico, identità di genere, ruoli di genere e orientamento sessuale, polarizzando tali questioni sull’omosessualità/trasgenderismo, la Chiesa ha contribuito a diffondere una grande confusione su tanti temi, distinti e complessi, ignorando consapevolmente il senso che i documenti internazionali danno alla parola genere. Va detto, anzi, che la Conferenza episcopale italiana riconosce il significato del termine dato dai trattati internazionali, ma poi presenta al suo interno una propria interpretazione specifica che ignora il significato di “genere” come categoria analitica, senza distinguere i livelli scientifico, giuridico, filosofico, politico ed etico. Le varie ondate con cui queste polemiche si riaccendono fino all’esasperazione sembrano stranamente seguire le ripetute proposte avanzate (o abortite) in Italia di qualche legge tesa al riconoscimento di minimi diritti per le nuove forme di convivenza… questo probabilmente qualcosa dovrebbe dirci.

Questa demonizzazione – e manipolazione – degli studi di genere a quali rischi ci espone?

A molteplici. Anzitutto al problema fondamentale che è quello di un modello di maschilità ideologico che ha fatto tanto male anzitutto agli uomini stessi, relegando mezza umanità a ritenersi e ad agire come fosse neutra, centrale e privilegiata. In secondo luogo alle donne, la maggiore delle minoranze di questa ideologia androcentrica, la maggiore delle minoranze che non rientra nel modello di questo maschio egemonico. Questa ideologia di genere arriva a mostrare i suoi effetti endemici nel linguaggio e nell’immaginario (religiosi e non) sessista che ci portiamo ancora dietro (basti cercare su Google “pubblicità sessiste”), nella fatica degli uomini di Chiesa a riconoscere alle donne un ruolo diverso rispetto a quello subordinato e funzionale al quale sono abituati e con cui vengono formati, nei gravi atti di violenza di genere che accadono in modo ancora troppo pervasivo nella nostra società che si ritiene emancipata dal patriarcato, nelle fobie e violenze nei confronti degli omosessuali e della negazione del riconoscimento di tutte quelle diverse forme di relazioni affettive e di convivenza non previste dall’impianto patriarcale, compresi i nuovi necessari tentativi di rinegoziazione interfamiliare dei ruoli tra uomo e donna. Ci rende ciechi alle diversità tra persona e persona, rendendo la nostra società più monolitica e meno capace di permettere a ciascuno/a di esprimere il proprio potenziale umano. Il più grave rischio, però, dal mio punto di vista, è la perdita per le donne di diritti e posizioni di autonomia che oramai si davano per acquisiti.

Filippo Savarese lamenta un certo disinteresse di parte dell’associazionismo cattolico e in effetti alla manifestazione dello scorso 20 giugno erano assenti sia Azione Cattolica che Comunione e Liberazione. D’altro canto il papa spesso e volentieri è tornato sulla questione. Che ne pensi? Quanti credi sia condivisa questa crociata nella Chiesa nel suo complesso?

Il mondo cattolico è sempre molto più vario e ricco di quello che appare ai più e dall’esterno, soprattutto in Italia dove le telecamere puntate sul Vaticano danno l’impressione che la vita di quel piccolo mondo antico che sono le Curie sia la vita della Chiesa cattolica tutta o addirittura dell’Italia stessa. Le posizioni di alcuni vescovi al Sinodo, che ci sono apparsi stranamente fuori dal coro, dovrebbero avercene dato contezza. Anche su questo punto, come su tanti altri, è bello ricordare la frase del card. Carlo Maria Martini: il mondo non si divide tra credenti e non credenti – tantomeno, aggiungerei io tra cattolici e non cattolici – ma tra chi pensa e chi non pensa. Quando spiego cosa sia il “genere” faccio appello all’intelligenza stessa delle persone e non alle loro fobie, come fanno i tanti paladini della guerra antigender che spesso non sono teologi, talvolta nemmeno cattolici e, se si dichiarano tali, vivono poi a livello personale situazioni assai “articolate” di matrimoni e convivenze. W la libertà, ma che sia per tutti!