“La Chiesa non distribuisce anatemi, ma proclama misericordia”. Il Papa chiude il Sinodo tra gli applausi di S.Cernuzio

Salvatore Cernuzio
ZENIT.org   24 Ottobre 2015

“Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”. È la domanda di fondo che si è annidata nel cuore del Papa mentre nell’Aula nuova in Vaticano procedevano i lavori dell’assise dei vescovi da lui convocata. La risposta è molteplice, e Francesco l’ha condivisa con i 270 Padri a conclusione delle votazione della Relazione finale redatta dalla Commissione dei dieci. Relazione che è stata approvata in tutti i suoi 94 punti.

Meno articolato di quello dello scorso anno, il discorso conclusivo di Bergoglio per il Sinodo 2015 brilla per sincerità e schiettezza, e non risparmia alcune ‘bacchettate’, come ad esempio quella contro le opinioni “espresse talvolta con metodi non del tutto benevoli” o verso chi, dietro le buone intenzioni, si siede “sulla cattedra di Mosè per giudicare” o vuole “indottrinare il Vangelo in pietre morte”.

Nonostante questo, il Pontefice si dice profondamente soddisfatto del risultato di questa seconda assemblea, svolta nel segno di quella parrèsia che è stato da sempre il principale requisito richiesto. E i Padri hanno apprezzato queste parole applaudendo per diversi minuti, come hanno reso noto alcuni presenti in Aula.

Ma quindi, tornando alla domanda originaria: concretamente cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo? “Certamente – afferma il Santo Padre – non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa”. E sicuramente “non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia”.

“Significa – aggiunge il Successore di Pietro – aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana”. Anche “significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo”. E significa “aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia”.

Questo Sinodo, sottolinea il Pontefice, significa pure “aver cercato di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività”.

Significa – afferma ancora Bergoglio con profonda schiettezza – “aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri”. Significa anche “aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.

Il Sinodo ha dunque affermato che “la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”. E ha aperto “gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.

In queste tre settimane, osserva Papa Francesco, le opinioni diverse si sono espresse “liberamente”, anche se “purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli”. Esse, tuttavia, “hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ‘moduli preconfezionati’, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi”.

Inoltre, “aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa”, ciò che emerso dall’assemblea di questo ottobre – rileva il Pontefice – è “che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione”.

In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere “inculturato”, se vuole essere “osservato e applicato”. Come affermava il Sinodo del 1985, infatti, “l’inculturazione non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità”.

Proprio a partire da questa ricchezza nella diversità, è apparso chiaro al Papa e a tutti i Padri che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: “annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici”. E “senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri – soggiunge Francesco – abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che ‘tutti gli uomini sono salvati’”.

Nel corposo discorso del Santo Padre una critica anche per coloro che si credono “veri difensori della dottrina”, che – come ha dimostrato l’esperienza del Sinodo – non sono “quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”. Questo non significa in alcun modo “diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini”, ha precisato il Pontefice, ma “esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”. Significa, cioè, “valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa”.

Quindi il Sinodo è stato anche, in un certo senso, una palestra utile a “superare le costanti tentazioni del fratello maggiore e degli operai gelosi”. Perché “il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore”, rimarca il Papa.

E cita tutti i suoi predecessori per dimostrare l’unità su cui naviga da millenni la Barca di Pietro. Senza alcun sbandamento. Quindi le “stupende parole” di Paolo VI, che diceva “che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende in Lui una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e reinserirci nel suo piano di salvezza”. O quelle di San Giovanni Paolo II quando affermava che “la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia”. O ancora le lucide affermazioni di Benedetto XVI, secondo cui “tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo”.

Il Sinodo è stato dunque un tempo di “luce e grazie” che la Chiesa ha vissuto parlando e discutendo della famiglia. “Ci sentiamo arricchiti a vicenda”, dice il Papa, “e tanti di noi hanno sperimentato l’azione dello Spirito Santo, che è il vero protagonista e artefice del Sinodo”. Dopo queste tre settimane, “la parola ‘famiglia’ non suona più come prima, al punto che in essa troviamo già il riassunto della sua vocazione e il significato di tutto il cammino sinodale”.

E la Chiesa, più che mai ora – conclude Papa Bergoglio – sarà chiamata a “portare in ogni parte del mondo, in ogni Diocesi, in ogni comunità e in ogni situazione la luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di Dio”.