Concluso il Sinodo dei vescovi. Parola d’ordine: «Discernimento» di L.Kocci

Luca Kocci
Adista Notizie n° 38 del 07/11/2015

«Discernimento» è la parola chiave del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che, dopo due anni di cammino e di dibattito dentro e fuori le aule vaticane, si è concluso lo scorso 25 ottobre con una messa solenne a San Pietro presieduta da papa Francesco.

Dai 270 padri sinodali non è arrivata nessuna proposta netta sui temi spinosi dei divorziati risposati (in particolare per quanto riguarda l’accesso ai sacramenti) e delle coppie conviventi o sposate solo civilmente – più chiare invece, in senso negativo, quelle su coppie omosessuali e contraccezione –, ma una sorta di delega ai vescovi diocesani e ai preti a valutare e a decidere caso per caso.

Si tratta del fallimento del Sinodo e della sconfitta dei riformisti? No, perché la porta, su alcuni aspetti, resta accostata.

È allora la sconfitta dei conservatori e la vittoria degli innovatori? Nemmeno, perché su diverse questioni non c’è stato alcun passo avanti e perché, in generale, più che di vere e proprie aperture si tratta di “non chiusure”.

Il risultato raggiunto si configura come una mediazione tra posizioni piuttosto distanti (fortemente ispirata dal circolo minore in lingua tedesca, v. Adista Notizie n. 37/15) che, dal punto di vista tattico, può essere interpretato come un successo del fronte innovatore, il quale però non è riuscito a far passare le proprie posizioni di fronte ad un blocco conservatore agguerrito e compatto. Infatti se i paragrafi più controversi della Relazione finale – come quelli sui divorziati risposati – non avessero ottenuto il quorum dei due terzi (come era accaduto al termine dell’assemblea straordinaria dell’ottobre 2014, v. Adista Notizie n. 38/14), la partita sarebbe stata chiusa, perché il papa difficilmente avrebbe poi agito in senso opposto, pur avendo il potere di farlo dal momento che il Sinodo è un organismo solo consultivo. In questo modo, invece, Francesco ha il semaforo verde per procedere, se vuole, per esempio con un’Esortazione postsinodale da lanciare durante il Giubileo della misericordia.

Papa Francesco: misericordia, non condanne

E qualcosa il papa l’ha già detta, nel discorso conclusivo della sera del 24 ottobre, subito dopo la votazione sulla Relazione finale. Ha ribadito la dottrina tradizionale sul matrimonio, «tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità». Ma ha anche pronunciato alcune parole che potrebbero costituire una sorta di bussola per il «discernimento» affidato ai vescovi e ai preti. «Il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri», ha detto Bergoglio. «Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio», «i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito, non le idee ma l’uomo». E ancora: abbiamo «spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».

La strada potrebbe essere quella del «decentramento», più volte invocato da Francesco: «Al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – ha detto il papa –, abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato».