Sinodo: i punti più controversi, fra tante chiusure e un po’ di misericordia di L.Kocci

Luca Kocci
Adista Notizie n° 38 del 07/11/2015

La Relazione finale del Sinodo ordinario sulla famiglia (v. notizia precedente), i cui 94 paragrafi hanno tutti ottenuto il quorum dei due terzi dei 265 presenti con diritto di voto (ovvero 177) – ma su alcuni punti solo per un soffio –, conferma i principi cattolici sul matrimonio «naturale» ed «indissolubile». Ed evidenzia i fattori di crisi del matrimonio e della famiglia: cause culturali e antropologiche («esasperata cultura individualistica», «femminismo», «ideologia del gender»), ma anche economico-sociali («povertà», «migrazioni forzate», «conflitti», «sistema economico che produce diverse forme di esclusione sociale», a cominciare dalla mancanza di lavoro). Quindi passa in rassegna alcuni punti particolarmente dibattuti e divisivi, a partire dalla questione dei divorziati risposati. I tre paragrafi ad essa dedicati sono quelli che hanno ottenuto il numero più basso di consensi (e uno dei tre è passato solo per un voto in più rispetto al quorum). L’ammissione all’eucaristia non è menzionata – come invece viene fatto per i divorziati non risposati (paragrafo 83, approvato con 248 sì e 12 no) – dunque neanche apertamenta negata. La via da seguire è quella del «discernimento» caso per caso – distinguendo le responsabilità di ciascuno – affidata alla responsabilità dei vescovi, dei sacerdoti e, solo in minima parte, alla coscienza dei singoli.

«I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo», si legge al paragrafo 84 (approvato con 187 sì e 72 no). «La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo».

Il paragrafo 85 è quello che ha ottenuto meno consensi di tutti: 178 sì e 80 no. Il punto di partenza è la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». Pertanto è «compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno». Quindi, prosegue il paragrafo, «il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla “imputabilità soggettiva” (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi». Infine al paragrafo 86 (190 sì, 64 no) si fa riferimento al «foro interno»: è lì che si formula «un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere».

Conviventi: da orientare verso il matrimonio

Sul tema delle coppie conviventi e sposate solo civilmente, la Relazione finale è interlocutoria. Non le approva ovviamente e tende ad indirizzarle verso il matrimonio cattolico, ma nemmeno le condanna severamente (e non a caso sono i due paragrafi che, dopo i divorziati risposati, ottengono meno consensi, comunque superiori a 200): anche qui la parola d’ordine è «discernimento». «La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza – si legge –, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti. In molte circostanze, la decisione di vivere insieme è segno di una relazione che vuole realmente orientarsi ad una prospettiva di stabilità. Questa volontà, che si traduce in un legame duraturo, affidabile e aperto alla vita può considerarsi un impegno su cui innestare un cammino verso il sacramento nuziale, scoperto come il disegno di Dio sulla propria vita».

Contraccezione e coppie gay: chiusura totale

Il criterio del «discernimento» non vale invece per le coppie omosessuali e la contraccezione. Su quest’ultimo punto viene ribadito quanto prescritto dalla Humanae Vitae di Paolo VI: la contraccezione artificiale non è ammessa, l’unica lecita resta quella basata «sui ritmi naturali di fecondità».

Sulle coppie omosessuali la chiusura è assoluta, come indicato al paragrafo 76 della Relazione, che ha incassato 221 sì e 37 no. «Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, 4). Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso». Sono le posizioni espresse anni fa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal card. Joseph Ratzinger.