La Corte dei Conti torna su ingiustizie e irregolarità dell’8 per mille di I. Colanicchia

Ingrid Colanicchia

www.adistanews.it 6 Nov. 2015

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 14/11/2015

38327 ROMA-ADISTA. A un anno di distanza dalla relazione con la quale indicava gli elementi di debolezza nella normativa e nella gestione dell’istituto dell’8 per mille (v. Adista Notizie n. 44/14), la Corte dei Conti torna sui rilievi mossi con una delibera depositata il 26 ottobre (e resa nota il 2 novembre) in cui riporta le misure finora adottate dai soggetti coinvolti nonché le considerazioni espresse dalle confessioni religiose interessate.

Le scelte non espresse

Tra gli elementi di maggiore criticità spicca il meccanismo di ripartizione dei fondi che prevede che le quote non espresse – quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi – siano comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute. Un sistema che avvantaggia la Chiesa cattolica, la quale con il 37% delle firme incamera oltre l’80% dei fondi; e che per la Corte «risulta non del tutto rispettoso dei principi di proporzionalità, di volontarietà e di uguaglianza». Critiche respinte al mittente dalla Conferenza episcopale italiana: «La scelta del legislatore – si legge nella nota della Cei citata dalla Corte dei Conti – è stata quella di ripartire una quota dell’Irpef generale sul modello delle votazioni politiche, momento esemplare di partecipazione democratica, dove il numero dei votanti non determina il numero dei seggi da assegnare, che sono, infatti, assegnati tutti, anche se non tutti gli elettori si recano alle urne». Una scelta che per i vescovi rimane «pienamente attuale, in quanto ispirata a ragioni di principio che non possono essere ignorate per esigenze economiche contingenti».

Di diverso avviso l’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno, la quale ha dichiarato che concorderebbe «con una eventuale riforma del sistema dell’8 per mille che preveda, per tutti gli enti, l’attribuzione delle sole scelte espresse, con destinazione indicata e vincolata dei fondi generati dalle scelte non espresse».

L’aumento dei fondi

La Corte rimarca poi il fatto che «in un periodo di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura economica, le contribuzioni a favore delle confessioni continuano, in controtendenza, ad incrementarsi, avendo da tempo superato ampiamente il miliardo di euro annui, senza che lo Stato abbia provveduto ad attivare le procedure di revisione di un sistema che diviene sempre più gravoso per l’erario». Tanto più che, negli ultimi anni, «si è assistito al sovrapporsi delle assegnazioni previste dal diritto pattizio con quelle, che raggiungono cifre, in taluni casi, ancora più consistenti, di diritto comune». Il progressivo accrescersi di queste ultime, per la Corte, fa, in parte, «venir meno le ragioni che giustificano il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall’8 per mille, che ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana». La Corte rende noto che nel settembre 2014 la Parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei ha ritenuto «di dover proporre alla Parte ecclesiastica che, in sede di prossima verifica triennale (2011-2013), tenuto conto degli anni trascorsi dalla data di entrata in vigore della legge n. 222/1985, venga concretamente discussa l’opportunità di una revisione della quota dell’8 per mille, in vista di un suo possibile ridimensionamento quantitativo».

Ipotesi rispetto alla quale l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia nutre una preoccupazione: quella che un intervento teso a riequilibrare la crescita esponenziale dell’8 per mille per la Chiesa cattolica abbia poi effetti di squilibrio nei riguardi delle altre confessioni religiose.

Campagne pubblicitarie

Altro tasto dolente quello relativo al ricorso alla pubblicità da parte delle confessioni religiose per ottenere una quota sempre più rilevante della contribuzione pubblica, fattore che «rischia di creare la necessità di convogliare ingenti risorse a fini promozionali a discapito del loro utilizzo per le finalità proprie». Sostanzialmente concorde «con il principio che debba esserci un equilibrio tra i costi sostenuti per la pubblicità e la realizzazione dei progetti finanziati con l’8 per mille» è l’Unione italiana delle Chiese avventiste del 7° giorno.

La Cei dal canto suo sottolinea che la necessità «di assicurare sempre meglio la conoscibilità dei dati e la trasparenza del sistema deve essere armonizzata con l’esigenza, pure rilevata, di contenere le spese investite in pubblicità. Non si può ignorare, peraltro, che proprio tali spese concorrono, in misura significativa, a realizzare un’adeguata informazione dei cittadini e, quindi, a garantire l’effettivo esercizio della libertà di scelta». Paradossale che a dirlo sia proprio la Conferenza episcopale che destina solo un quarto dei fondi 8 per mille incassati ad interventi caritativi (nel 2014, 245 milioni di euro su un totale di più di un miliardo), ma che incentra le proprie dispendiose campagne pubblicitarie (nel 2013 la Chiesa ha sborsato per i soli spazi pubblicitari Rai oltre 3 milioni e mezzo di euro) proprio sulle opere di bene realizzate con queste risorse.

Le “colpe” dello Stato 

Quanto allo Stato, la Corte ribadisce le criticità rilevate nella relazione dello scorso anno circa il disinteresse mostrato per la quota di sua competenza, «cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore, dando l’impressione che l’istituto sia finalizzato, più che a perseguire lo scopo dichiarato, a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni». A determinare questo quadro una serie di fattori. In primo luogo la totale assenza, negli oltre 20 anni di vigenza dell’istituto, di iniziative promozionali, risultando lo Stato l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie. Non è cambiato nulla neppure negli ultimi anni, «nonostante la novità costituita dalla possibilità di destinare risorse all’edilizia scolastica, tema particolarmente sentito dai cittadini contribuenti». La Corte a riguardo rende noto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dichiarato che per il 2016 «è stata pianificata la procedura per l’avvio di una campagna pubblicitaria», «iniziativa allo studio ed in attesa della valutazione dei costi e delle necessarie autorizzazioni dell’autorità politica».

Concorre poi a determinare il quadro rilevato dalla Corte la drastica riduzione delle somme a disposizione, dirottate su altre finalità: decurtazione che, per la Corte, «andrebbe eliminata affinché possa essere garantita la piena esecuzione della volontà e della libera scelta di tutti».

E non bisogna dimenticare infine che una parte consistente delle risorse, da ritenersi alternative a quelle in favore delle confessioni, sia stata veicolata verso scopi riconducibili agli interessi di quest’ultime, in particolare sotto la voce “conservazione dei beni culturali”. La Corte riporta a mo’ di esempio l’ingente finanziamento concesso, in anni passati, per il restauro della facciata della Pontificia Università Gregoriana e del suo cortile, facciata e cortile che, in considerazione delle priorità di tutela e salvaguardia dei monumenti, non rivestono, secondo la Corte, particolare pregio. Ciononostante, «le somme ottenute con l’8 per mille di competenza statale per tale opera risultano rilevantissime e reiterate negli anni: per il 2002, 1.441.965 euro; per il 2004, 370.000; per il 2007, 442.500; per il 2009, infine, 457.444,83 euro».

Centri di “dirottamento” fiscale

Particolarmente interessante il capitolo relativo ai Centri di assistenza fiscale. A partire dal 2014 l’Agenzia delle entrate ha intrapreso una verifica nei confronti di alcuni centri di assistenza fiscale (Caf), mirata a controllare le modalità di gestione delle scelte circa la destinazione del 5 e dell’8 per mille.

Per quanto riguarda l’8 per mille sono state esaminate quasi 5mila schede che hanno fatto registrare una percentuale di irregolarità pari al 7% (349 casi): nell’1,67% dei casi le scelte trasmesse dai Caf non erano conformi alla volontà dei contribuenti; nel restante 5,35% dei casi non sono state conservate le schede relative alle scelte, rendendo impossibile il riscontro circa la corretta trasmissione delle scelte espresse.

Dei 349 casi anomali rilevati, l’80% si è concretizzato in un’irregolarità che ha favorito la Chiesa cattolica.

E irregolarità sono emerse anche riguardo alla destinazione del 5 per mille. Nella delibera relativa, resa nota a distanza di pochi giorni (il 5 novembre), la Corte dei Conti fa sapere che su quasi 8mila schede controllate, si è registrata una percentuale di irregolarità pari al 10,6% e che nel 18,7% dei casi tali irregolarità hanno favorito associazioni o onlus collegate al Caf stesso.

Sarà un caso che molti Caf sono gestiti da due importanti associazioni cristiane – le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli) e il Movimento cristiano dei lavoratori (Mcl) – le quali, secondo gli ultimi dati disponibili (relativi al 2013), nella distribuzione dei fondi 5 per mille si attestano rispettivamente al 12° posto (con 200mila firme a loro favore, che si traducono in quasi 3 milioni e 500mila euro) e al 22° posto (con poco più di 100mila firme, pari a 1 milione e 800mila euro)?