La Chiesa di Francesco tra scandali e timide riforme. Intervista a E. Fittipaldi

Intervista di Valerio Gigante

www.micromega.net, 10 Nov. 2015

Leggendo il libro di Emiliano Fittipaldi “Avarizia: Le carte che svelano ricchezza, scandali e segreti della Chiesa di Francesco” (Feltrinelli, 2015, pp. 231) uno dei due saggi appena usciti sul Vaticano, i suoi interessi finanziari, i suoi scandali, i suoi sprechi, l’impressione che se ne coglie è che, regnante papa Francesco, nulla di significativo pare cambiato rispetto al clima che portò nel 2013 alle clamorose dimissioni di Benedetto XVI.

Ciò che emerge – nonostante i media laici e cattolici continuino a dipingere Francesco come la candida pecora circondata da un branco di lupi – è il dubbio che dietro l’elezione al soglio pontificio di Bergoglio si sia mossa una gigantesca operazione ideologica che attraverso il papa che assumeva il nome del poverello d’Assisi intendeva coprire la prosecuzione delle stesse dinamiche, degli stessi scandali, delle stesse lotte di potere, degli stessi giganteschi interessi economico-finanziari che avevano caratterizzato l’epoca di Benedetto XVI e quelle precedenti. Salvo che in questi ultimi due anni l’opinione pubblica è stata persuasa a colpi di servizi radiotelevisivi, editoriali, interviste, dirette fiume su ogni visita, discorso, celebrazione del papa che tutto stesse rapidamente cambiando. Anzi, che in gran parte lo fosse già.

Insomma, tutto quello che questo nuovo “Vatileaks” sta portando alla luce non riguarda pratiche del passato, ma comportamenti tuttora in atto. In molti – ovviamente – lo sapevano già, senza bisogno del benemerito libro di Fittipaldi, che si aggiunge a quello di Nuzzi. Ora però ci sono le carte. Ed esse, così come avvenne nel 2012-2013, mostrano nero su bianco ad una opinione pubblica la cui percezione era ormai stata orientata in senso decisamente diverso, che il Vaticano resta ciò che è sempre stato.

Per questo, il libro di Fittipaldi, che oltre ai documenti presenta una rilevantissima ed approfondita inchiesta, svolta peraltro su moltissimi fronti, è stato oggetto di durissime critiche, precedute dal vano tentativo di ridurre la questione alla semplice attività di due “corvi” dediti a torbidi complotti contro il papa.

Scorrendo le pagine del libro, si viene invece a scoprire che la Fondazione Bambin Gesù – che dovrebbe occuparsi di finanziare la ricerca sulle malattie infantili all’interno di una struttura ospedaliera peraltro pagata quasi interamente dallo Stato Italiano – stornava 200mila euro destinati alla ricerca per la ristrutturazione dell’appartamento di circa 300mq del card. Bertone in vaticano (il quale ha detto che il suo uomo al Bambin Gesù – Giuseppe Profiti – avrebbe fatto tutto ciò “a sua insaputa”); che ci sono ecclesiastici che vivono in case ben più grandi di quella di Bertone; che mons. Viganò – il moralizzatore che diede il via al primo Vatileaks – possiede un ingentissimo patrimonio ed è anche in causa con il fratello prete che lo accusa di avergli sottratto milioni di euro frutto di una eredità di famiglia; che il card. Pell, nominato da Francesco (sì, proprio da lui!) a capo di un nuovo potente superdicastero con il compito di risanare l’economia vaticana, è riuscito a spendere da luglio 2014 a gennaio 2015 ben 501 mila euro (per spese – scaricate sulle casse della Congregazione vaticana di cui è prefetto – come un sottolavello da 4600 euro, tappezzeria per 7292 euro, 47 mila euro per mobili e armadi, ma anche per vestiti di lusso acquistati da Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia vaticana); e ancora: che alla faccia della propaganda sulla sobrietà inaugurata dal papa tutti coloro che collaborano con il card. Pell al risanamento delle finanze vaticane viaggiano in business class anche per spostamenti brevi; che il Vaticano incassa 60 milioni di euro l’anno vendendo benzina e tabacchi in due punti vendita duty free cui possono accedere ben 41mila persone; che, mentre si diceva che papa Francesco aveva “ripulito” lo Ior, 100 tra imprenditori, professionisti, forse politici italiani hanno ancora conti nella “banca vaticana” (tra loro anche indagati dalla giustizia italiana per reati fiscali).

Tutto ciò, per giunta, all’insaputa dell’Uif – l’Ufficio Informazioni Finanziarie della Banca d’Italia, che attende da tempo una lista dei presunti evasori che hanno conti aperti allo Ior. Lista che non è mai giunta a destinazione.

C’è poi la questione del patrimonio immobiliare che il Vaticano possiede a Roma: un tesoro che vale circa 4 miliardi di euro. Alcuni di questi immobili sono affittati a vip e boiardi di Stato per cifre assolutamente fuori mercato (ma se il papa aveva chiesto agli istituti religiosi di aprire le porte a migranti e rifugiati, perché le “sue” case sono occupate da ricchi e potenti?); e ancora: le offerte che i fedeli regalano per la carità del papa ogni anno attraverso l’Obolo di San Pietro non vengono tutte spese per i più poveri, ma ammucchiate su conti e investimenti che hanno raggiunto i 400 milioni di euro.

Nella Chiesa cattolica, racconta il libro di Fittipaldi, anche per diventare santi e beati servono soldi. Centinaia di migliaia di euro, che servono soprattutto (ma non solo) per pagare il “postulatore”, cioè colui che viene incaricato di indagare sulla presunta santità del candidato e trovare le prove dei miracoli che egli avrebbe compiuto (ne serve almeno uno per diventare beato; almeno due per la santità). In media, la santità arriva così a costare tra i 400mila e i 500mila euro.

Di tutto questo, e delle ripercussioni che il suo libro inchiesta avrà sull’opinione pubblica e sulla Chiesa cattolica, ne abbiamo parlato con l’autore.

Il tuo libro è stato accolto in modo contrastante dai giornalisti che si occupano di informazione ecclesiastica. Molti ti hanno rimproverato di non fare un buon servizio alla causa di papa Francesco. Ma il ruolo di un giornalista, di chi fa una inchiesta, è quello di servire una “causa”?

Quello che hai rilevato non è avvenuto solo nel mondo dell’informazione vaticana, ma nel mondo giornalistico tout court. Basta pensare che Massimo Franco nel corso di una trasmissione televisiva mi ha incalzato chiedendomi se prima di pubblicare il mio libro non mi fossi posto il dubbio di essere stato strumentalizzato da qualcuno. È una domanda maligna, perché un giornalista in generale e uno di inchiesta in particolare ha il compito di trovare una notizia – se ne è capace –

verificarla, capire se sia di interesse pubblico, se sia deontologicamente corretto pubblicarla e poi, fatto questo, ha il diritto ma anche il dovere di pubblicare, altrimenti è sospettabile di essere un potenziale ricattatore, che tiene per sé informazioni rilevanti. Una domanda del genere di quella di Franco in Paesi come gli Stati Uniti non avrebbero mai potuto farla. Fatte le dovute differenze, sarebbe stato come chiedere ai giornalisti che svelarono il Watergate portando successivamente Nixon alle dimissioni se fossero stati strumentalizzati dalle loro fonti.

La domanda di fondo è invece secondo me questa, e cioè se noi giornalisti dobbiamo raccontare ciò che il potere politico, economico, ecclesiastico rappresenta di se stesso; oppure, come credo di aver fatto, raccontare quello che il potere non vuole che sia raccontato.

La figura, il carisma, i modi informali e lo stile sobrio del papa hanno, di fatto, contribuito ad occultare all’opinione pubblica ed all’informazione ciò che invece il tuo libro ha svelato. Dalle tue ricerche che immagine ti sei fatto del ruolo svolto dal papa in questi oltre due anni di pontificato?

Il mio libro racconta quello che non il papa, ma la propaganda vaticana era riuscita ad occultare, sostenendo che sotto Francesco la riforma della Chiesa fosse stata già in fase avanzata. In realtà io penso che Francesco stia veramente tentando di riformare la Chiesa. Lo sta facendo in maniera molto cauta, anche perché è papa da soli 2 anni e mezzo, e che abbia trovato delle resistenze straordinarie, come abbiamo visto anche durante il Sinodo sulla Famiglia. La Chiesa povera dei poveri che Francesco auspica e chiede ai suoi cardinali che sia realizzata è ancora molto lontana dal diventare realtà. Ovviamente un giornalista ha il compito, se riesce a scoprirlo, di raccontare questa verità, anche se molto scomoda perché imbarazza non soltanto il Vaticano, ma tutti quelli che nei mass media hanno voluto fare da semplici amplificatori della propaganda vaticana, senza approfondirla e svelarne le contraddizioni.

È però un fatto incontrovertibile che il card. Pell, sulla cui figura ti soffermi a lungo nel tuo libro, lo abbia voluto papa Francesco…

Rispondo con una battuta: il papa avrebbe bisogno di un buon direttore del personale… nel senso che è vero: i commissari della Commissione referente sull’Organizzazione della Struttura Economico-Amministrativa della Santa Sede (Cosea) sono stati scelti da lui; e anche Pell, il braccio destro economico della nuova gigantesca segreteria dell’economia è stato nominato da Bergoglio. Ma il papa viene da Buenos Aires, non può conoscere tutto e tutti. Si è, a mio giudizio, fidato di qualcuno in Curia che gli ha consigliato di scegliere Pell perché il cardinale australiano ha una fama di ottimo amministratore finanziario, che si è formata sin dai tempi in cui era arcivescovo. Si tratta però di una fama che nasconde più di una insidia, nel senso che Pell, per tutelare la sua diocesi dal punto di vista finanziario, ha attuato una politica molto aggressiva nei confronti delle vittime dei pedofili che chiedevano alla sua Chiesa, quella di Sydney, ingenti risarcimenti. Una relazione della commissione di inchiesta sulla pedofilia istituita dal governo di Canberra, di cui riferisco nel mio libro, definisce il comportamento di Pell addirittura non in linea con quello di un buon cristiano. Insomma, Pell era già chiacchierato al tempo della sua nomina. E chiamarlo in Vaticano è stata senza dubbio una scelta sbagliata.

C’è poi la questione degli immobili vaticani affittati a prezzi di favore a vip, raccomandati e potenti di vario tipo. Un’altra bella contraddizione per il papa che fa costruire le docce per i poveri dentro le mura vaticane e chiede a diocesi ed istituti religiosi di aprire le proprie case ai migranti ed ai rifugiati…

In questi anni ci si è concentrati solo sul povero Bertone, per la storia del suo appartamento che poi è risultato essere di dimensioni inferiori, seppure cospicue, rispetto a quello che è stato scritto sui giornali. Ma ci sono ecclesiastici che vivono in appartamenti molto più grandi di quello di Bertone. Sono circa 5000 gli appartamenti di Propaganda Fide, molti sfitti, che valgono una cifra che secondo me è sottostimata, ma che si aggirerebbe intorno ai 4miliardi di euro. Questa cifra permette però di fare una significativa considerazione. Alla luce di essa, infatti, la storica inchiesta dell’Europeo del 1977 che quantificava in un quarto circa degli immobili presenti a Roma quelli di proprietà riconducibili alla Chiesa cattolica risulterebbe decisamente esagerata, anche al netto di tutti gli immobili di proprietà della diocesi di Roma, delle varie Congregazioni ed istituti religiosi, delle arciconfraternite, ecc. Non si arriva comunque nemmeno vicini ad un quarto del valore totale del patrimonio immobiliare presente a Roma, stimato attorno ai 590 miliardi. Un aspetto che ridimensiona moltissimo quello che ha rappresentato uno dei cavalli di battaglia della propaganda anticlericale. Una ulteriore dimostrazione che il mio libro intende solo fare chiarezza e verità. Non è certo un libro pregiudizialmente anticlericale. Altrimenti questi dati nemmeno li avrei riportati.

Resta però il fatto che se il papa non sa chi abita negli immobili di proprietà del Vaticano sa però come e dove vivono i suoi cardinali…

Certo, lo sa e a lui piacerebbe che i cardinali si comportassero in maniera più sobria. Lo stesso card. Parolin, lo scrivo nel mio libro, era a Santa Marta ma la scorsa estate si è spostato nel Palazzo Apostolico. Più in generale, è tutta la gestione del patrimonio immobiliare che fa discutere. Ci sono affitti a prezzi molto bassi. La Cosea ha spiegato che per anni sono state accettate trattative al ribasso sugli affitti. Un andazzo che Filoni, il prefetto di Propaganda Fide, sta cercando di cambiare in modo che alla scadenza degli attuali contratti i prezzi di locazione possano essere adeguati alle tariffe di mercato. Questo per dire che Francesco e chi segue la sua linea cerca comunque di darsi da fare.

Arriviamo alla questione forse più scandalosa tra tutte quelle che racconti, quella dello Ior. Lì la propaganda che parlava di rivoluzione, trasparenza, pulizia era in atto da anni, dai tempi di Benedetto XVI. Tutti raccontavano di una dinamica inarrestabile di adeguamento agli standard internazionali. Invece…

Allo Ior è ancora in atto un enorme scontro di potere. E a governarlo sono stati messi personaggi controversi, come Joseph Zahra e Jean-Baptiste de Franssus. Soprattutto Zahra, finanziere maltese di un paese fino al 2010 considerato paradiso fiscale. A maggio Zahra aveva chiesto al papa il permesso di aprire per conto del vaticano una Sicav (una società d’investimento a capitale variabile) in Lussemburgo. Intendeva così gestire più liberamente i miliardi dello Ior. In un paese, per di più, che presentava indubbi vantaggi dal punto di vista fiscale. Il progetto era stato approvato dal Consiglio di sovrintendenza della banca, ma poi è stato bloccato dalla Commissione cardinalizia di vigilanza e dal papa in persona. Poi c’è Renè Brulhart, capo dell’Aif, che ha sottoscritto un accordo di gentleman agreement con la Banca d’Italia sulla trasparenza; nonostante ciò, si scopre che sono ancora aperti presso lo Ior un centinaio di conti intestati a laici che non dovrebbero averlo. E in ogni caso nessuno sa dove siano finiti i soldi dei vecchi clienti fuoriusciti negli ultimi anni. Migliaia di posizioni che restano misteriose; capitali che, contrariamente alla favoletta della trasparenza, non sappiamo dove siano andati. Si sospetta in parte in Germania, dove le autorità antiriciclaggio sono assai deboli rispetto a quelle di altri Paesi europei e della stessa Uif italiana. Se poi si aggiunge che lo Ior ha chiuso il 2014 realizzando utili per circa per circa 70 milioni, ma che i 4 fondi istituiti presso lo Ior che dovrebbero fare beneficienza non hanno praticamente mosso denaro, il quadro si fa ancora più desolante. Anche perché l’unico fondo che ha fatto un po’ di beneficienza è il “fondo missioni”, che negli ultimi due anni ha stanziato solo 17mila euro!

Questo scandalo esplode a pochi anni di distanza dal precedente. Oggi il re, cioè la Chiesa gerarchica (e forse anche il papa), è di nuovo nudo. E rivestirlo per l’ennesima volta non sarà facile. Cosa pensi succederà ora nella Chiesa?

Sono un sostenitore del papa, di cui ho grande fiducia. Ne vedo i limiti ma anche la grandezza. Spero quindi che il mio libro permetta a Francesco di avere le mani più libere. I fatti raccontati nel mio libro in tanti forse li intuivano, alcuni li sapevano, ma ora tutti hanno la possibilità di verificarli. Tanto più che ad una settimana dall’uscita delle anticipazioni sul mio libro non c’è stata una smentita, nemmeno su qualche aspetto secondario dell’inchiesta. Tutto ciò consentirà – almeno è ciò che auspico – al papa di agire in maniera più rapida ed incisiva. Anche perché ora c’è un’opinione pubblica che comincerà ad esigere reali cambiamenti. Assai più che in passato. E al Vaticano non basteranno più intenzioni, dichiarazioni, gesti simbolici come l’apertura delle docce per i barboni. Tutte cose assolutamente utili, ma che diventano propaganda se non sono accompagnate da reali scelte che la Chiesa è chiamata a fare a favore della trasparenza e in ultima analisi per chi ha veramente bisogno.

Credo insomma che a maggior ragione dopo il mio libro Francesco, assieme con alcuni uomini che sono al suo fianco, a partire dal segretario di stato Parolin, potrà avviare un’opera riformatrice ancora più decisa.

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Così è nato il libro sul Vaticano

Emiliano Fittipaldi
L’Espresso

«La leggo spesso su “l’Espresso”, caro Fittipaldi. Leggo le sue inchieste sui politici e sui corrotti. Leggo che scrive anche di Vaticano, ogni tanto. Bello il pezzo sugli scontri nello Ior. Ma un po’ impreciso, secondo me. Ora io vorrei aiutarla, voglio raccontarle segreti inconfessabili. Se la sente di scrivere della Santa Sede di cose che nessuno ha mai scritto prima?». Ecco. La storia del mio libro, “Avarizia”, comincia così. Nel giugno del 2014, quando un giovane sacerdote che avevo conosciuto qualche anno prima e che aveva fatto carriera sotto il Cupolone disse che qualcuno «molto in alto» voleva conoscermi.

L’incontro si fa, dopo una settimana. Non sotto un ponte della Tangenziale Est, come nei film. Né dietro una pompa di benzina in qualche viuzza della periferia romana, a notte fonda. Ma in un ristorante dei Parioli. Il monsignore è alto e magro, vestito in abiti borghesi, e comincia a parlare subito dopo che il cameriere ha servito carpaccio di tonno e battuto di gamberi rossi, innaffiati con un Sacrisassi delle Due Terre. «Francesco vuole cambiare tutto, vuole rovesciare la Chiesa come un calzino. La vuole povera e per i poveri. Tu non sai quanti sono i cardinali che sono terrorizzati dall’idea di perdere tutto quello che hanno sempre avuto. Privilegi, potere, ricchezze. Per bloccare Bergoglio faranno di tutto. Ora, tu sai bene che la Chiesa da duemila anni è abituata a lavare i panni sporchi dietro le mura d’Oltretevere. È arrivato il momento di raccontare davvero che c’è dentro il Vaticano, i suoi possedimenti immobiliari e finanziari, i suoi investimenti all’estero, gli sprechi della curia, gli affari e i business. Ora o mai più».

Quella sera il prelato mi consegna alcune carte riservate. Vengono dall’Apsa, l’ente che amministra gran parte del patrimonio della Santa Sede, dallo Ior e dalla Cosea, la commissione pontificia voluta dal papa per fare luce sulle finanze vaticane. Tornato al giornale comincio il lavoro d’inchiesta per scrivere un pezzo sul mio settimanale. I dati sono “freddi”, senz’anima, e vanno capiti, contestualizzati. Bisogna in primis verificare se sono reali, o contraffatti. Se si tratta di una polpetta avvelenata, o di notizie vere. Contatto altre fonti ecclesiastiche, partendo da quei numeri finanziari. Non è facile, nessuno vuole parlare con i giornalisti di notizie riservate. Dopo qualche giorno convinco un vecchio dipendente dell’Apsa a darmi spiegazioni sulle carte: mi dice che i loro appartamenti valgono miliardi, e che l’oro conservato nella cassaforte dell’ente è di appena 30,8 milioni di euro «perché in gran parte è stato venduto ai tempi del cardinale Castillo-Lara, che ha dovuto risanare i buchi economici creatisi negli anni ’80 dopo il crac del Banco Ambrosiano». Alla fine aggiunge che le perdite in bilancio, a causa dei costi fuori controllo dei dicasteri e dei monsignori, solo nel 2013 costano all’Apsa 77,9 milioni di euro. Ecco da dove arrivano gli appelli di Bergoglio contro gli sprechi e i lussi delle porpore.

Spiego alla nuova fonte che vorrei fare una copertina, e che mi servono più informazioni. Dice che lui non si mette nei pasticci per me, ma che conosce qualcuno che potrebbe avere accesso ad altre notizie: se una gola profonda si fida del giornalista, non è affatto raro che te ne presenti un’altra. È così che mi arrivano nuovi documenti riservati, alcuni non subito verificabili, che metto da parte senza pubblicarli. Il 18 luglio 2014 “l’Espresso” esce con la cover intitolata “Un Vaticano da 10 miliardi”. Da quanto scrivono in queste ore i giornalisti che si stanno occupando dell’inchiesta sugli arresti dei due presunti corvi, monsignor Lucio Vallejo Balda e Francesca Chaouqui, è allora che la Gendarmeria vaticana apre per la prima volta un faro sulla fuga di notizie.

Un mese dopo la pubblicazione mi contatta un’altra fonte. Il numero è “privato”, e la voce maschile sconosciuta. Prima di andare all’appuntamento mi dice il suo nome, in modo che possa fare le verifiche sulla sua identità. Poi mi spedisce una sua foto usando WhatsApp in modo che lo possa riconoscere tra la folla. L’appuntamento è a Villa Borghese, un grande parco al centro di Roma, vicino alla Casina Valadier. Arrivo puntuale. Prima ancora di presentarsi mi chiede di levare la batteria dal cellulare «per evitare di essere intercettati». Roba da paranoici, penso.

Cominciamo a passeggiare, e mi spiega che all’ospedale pediatrico Bambin Gesù i revisori americani di PriceWaterhouse hanno lavorato ai conti per settimane, e che hanno scoperto di tutto. «In Vaticano tutti sanno dello scandalo, ma nessuno dice nulla. Alla faccia della trasparenza». Mi fa vedere alcune fatture da oltre 200 mila euro che la fondazione del nosocomio ha pagato a una ditta di Genova per fare alcuni lavori di ristrutturazione. «Ti darò altri documenti che provano che si tratta del famoso nuovo attico di Bertone. Oggi ti consegno il report che evidenzia come il cardinale abbia viaggiato su un elicottero da Roma a Potenza spendendo 24 mila euro. Poi, se ti interessa, ti farò vedere le consulenze e i contratti tra Vaticano e Qatar, un accordo che avrebbe dovuto creare un nuovo business sanitario in Sardegna. Ti interessa?».

Mi interessa, ovviamente. In questi giorni i colleghi mi chiedono in continuazione se io possa essere stato «utilizzato» da qualcuno per qualche suo oscuro e privato interesse. Una domanda maligna: i giornalisti, tutti nessuno escluso, se arrivano ad ottenere una notizia d’interesse pubblico prima la verificano. Se non viola la deontologia professionale, la pubblicano. È un loro dovere, prima ancora che un diritto della stampa libera. Quella sera capisco che il materiale è troppo ampio, articolato e complesso per poter essere raccontato nello spazio ristretto delle colonne di un articolo. E che il modo migliore per raccontare gli scandali finanziari e segreti della Chiesa che Francesco sta tentando a fatica di cambiare è quello di fare un libro. Chiamo la Feltrinelli il giorno dopo e propongo l’idea. Passano tre giorni e il mio editor dà il via libera. «Hai un anno di tempo, non di più».

Mi butto su “Avarizia”, e invito di nuovo a cena il monsignore del ristorante dei Parioli. Stavolta cambiamo location, si va in una taverna a Trastevere. È l’inizio del 2015 e fa un freddo cane, ordiniamo spaghetti all’Amatriciana e abbacchio. Gli chiedo se anche a lui risultano le storie sul Bambin Gesù. «Chi te le ha raccontate? Sì, confermo tutto. E devi sapere pure che l’ospedale ha accumulato su conti dello Ior e dell’Apsa beni per quasi mezzo miliardo di euro, soldi che sono stati investiti persino su azioni di società petrolifere e chimiche, come la Exxon e la Dow Chemical. Abbiamo comprato anche titoli della Pepsi-Cola. Ma concentrati anche sullo Ior: t’assicuro che di pulizia ne è stata fatta, ma molto meno di quanto si racconta». Mi promette nuovi documenti che possano agevolare il lavoro d’inchiesta.

Invece scompare, senza rispondere più a messaggi e telefonate. Mentre aspetto un suo segno di vita comincio a darmi da fare su documenti “aperti” della Commissione europea MoneyVal (che evidenziano – senza dare cifre che troverò in altri report segreti – come la beneficenza dell’Obolo di San Pietro viene usata principalmente non per le necessità degli ultimi ma per «spese ordinarie e straordinarie dei dicasteri e delle istituzioni della curia romana»). Martello un’altra fonte in modo da convincerla a raccontarmi (e darmi le prove) dell’assurdo funzionamento della fabbrica dei santi, dove una canonizzazione può costare anche centinaia di migliaia di euro. E soprattutto, comincio a indagare sulla banca vaticana. Fonti investigative italiane mi confermano che la trasparenza promessa dai nuovi dirigenti dell’Istituto è una favoletta che il Vaticano sta vendendo alla stampa mondiale, che l’accesso alla white list è di là da venire, e che i laici “abusivi” effettivamente cacciati dalla banca sono stati allontanati senza che lasciassero tracce: di fatto, almeno fino alla pubblicazione del libro, l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia non ha mai avuto la lista dei presunti evasori fiscali allontanati dal Vaticano. Non solo: altre fonti mi confermano che alcuni imprenditori italiani indagati dalle procure nascondono ancora i propri averi all’interno dello Ior. Uno è Angelo Proietti, storico fornitore del Vaticano, il costruttore che ristrutturò gratis la casa in cui abitò Giulio Tremonti.

A marzo, finalmente, il giovane sacerdote che conosco da anni mi contatta. Mi spiega che il monsignore mi vuole rivedere, e mi dà appuntamento lo stesso pomeriggio in un altro ristorante al centro di Roma. «Non è meglio in un luogo meno in vista?», gli domando. Nemmeno risponde. «Ha poco tempo, mangiamo solo un boccone al volo. Però non venire in motorino, porta la macchina». Quando i due aprono il cofano del portabagagli della berlina bianca capisco subito che il consiglio era buono: ci sono enormi e pesanti faldoni pieni di documenti segreti dell’Apsa, dello Ior, dei dicasteri, delle società di revisione che hanno lavorato per la Cosea. «Te li do perché Francesco deve sapere. Deve sapere che il Vaticano possiede a Roma case che valgono 4 miliardi e che dentro non ci sono rifugiati ma un sacco di vip e raccomandati che pagano affitti ridicoli. Deve sapere che le fondazioni dedicate a Ratzinger e a Wojtyla hanno incassato talmente tanti soldi che ormai conservano in banca oltre 15 milioni. Deve sapere che ci sono un mucchio di cardinali che vivono in appartamenti da 400, 500, anche 600 metri quadri. Più attico e terrazzo panoramico. Deve sapere un sacco di cose. Cose che non sa, perché nessuno gliele dice». Torno a casa e sfogliando lentamente i documenti capisco che c’è molto lavoro da fare, ma che il materiale è esplosivo. E che “Avarizia”, quando uscirà, farà davvero tremare il Vaticano.