Quei vent’anni dei vescovi in politica di P. Rodari

Paolo Rodari

la Repubblica 9 Nov. 2015

La Chiesa italiana per decenni intesa come «forza trainante » della società è chiamata a cambiare pelle. Francesco l’ha detto ieri a Firenze: l’unica «forza trainante» è il Vangelo. Un’indicazione semplice e insieme esigente, che pur senza alcun processo al passato chiude di fatto quella lunga stagione che ha visto come protagonista assoluto il cardinale Camillo Ruini, la stagione wojtylianratzingeriana che prese avvio nel 1985 al Convegno ecclesiale di Loreto e che trovò una sua conferma a Palermo nel 1995 e poi nel 2006 a Verona. La svolta, nell’85, fu un invito deciso ai cattolici italiani a riprendere «un ruolo guida nella società», col conseguente lancio del «progetto culturale cristianamente orientato» in un’Italia dove, declinante la Democrazia cristiana, i vescovi assumevano un ruolo da protagonisti.

Sono stati anni di collateralismo con la politica, e in particolare con il centro-destra di Silvio Berlusconi, e di protagonismo sulla scena pubblica con battaglie sui «valori non negoziabili» sfociate in lotte sulla bioetica e sulla famiglia, con una piazza che ebbe il suo apogeo nel Family Day del 2007 con tanto di movimenti ecclesiali schierati in prima fila. Beninteso, quest’idea di Chiesa è stata dismessa non da ieri: già da prima dell’avvento di Bergoglio al soglio di Pietro il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato una strada diversa, una Chiesa meno barricata sulla difensiva, meno battagliera e più spirituale. Ma è evidente che è con ieri che una lunga stagione ha una sua fine. Il Papa ha invitato la Chiesa italiana a intraprendere un percorso diverso, non ossessionato dal potere, segno di una Chiesa semplice e che sa assumere i sentimenti di Gesù.

Enrico Galavotti, storico del cristianesimo a Chieti, fresco autore di “Il pane e la pace. L’episcopato di Loris Capovilla in terra d’Abruzzo” (Textus), dice: «Francesco ha sancito la fine del paradigma di Loreto. Non ricercare più posizioni di potere significa dismettere una strategia, svolta attraverso i movimenti ecclesiali, di pressioni sui partiti e sui referenti politici.

Certo, non è ancora chiaro come questa nuova strada verrà modulata. Francesco credo auspichi siano i vescovi, e non lui, a trovare una loro applicazione pratica. Come a dire: prendetevi le vostre responsabilità e fatelo collegialmente. In ogni caso non è finita tanto la persona di Ruini, quanto un modo di gestire la conferenza episcopale, un uomo solo al comando a dettare una linea a cui tutti devono adeguarsi».

Anche i movimenti ecclesiali, per anni avamposto di una Chiesa sempre in battaglia col mondo esterno, sono chiamati a cambiare pelle. Da carismi identitari a comunità non più  autoreferenziali: «Pensiamo anche — ha detto ancora ieri Francesco — alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo, che fa coppia con Peppone ». Per Luca Diotallevi, sociologo di Roma Tre, «Francesco ha fatto e fa molto bene la parte destruens, la disconnessione della Chiesa da un mondo che finisce.

Resta però la domanda su che cosa significhi costruire oggi. Avere cioè il coraggio di cercare un’incarnazione del Vangelo buona per oggi, diversa da quella che era buona ieri e da quella che lo sarà domani. Francesco vuole che questa nuova strada la trovi la Chiesa italiana da sola, rivalutando le parrocchie e le associazioni. Resta tuttavia il carattere tenero e insieme fuorviante dell’esempio di don Camillo. Fuorviante perché il popolo non esiste più. C’è un insieme di persone una diversa dall’altra. E non si può dire che questo sia un passo indietro, non si può avere nostalgia del popolo».