Papa Francesco, rivoluzionario a rischio di L.Kocci

Luca Kocci
il manifesto, 31 dicembre 2015

Il 2015 è stato l’anno anche di papa Francesco. Il terzo del suo pontificato, quello più denso di eventi, almeno finora.

A maggio la beatificazione di mons. Romero – il vescovo di San Salvador ucciso nel 1980 dagli squadroni della morte della giunta militare per il suo impegno per la giustizia – dopo oltre 30 anni di ostracismi e boicottaggi da parte della curia romana e dell’episcopato conservatore che temevano, insieme a Romero, la legittimazione dell’odiata teologia della liberazione. A giugno l’enciclica socio-ambientale Laudato si’, ispirata da Francesco d’Assisi e anche dalle tesi altermondialiste. A settembre il viaggio nelle Americhe, passando da Fidel e Raul Castro ad Obama e il Congresso Usa, testimonianza del disgelo ormai avvenuto ma non ancora concluso, anche per l’ostinato mantenimento del bloqueo contro Cuba. Ad ottobre la conclusione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, ancora in attesa di un pronunciamento ufficiale papale che apra (forse) le porte che il Sinodo ha preferito tenere socchiuse. A novembre il primo viaggio in Africa, con l’apertura della prima “porta santa” giubilare a Bangui (Repubblica centrafricana) ma il silenzio assoluto sulle leggi che discriminano (e condannano all’ergastolo) le persone omosessuali. L’8 dicembre, infine, l’inizio solenne del Giubileo dedicato alla misericordia, a San Pietro, riaffermando, nei fatti, la centralità romana.

Un anno importante quindi, da leggere in chiaroscuro: la novità di papa Francesco o la svolta che ancora non c’è? Dario Fo propende decisamente per la prima ipotesi: quello di Bergoglio è un pontificato rivoluzionario. «Papa Francesco – spiega – è un uomo di grande coraggio, ha il coraggio di dire la verità e di dirla in faccia. Quando parla fa nomi e cognomi, e quando non li fa esplicitamente, tutti capiamo di chi parla e a chi si rivolge. Inoltre chiede perdono, chiede perdono per la Chiesa, ammettendo quindi che nella Chiesa ci sono cose indegne. Altrimenti perché chiederebbe perdono?».

Chiede perdono per alcune colpe storiche della Chiesa…

«La Chiesa ha commesso atti infami, illegali, crimini, e papa Francesco chiede perdono. Pensa se un nostro dirigente di Stato chiedesse perdono per i propri errori, per esempio per quello di pochi giorni fa».

Cosa è successo?

«Il nostro presidente della Repubblica ha firmato la grazia per i due agenti della Cia coinvolti nel rapimento di Abu Omar».

L’imam egiziano rapito a Milano nel 2003 in collaborazione con i nostri servizi e la polizia?

«È la prova che siamo un Paese senza nessuna autonomia, perché gli agenti della Cia possono venire da noi, rapire chi vogliono, portarlo via dal luogo in cui vive, poi si fa il processo, vengono condannati, ma alla fine arriva il presidente della Repubblica che dice: nessuna condanna, liberi tutti. E non solo, perché veniamo a sapere che la nostra polizia e i nostri servizi segreti coprivano i rapitori, cioè evitavano che ci fossero delle interferenze. È un’infamia, e noi siamo un popolo senza autorità e senza dignità. Queste cose non le fanno mica in Svezia o in Danimarca. Se poi fosse successo negli Usa, sarebbe scoppiata l’ira di Dio! Dovrebbero dire: scusate, ci vergogniamo, abbiamo tolto la potestà al nostro popolo, ci siamo venduti a chi è più forte, abbiamo ceduto a chi ha autorità mentre noi non ne abbiamo».

Torniamo a papa Francesco. A quale richieste di perdono per le colpe della Chiesa si riferisce? Alle parole sulla corruzione presente anche nella Chiesa? Al fatto che l’istituzione ecclesiastica ha rinunciato alla povertà e ha abbracciato ricchezza e potere?

«A tutto. Papa Francesco ha parlato della dignità, ha detto che non esiste dignità se non c’è giustizia, ha denunciato l’equilibrismo dei governanti tale che i furbi e i potenti abbiano la possibilità di muoversi come vogliono, che il ricco può tutto e il povero deve pagare. Ha parlato anche delle banche, e pensiamo a quello che accade in questi giorni».

Su altri temi caldi, che riguardano più da vicino la Chiesa – le persone e le coppie omosessuali, il ruolo delle donne –, però Francesco pare più timido.

«Guarda che lui ha detto fin dall’inizio: quest’uomo vuole sposarsi con un altro uomo, che autorità ho io per impedirglielo? È omosessuale, e io cosa devo dirgli, che non si fa? Quale autorità, che diritto ho io di impedirlo?»

Veramente si è limitato a dire «chi sono io per giudicare un gay».

«E allora? Basta questo. Cosa vuoi di più?»

Che alle parole, nuove ed importanti, seguano anche dei fatti, delle riforme che intervengano sulla struttura ecclesiastica e sulla disciplina canonica, altrimenti il rischio è che passato Francesco nulla sia cambiato e tutto rimanga uguale.

«Ma se per “farlo fuori” si sono inventati che ha un cancro alla testa, benigno per carità! Tentano di far vedere che è malato alla testa, quindi non può essere sereno, lineare e logico in quello che dice. Quando si arriva a dei gesti di questo genere, puoi aspettarti di tutto, anche che lo ammazzino. Cosa vuoi di più da uno che si espone fino a far impazzire i vescovi, i cardinali, tutti coloro che nei secoli hanno goduto di privilegi e vantaggi? Non dobbiamo perdere mai di vista gli equilibri, perché sennò andiamo avanti a fare chiacchiere. È intervenuto anche perché fosse dichiarato beato il vescovo che difendeva i diritti dei poveri, ucciso in America latina».

Monsignor Romero?

«Sì. L’altro papa invece, Wojtyla, si è messo in ginocchio sulla sua tomba, ma non ha fatto nulla».

Alcuni gesti e parole del papa rimandano al tema della Chiesa povera e dei poveri…

«Ma certo, del resto si chiama Francesco. Il papa lo ha detto: nel momento in cui mi chiamo Francesco, io scelgo di essere Francesco. E chi è Francesco? È uno a cui, 40 anni dopo la sua morte, hanno deciso di cambiargli completamente la vita. Hanno preso la sua vita e ne hanno scritta un’altra, inventando miracoli che non aveva compiuto e cancellando tutte le cose straordinarie che aveva fatto».

Francesco d’Assisi è stato riportato all’ordine, trasformato in una sorta “santino” dal potere ecclesiastico, perché fosse meno scomodo.

«Certo. Gli hanno cambiato i connotati, gli hanno dato un’altra faccia, un altro modo di vivere. E allora un papa che ha il coraggio di prendere quel nome, che la Chiesa ha falsificato e ha buttato via, è un gigante».

Molte scelte individuali di papa Francesco – abitare a Santa Marta, rinunciare ad abiti sfarzosi, muoversi con semplici automobili – stanno rendendo il papato più “normale”?

«No, non è normale, è fuori dalle regole!»

Normale nel senso che ridimensionano la “sacralità” e la “potenza” del papato costruite attraverso i secoli…

«Questa è una scelta rivoluzionaria, che nella Chiesa non c’è mai stata. Altri ci hanno provato, hanno fatto dei bei discorsi, ma quando hanno cercato di mettere a posto le cose, si sono dovuti dimettere, come Celestino V. Perché papa Celestino aveva una bella idea, ma glie l’hanno fatta passare subito e l’hanno tolto di mezzo: o te ne vai o ti ammazziamo».

Oltretevere è scoppiato un nuovo Vatileaks: fuga di documenti riservati, episodi di corruzione, notizie false, come appunto il tumore di cui sarebbe affetto il papa. Cosa ne pensa?

«È la solita tecnica del potere: il potere sputtana. Il potere cerca di farti passare per scemo. Quando non ha a disposizione altri mezzi, il potere deve cercare di convincere la gente che dici delle cose giuste, che fanno impressione, ma che sono dette da uno che non è sano, da uno che è via di testa».

La Chiesa cambierà? L’istituzione ecclesiastica tornerà al Vangelo?

«Solo se nella Chiesa si creerà un movimento forte capace di imporre il Vangelo a tutti i furbacchioni. Perché questi personaggi che hanno l’abitazione all’ultimo piano che costa come una cattedrale, fin quando vivranno tranquillamente e avranno qualcuno che li sosterrà, non sarà mica vinta la battaglia, la battaglia va avanti».

Quindi papa Francesco deve essere sostenuto dalla base?

«Sì, perché se non sarà sostenuto si ritroverà come Celestino V».