“Dio non commette errori”: le vite dei credenti lgbt nella campagna ‪#‎Chiesascoltaci di G.Petrucci

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n° 6 del 13/02/2016

Nonostante lo scontro sempre vivo, che vede ora, nelle settimane in cui si infiamma il dibattito sul ddl Cirinnà, il suo apice, il dialogo tra fede, comunità religiose e omosessualità è ancora possibile. Dialogo che, di fronte alla contrapposizione fisica e mediatica delle “due Italie” rappresentate dalle rispettive piazze di ‪#‎SvegliatiItalia‬ (23 gennaio) e del Family Day (30 gennaio), appare giorno dopo giorno come una fiammella che tenta di rischiarare l’oscurità in cui le forze tradizionaliste e conservatrici tentano di sprofondare un Paese ancora connotato come clericale e scarsamente rispettoso delle minoranze. «Fanalino di coda» sul tema dei diritti delle famiglie omoaffettive, secondo la felice definizione del premier Matteo Renzi, se non dell’Europa tutta, comunque dell’Europa occidentale, quella con una consolidata tradizione democratica, liberale e laica.Proprio in questo mese di gennaio, a ricordarci che, nonostante tutto, lo strappo sociale ed ecclesiale può essere ancora ricucito è sorta una nuova associazione, “Cammini di Speranza”, nata dall’incontro di persone omosessuali credenti impegnate «nell’accoglienza di chiunque sia interessato ad approfondire le tematiche riguardanti la fede e l’omosessualità al fine di promuovere sia il rispetto, la dignità e l’uguaglianza delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali nelle Chiese e nella società, sia la corretta informazione e formazione su questi argomenti».

Quello del Vangelo è un messaggio positivo, liberante, che promuove giustizia e uguaglianza tra le persone, si legge sul sito ufficiale www.camminidisperanza.org. Per questo le comunità cattoliche dovrebbero caratterizzarsi come luoghi di accoglienza e integrazione delle persone e delle famiglie omosessuali, adeguando i propri piani pastorali alle realtà che mutano nella storia e lottando strenuamente contro ogni forma di pregiudizio, chiusura ed esclusione. «Cammini di Speranza – spiegano i promotori – si oppone ad una lettura esclusivista, fondamentalista e decontestualizzata del dettato biblico che contrappone l’unione eterosessuale all’unione omosessuale. Il progetto d’amore di Dio, che riguarda ogni essere umano, non può essere compresso in forme statiche e storicamente determinate».

Il 26 gennaio, a pochi giorni dal Family Day di Circo Massimo, dove il mondo cattolico tradizionalista e le destre politiche hanno manifestato a braccetto per negare i diritti civili alle coppie omosessuali, l’associazione Cammini di Speranza ha lanciato la campagna ‪#‎chiesaascoltaci‬, narrazione periodica sui social network di vite ed esperienze di gay e lesbiche credenti, i quali rivolgono il loro appello «alla Chiesa intera, perché diventi finalmente casa per tutti, capace di inclusione e accoglienza». La campagna – che intende mobilitare e raccontare le piazze virtuali, ma pur sempre reali, in risposta al Family Day romano – durerà fino alla chiusura del Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco. «Siamo nell’anno della Misericordia e ci sembra che nella luce della Misericordia debba trovare spazio ogni persona, ogni storia, ogni affetto, con uguale dignità, uguale rispetto, senza pregiudizio», ha sottolineato Andrea Rubera, portavoce dell’associazione e presidente di Nuova Proposta, gruppo romano di omo e transessuali credenti.

Il 28 gennaio #chiesaascoltaci è stata inaugurata dalla testimonianza di Giulia, accompagnata, su Facebook, da una fotografia che la ritrae serena, sognante, seduta su un treno, intenta a guardare fuori del finestrino il paesaggio che scorre via velocemente. Un’immagine senza elementi dirompenti, che colpisce per la sua straordinaria semplicità e quotidianità. Giulia si rivolge direttamente a papa Francesco, il quale, il 22 gennaio scorso, nel discorso alla Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha sottolineato che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione» e che bisogna comunque tenere in considerazione chi vive «in uno stato oggettivo di errore». Caro papa, scrive Giulia nella sua testimonianza, «Dio non commette errori, ma chi vive l’omosessualità è, a parer Tuo, “in errore oggettivo”. Eppure, se io non fossi lesbica, la mia fede sarebbe scialba perché è la mia omosessualità che mi ha portata a fare una ricerca spirituale e a cercare di vivere in Cristo. Se io non fossi lesbica non avrei conosciuto la paura di essere giudicata e quindi non avrei imparato il rispetto per ciò che non conosco. Se io non fossi lesbica non avrei conosciuto l’amore perché è il Signore che mi ha mandato la persona che amo. Vedi, papa Francesco, per me Dio non commette errori: mi ha resa una persona “diversa” perché sapeva che per me sarebbe stata la strada della felicità. E sapeva anche che la diversità è ricchezza per la Chiesa cattolica ossia, ricordiamolo, la Chiesa universale, di tutti».

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Unioni civili, diritti, Chiese

Andrea Bigalli
Adista Segni Nuovi n° 5 del 06/02/2016

No. Non ci pare proprio. Per quanto sia tesi sostenuta da personaggi importanti, se è indubbio che ci siano molti problemi drammaticamente urgenti, il tema della legge sulle unioni civili non ci pare secondario, tuttaltro.

In primis perché i numeri non sono da poco. Se si sta alla stima – forse al ribasso – che indica un 5% della popolazione italiana composta da persone omosessuali, stiamo parlando già di tre milioni di soggetti che sono potenzialmente coinvolti in questa dimensione. Se poi aggiungiamo i loro figli (per le Famiglie arcobaleno 100mila minori coinvolti), i loro familiari, le cerchie degli amici, i numeri divengono consistenti. Per mie convinzioni da tanto radicate, fosse necessità introdotta anche soltanto da una persona, meriterebbe attenzione.

Siamo inoltre di fronte ad un’argomentazione (contrapposta) che ci fa riflettere su una prospettiva da tempo importante nella società contemporanea: se circostanze nuove introducono la possibilità di realizzare realtà fino ad allora irrealizzabili, si originano nuovi diritti per chi può pensare di utilizzarle. Se le scienze medico biologiche mettono di fronte alla possibilità di generare al di fuori dell’ambito meramente naturale del rapporto uomo\donna, si aprono le porte a nuovi orizzonti del procreare stesso.

Nell’incandescente dibattito odierno questo fattore è determinante: parliamo di famiglie fino ad adesso per lo più impossibili. Il card. Bagnasco ha affermato in sede Cei: avere figli non è un diritto. In questa posizione possiamo riscontrare quanto la dottrina cattolica afferma da sempre: lo stato di natura non si può cambiare.

Partendo da questa posizione si potrà arrivare ad una legge che riconosca diritti a persone legate da vincoli affettivi, ma non ci si può illudere sulla possibilità che tale legge, da parte cattolica, possa includere regolamentazioni e norme che riguardino i loro figli qualora esse siano dello stesso sesso. Se l’umano si tesse nel rapporto tra natura e cultura, possiamo riflettere su quanto giochi il secondo elemento in questa contemporaneità. Si può discutere, come avviene nel dibattito filosofico, cosa resta davvero dello stato di natura dopo millenni di evoluzione culminata in una fase di incremento di cambiamenti di parametro grazie all’agire dell’Homo sapiens sapiens, ma non è la sede per questa diatriba.

Nella vicenda irrompe un fattore, da parte ecclesiale, non indifferente: quello pastorale. In virtù di tale prospettiva subentra l’esigenza di valutare, non di giudicare; di accogliere, non di decretare; di accompagnare, non di escludere, anche se tutto ciò non vuol dire necessariamente sposare tutte le tesi introdotte. Personalmente ritengo che non si può pretendere di dialogare quando non si presentano che diktat assolutisti, in un ambito così delicato come quello dei sentimenti. E che tutto ciò è inaccettabile quando alcune posizioni si definiscono a partire da chi, chiaramente, non si è mai confrontato con le posizioni altrui incontrando, ascoltando, vivendo le problematiche in una esauriente attività pastorale.

Quando si arriverà a confrontarsi su questi temi con quella emotiva lucidità che nasce dall’essere coinvolti nelle vicende umane di chi ama, vuol generare, dovrà educare? Quando si ascolterà chi introduce tali necessità, anche se non con i toni pacati che vorremmo (e che neanche buona parte del proscenio cattolico usa, soprattutto la componente clericofascista; e questa ultima, diciamolo francamente, cosa c’entra davvero con il cristianesimo?)? Non conta niente l’opinione di chi, da tempo, segue pastoralmente queste situazioni e può mediare o meglio, contribuire ad introdurre? Nasce tutto da una volontà distorta o sbagliata?

Il nostro compito di cristiani è esprimere chiusura e disprezzo o bisogna comunque farsi ammonire da Paolo di Tarso, che nella seconda lettera ai Corinzi dichiara: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede, siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi»? Chi sinceramente ama – in che modo si può negare che queste persone non lo facciano? – non ha un suo comunicare, grazie al Cristo, con quel Dio che è agape?

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Andrea Bigalli è parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi) e referente di Libera per la Toscana