La Chiesa italiana al bivio, fra family day e confronto sui diritti di F.Peloso

Francesco Peloso
www.unita.tv

Sì, l’Italia discute di famiglia, di figli, di diritti, di coppie e di affettività. Lo ha fatto ieri con una mobilitazione inattesa e straordinaria per numero di adesioni e soprattutto per partecipazione, lo farà di nuovo il 30 gennaio con il Family day, l’evento sostenuto da tanti pezzi di Chiesa e mondo cattolico, da associazioni e singole diocesi. In mezzo il disegno di legge sul riconoscimento delle unioni civili omosessuali, oggetto di contesa e battaglia politica, di tentativi di mediazione, dissensi, di appoggi trasversali in Parlamento e nelle piazze. Il Family day, promosso dal “Comitato difendiamo i nostri figli”, il cui portavoce è Massimo Gandolfini, è sostenuto da un ampio ventaglio di organizzazioni fra le quali i neocatecumenali, e poi in ordine sparso ciellini, militanti di varie associazioni come “Non si tocca la famiglia”, “Identità cristiana”, “Papa Giovanni XXIII” e molte altre con una prevalenza di movimenti integralisti per quanto non in maniera esclusiva. Più tiepide o problematiche – pur all’interno di uno schema fatto di molti ‘no’ – si sono mostrate altre organizzazioni come l’Azione cattolica; quest’ultima da una parte ha chiesto importanti modifiche al disegno di legge Cirinnà, allo stesso tempo ha riconosciuto la necessità di legiferare in materia di unioni omosessuali. Diverse altre associazioni, infine, hanno scelto di defilarsi dalla manifestazione del 30 senza troppi clamori.

Bagnasco, Ruini e il Papa

In questa vicenda, come è noto, si è poi inserita la Cei, con il suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha deciso di rompere gli indugi di altri vescovi appoggiando in maniera più esplicita il Family day. In un primo tempo, infatti, alcuni suoi confratelli, (il Segretario della Cei Nunzio Galantino, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia) si erano espressi a favore del riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali pur restando nettamente contrari all’adozione (sia pure l’adozione del figlio che già è del partner, come previsto dal ddl). Alle parole di Bagnasco sono seguite quelle a mezzo stampa dell’anziano cardinale Camillo Ruini: una chiamata alle armi che ha ricalcato di fatto la stagione dei valori non negoziabili lasciando poco spazio a mediazioni o momenti di confronto. Alla fine è intervenuto il papa suscitando, come inevitabilmente avviene in Italia, scalpore, per quanto prudenti siano state le sue parole.

Innanzitutto Francesco ha parato davanti a un organismo vaticano, il Tribunale della Rota romana, non si è dunque rivolto a un gruppo di parlamentari o politici, come pure è accaduto troppo spesso in passato, e nemmeno di fronte a una associazione laicale. In questo senso le sue parole hanno avuto certamente il senso classico di riaffermare le dottrina della Chiesa. Chiedendo poi di non fare confusione fra matrimonio e altri tipi di unione, Papa Francesco ha di fatto preso atto pubblicamente che una varietà di istituiti esiste o è possibile, ha però insistito sulla necessità di non confonderli – cioè di mantenerli distinti anche sul piano legislativo. Non c’era nel discorso del Papa alcun riferimento alla legge naturale né ai valori non negoziabili; una presa di posizione che, anche secondo il Corriere della Sera, corrispondeva alla volontà di evitare il muro contro muro pur ribadendo con chiarezza l’insegnamento della Chiesa.

Magistero sì ideologia no

Francesco ha giocato certamente di rimessa, per usare un gergo calcistico, in una situazione non facile, ma sembra averci visto giusto; l’operazione Family day puntava sì al ddl Cirinnà ma anche a dimostrare, con una piazza piena, come il ‘popolo’ non seguisse le aperture del papa su certi temi (del resto che il pontefice abbia dei nemici o avversari interni non è un mistero). Bergoglio sa bene di godere di un consenso ampio e vasto fra credenti in Italia e nel mondo, eppure ha intravisto il rischio che stava correndo. Così ha risposto riaffermando il magistero sulla famiglia senza incardinarlo ideologicamente o appiattendolo su un ‘no’ senza se e senza ma; posizione, quest’ultima, ben presente invece fra i promotori della mobilitazione pro-family.

D’altro canto in questa vicenda il primo dato importante da sottolineare è che diverse sensibilità sono emerse dopo decenni di uniformità all’interno non solo del mondo cattolico, ma anche dell’episcopato. Bagnasco parlerà domani aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente della Cei, l’organo di autogoverno dei vescovi, e però difficilmente terrà conto di questa complessità; la sua permanenza al vertice della Chiesa, è infatti dovuta al sostegno dell’ala più intransigente o tradizionalista di cui egli stesso è garante ed espressione pur senza avere la sensibilità politica di un Ruini o di un Angelo Scola, attuale arcivescovo di Milano.

Integralismo e diritti civili

In ogni caso il clamoroso ritorno in piazza dell’Italia dei diritti civili, mostra la lungimiranza del papa che avrebbe volentieri sottratto la Chiesa a uno scontro frontale di questo tipo, ideologico più che politico, capace di indebolire la mediazione parlamentare anziché rafforzarla, e mette ora in difficoltà quanti pretendono di rappresentare tutto il popolo italiano (“il nostro popolo” nelle categorie di Bagnasco) smentiti dai fatti in decine di città italiane. L’integralismo cattolico, la cui deriva catto-leghista identitaria e anti-immigrati è stata pure evocata da Massimo Franco sul Corsera, per quanto robusta possa essere la partecipazione all’appuntamento al Circo Massimo, rischia di rinchiudere il cattolicesimo in una ridotta reazionaria. Di certo però è ormai latente una separazione interna al mondo cattolico in particolare fra l’ala per così dire intransigente e quella Chiesa “ospedale da campo”, aperta ai lontani, sensibile su rifugiati, povertà, solidarietà promossa da papa Francesco (il quale certo è uno dei più forti sostenitori della famiglia ma anche uno dei più fieri avversari del fondamentalismo religioso).

Infine sembrano emergere alcuni limiti nelle analisi di questi giorni, troppo legate a schemi tradizionali. C’è un vasto mondo di credenti, sostanzialmente a favore del ddl Cirinnà, che indubbiamente oggi è privo di rappresentanza, ma è sprovvisto di una voce pubblica in grado di rappresentarlo; dopo gli anni del ruinismo, infatti, il dissenso è stato espulso dal modo d’essere del laicato impegnato, e oggi fa fatica a riprendere liberamente voce. D’altro canto la Chiesa dovrà sbrigarsi ad aggiornare i proprio parametri e compiere delle scelte: l’Italia è sempre più una società plurale – sotto il profilo culturale, antropologico, religioso, sociale – che partecipa dei mutamenti in corso in Europa e a livello globale. La scelta, anche sul piano ecclesiale, è fra i ‘crociati’ e papa Francesco, fra fratellanza e esclusione, fra fondamentalismo e cittadinanza. Il cristianesimo nel suo complesso, con le sue diverse chiese e anime, quale componente essenziale della storia e del patrimonio dei popoli europei, si trova ora in questo passaggio, delicato e cruciale, della sua storia.

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Una chiesa senza protezioni politiche alla prova delle unioni civili

Francesco Peloso
wwww.internazionale.it

Senza più referenti in parlamento – le maggioranze di centrodestra della tramontata stagione berlusconiana – l’episcopato e una parte del mondo cattolico oggi devono affrontare il nodo delle unioni civili in mare aperto, senza reti di protezione. Se, insomma, è vero che il provvedimento in discussione al senato non ha un consenso parlamentare certo, per lo meno in relazione ad alcuni nodi del contendere, sul versante opposto, quello del Family day, devono fare i conti con uno scenario politico cambiato, sia ecclesiale sia culturale.

La prova, insomma, riguarda tutti e sembra riportare al centro del dibattito pubblico del paese questioni che non toccano la sola ragione economica, anzi: si parla di diritti, di famiglia, di sessualità, di una società che manifesta apertamente esigenze nuove.

Si ripete spesso che l’Italia è l’unico tra i grandi paesi europei a non essersi dotato di una legislazione in materia di unioni omosessuali, il che è dovuto a un insieme di ragioni, tra le quali ha avuto il suo peso l’opposizione decisa dei vescovi e dei settori più tradizionalisti del laicato cattolico. Questi ultimi sono stati a lungo il principale strumento di manovra di un episcopato fortemente impegnato sul piano politico.

Questa posizione non era però casuale o scontata, nasceva al contrario da una impostazione che ha segnato, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, la presenza della chiesa in Italia.

La fine di un rapporto dialettico

Da quell’epoca infatti matura l’idea che i vescovi – non più solo pastori e guide delle comunità – dovessero diventare pienamente titolari di un interventismo sul piano politico. In tal modo si rompeva quel rapporto dialettico tra gerarchie e partiti e associazioni, la Democrazia cristiana (Dc) e la galassia di organizzazioni cattoliche in primo luogo, all’interno del quale si era sviluppata una relazione articolata tra chiesa e politica nel dopoguerra.

È in base a questa distinzione che un leader conservatore come Alcide De Gasperi poté rifiutarsi di “obbedire” a Pio XII quando questi gli chiese di allearsi con i postfascisti del Movimento sociale italiano (Msi) nei primi anni cinquanta pur di non far entrare nell’amministrazione capitolina i partiti della sinistra. De Gasperi scelse invece l’alveo costituzionale e antifascista.

Lungo tale separazione, ancora, nasce l’esperienza del primo centrosinistra cui prendono parte democristiani e socialisti (sotto la guida di leader come Amintore Fanfani e Pietro Nenni) o è possibile l’emergere di figure come Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, democristiano aperto ai temi sociali, fino al tentativo di Aldo Moro del compromesso storico con il Partito comunista.

Certo, erano gli anni in cui il concilio Vaticano II apriva la porta della chiesa a un rapporto dinamico con il mondo, i temi della pace e del lavoro erano recuperati pienamente a un cristianesimo che non poteva più restare ancorato alle madonne piangenti degli anni cinquanta.

La crociata contro i Dico

È con Giovanni Paolo II che la chiesa italiana – sotto la guida del cardinale Camillo Ruini – cambia rotta. Se il papa polacco è protagonista attivo nella battaglia per la caduta del muro di Berlino, Ruini – cui viene delegata la gestione degli affari nella penisola – comincia a costruire quella chiesa identitaria, ideologica, che trova sul piano etico e bioetico il suo principale terreno di battaglia.

Negli anni della seconda repubblica, scomparsa la Dc, l’episcopato italiano decide di stringere un’alleanza politica, principalmente con le forze del centrodestra, in cui lo “scambio” è tra “princìpi non negoziabili”, tutelati e promossi al livello legislativo, e un consenso più o meno incondizionato da parte delle gerarchie con il silenzio, in parte imposto, del laicato cattolico nel frattempo normalizzato.

È “il patto trono-altare” con il quale Ruini, non senza abilità politica, ha cercato di rimediare a quella secolarizzazione avanzante, vista come un nemico irriducibile della chiesa in tutta Europa.

Così, unioni tra persone dello stesso sesso, procreazione assistita, finanziamento alle scuole cattoliche, difesa della vita dal concepimento alla sua fine naturale, sono diventate bandiere ideologiche, non più discutibili in nessun aspetto, poste prima e alla base di ogni altro elemento della realtà. Il punto più alto di questa visione viene toccato nel 2007 con il primo Family day: bloccare i Dico (una moderata proposta di legge del centrosinistra in materia di unioni omosessuali) è la crociata del momento.

L’elezione di papa Francesco nel 2013, ha poi cambiato del tutto le carte in tavola

Il disegno salta con il venir meno della centralità di Silvio Berlusconi e del suo sistema di alleanze in primo luogo, ma nel frattempo un cattolicesimo diverso da quello ruiniano prova a dire la sua sull’immigrazione. L’arrivo dei migranti, prima dall’Europa dell’est e poi dall’Africa, toccava inevitabilmente l’essenza stessa del messaggio cristiano, oltre a irrompere nella sfera dei diritti e dei doveri, della cittadinanza, della solidarietà, delle diseguaglianze tra nord e sud del mondo, del razzismo o delle pulsioni xenofobe.

Oggettivamente non era materia digeribile facilmente da forze come la Lega nord o da un partito come Alleanza nazionale. L’elezione di papa Francesco nel 2013, ha poi cambiato del tutto le carte in tavola. Un nuovo modello di chiesa è proposto non da qualche vescovo in lontane contrade del terzo mondo, ma dal vescovo di Roma in persona, il quale mette in un cassetto i valori non negoziabili, pone “gli scartati”, gli esclusi, i poveri, al centro del pontificato, e soprattutto dialoga liberamente con tutti pur senza toccare la dottrina, ma aggiornandone la lettura.

Bergoglio prova, anche all’interno della chiesa, scontrandosi con opposizioni agguerrite, a smantellare una visione in cui l’umanità è giudicata in modo ideologico, catalogata con la ferocia del potere. A questa ultima impostazione – che ha un’eco forte in un’Europa scossa dal terrorismo e dal fondamentalismo cattolico alla polacca o di tipo ungherese – il papa contrappone l’approccio della misericordia, il perdono evangelico quale chiave per costruire ponti e abbracciare l’umanità senza distinzioni.

Vescovi pilota e diritti civili

I vescovi, secondo Jorge Bergoglio, non possono fare i parlamentari (non hanno il ruolo di “vescovi pilota”), sono i laici credenti a dover intervenire nella sfera pubblica, pure con le loro diversità, che poi significa recuperare i princìpi del concilio Vaticano II. Lo stato, in questa prospettiva, non può essere confessionale, neppure in maniera velata.

D’altro canto, rispetto a cinquant’anni fa, sono cambiati i temi del dibattito pubblico, il contesto internazionale, le sfide politiche e culturali. Neanche quello del “cattolico adulto” è più un modello sufficiente, come scrive Massimo Faggioli sull’Huffington Post. Le manifestazioni a favore delle unioni civili hanno mostrato il volto di un paese ormai plurale, mutato nella sua composizione e sensibilità, che convive liberamente con la folla del prossimo Family day. In tal senso, per il mondo cattolico dovrà cominciare una discussione profonda su molti temi, se – alla lunga – non vorrà diventare presenza puramente testimoniale, la qual cosa prescinde pure dal voto del senato.

Ad aver affondato la famiglia sono stati la compressione del welfare, la mancanza di lavoro

Tutta la materia dei diritti civili tocca da vicino la dimensione dell’umano, investe affettività, famiglia, bisogni sociali. Di certo l’attuale leadership dell’episcopato, quella affidata al cardinale Angelo Bagnasco, non potrà essere da guida in questo percorso, e appartiene infatti già al passato.

E d’altro canto, quando il papa dice che al centro della chiesa e del Vangelo ci sono i poveri, pone un’urgenza, al mondo cattolico in primo luogo, per nulla scontata. Sul piano politico e sociale è ben noto inoltre, come, assai più di una tardiva regolarizzazione delle unioni civili, ad aver affondato la famiglia sono stati la compressione del welfare, la mancanza di lavoro, i processi di deindustrializzazione, la decadenza del sistema formativo, l’assenza di cittadinanza per i figli degli immigrati (altro punto non a caso che attiene ai diritti civili e incrocia quelli sociali).

È dunque in questa complessa serie di questioni che il cattolicesimo è chiamato, insieme alle altre componenti della società italiana, a misurarsi e a reinventare se stesso.