Santificazione di Padre Pio e il ritorno dei totem ancestrali di P.Farinella

Paolo Farinella
Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2016

Mancavano all’appello padre Pio e frate Mandic, sono arrivati anche loro e ora siamo al completo. La religione è servita, il popolo, facile alla lacrima, si affolla per chiedere miracoli. I frati che hanno perseguitato padre Pio in vita ora lo portano in spalla e lo esaltano come supereroe. I preti, a cominciare dal vescovo Fisichella che pontifica dalla sacrestia di Porta a Porta, gongolano per la grande fede dimostrata dalle masse religiose, che, dopo quelle operaie dissoltesi in paradiso, sono le uniche rimaste sulla piazza.

Squillano le trombe, rullano i tamburi perché nel Giubileo che celebra il 50 anniversario del concilio Vaticano II, con questi simulacri, issati come Totem ancestrali, si archivia definitivamente la visione conciliare di Chiesa e di fede. Resta solo la religiosità sentimentale, priva di radici, oltre il vangelo, annegata in un’orgia di irrazionalità che offende la dignità della stessa religione e comunque della spiritualità.

Sia chiaro che rispetto la buona fede di chi nella propria semplicità è rimasto ancorato a forme religiose che rasentano, se proprio non sono, la superstizione e l’irrazionalità. Sono molto critico con una gerarchia che ha impedito una crescita spirituale per mantenere una sudditanza emotiva e facilona di quanti nulla hanno al di fuori del sentimentalismo religioso che con la fede non possono spartire alcunché.

Gli attori e gli scrittori che in tv parlano disinvoltamente di Dio, miracoli, presenze, scie di profumi e amenità del genere, devono essere più prudenti perché spesso non sanno cosa dicono e di cosa parlano e comunque la loro esperienza non sarà mai una norma universale.

Pensavo che il culto dei Totem fosse una forma di religiosità infantile, che ha raggiunto il suo vertice nella cultura indiana del Texas di Tex Willer-Aquila-della-notte. Mi devo ricredere, vedendo le folle ammassate nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura a fare muro alla mummia di padre Pio, sballottato per la goduria del popolo. Se i Romani perseguivano il Welfare del “panem et circenses”, oggi la religione cattolica, anche quella rappresentata da Papa Francesco, si affida al simulacro del numinoso e ai Totem cristianizzati. Pazienza, ce ne faremo una ragione.

Deve essere chiaro che tutto quello che accade attorno a padre Pio e a frate Mandic, persone, rispettabilissime in quanto privati cittadini, anche se ammantato da vernice religiosa, non c’entra nulla con la spiritualità e la fede. Si tratta solo di religiosità primordiale che si trova in tutte le religioni e in tutte le latitudini della Terra. Nulla di straordinario, solo l’impazzimento generale e la confusione più totale.

Quando nel seconda metà del sec. II si dovette scegliere tra le centinaia di vangeli che circolavano in Palestina e fuori, si stabilì un criterio di discernimento serio: “sono da escludere tutti quegli scritti dove vi è ‘eccesso di soprannaturale’”. A far parte del canone, furono scelti quattro vangeli, i più sobri, che vanno sotto gli pseudonimi di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Tutti gli altri furono esclusi, non per nascondere questa o quella incresciosa verità, come dicono gli ignoranti della materia, ma perché in essi il divino, il miracolistico, il fascinoso abbondava come la nebbia in val padana o la sabbia nel deserto.

Attorno a padre Pio, l’eccesso è sempre stata la norma e questo mi permette di dire, dal punto di vista eminentemente teologico, che è difficile scorgervi “il dito di Dio”. Papa Giovanni XXIII, parlando del frate di Pietralcina, diceva che si trattava di “dolorosa infatuazione religiosa”, giudizio che, secondo me, resta ancora valido. Lo stesso vale per Medjugorje, dove la Madonna è diventata una turista professionista.

Il Cristianesimo non è una religione né può esserlo; quello che è accaduto nella storia è una degenerazione riuscita a opera di imperatori e opportunisti clericali che ne hanno voluto fare una religione in sé prima e poi di Stato per avere uno strumento di oppressione e controllo, alla stessa stregua di tutte le religioni istituzionalizzate nel corso della storia degli ultimi quattro millenni.

Il Cristianesimo è una relazione, anzi un nuovo modo di concepire la vita, la storia e in essa le relazioni tra le persone: l’istinto di sopravvivenza che induce a vedere nell’altro il nemico da abbattere è compensato dal dinamismo della collaborazione e condivisione che in un processo di crescita e di sviluppo arriva fino all’esperienza della fraternità, trasformando il presunto nemico in carne della propria carne.

La fede cristiana è l’esercizio storico di questa nuova prospettiva che i vangeli definiscono come “Regno di Dio”. In questa visione non c’è posto per i miracoli e l’eccesso del miracolistico, ma solo della nudità della Parola e della fiducia che si abbandona e si affida per costruire insieme a tutte le persone di buona volontà un mondo più giusto, umano, dove ognuno possa trovare il suo posto nella piena uguaglianza e nell’assoluto rispetto. Figli di Dio vuol dire persone con gli stessi diritti e doveri.

La dottrina cattolica tradizionale considera apparizioni e fenomeni (per altro incontrollati) alla stregua di padre Pio come fatti privati per cui, come cattolico, credente e consapevole dichiaro pubblicamente che faccio a meno di padre Pio e soci perché mi basta Gesù Cristo e, credetemi, ne avanza anche in abbondanza.

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Padre Pio, religiosità popolare e papa Francesco

Marco Marzano
Il Fatto quotidiano, 4 febbraio 2016

Dunque ci siamo: come previsto, la salma di Padre Pio verrà per la prima volta traslata da San Giovanni Rotondo a Roma. E’ questo uno degli eventi più importanti dell’anno santo voluto dal papa e intitolato alla misericordia. Come interpretarlo? Come è possibile che il “papa rivoluzionario” presunto tifoso dell’incontro felice tra la Chiesa e la modernità descritto e idolatrato da tanti commentatori abbia deciso di incoraggiare una delle forme più tradizionali, retrive e decisamente macabre della religiosità popolare tradizionale? Come è possibile che colui che, sempre secondo molti ammiratori progressisti, avrebbe in animo di recuperare appieno lo spirito del Concilio Vaticano II ponga al centro dell’Anno Santo un uomo come Padre Pio che il papa del Concilio, Giovanni XXIII, guardava da lontano con una diffidenza enorme. Come è infatti ampiamente noto, in alcuni suoi foglietti personali pubblicati dallo storico Sergio Luzzato, papa Roncalli parlava del fenomeno Padre Pio come di una “dolorosa e vastissima infatuazione religiosa”, un disastro di anime, diabolicamente preparato” e rivelava di pregare misericordiosamente per l’anima del frate che “pur si deve salvare”.

Il punto è che in tanti, troppi, quasi tutti tra i commentatori, tirano ogni giorno il papa per la giacchetta, cercando di arruolarlo, di volta in volta, tra le proprie schiere, di metterlo al servizio del proprio progetto ecclesiale, di sintonizzarlo con la propria spiritualità. Giudicando la situazione dall’esterno, la verità a me sembra un’altra: certo, questo pontefice, a differenza dei precedenti, desidera che la Chiesa sia un luogo ospitale per tutti, reazionari e progressisti. Francesco non si farebbe mai sostenitore di iniziative di censura di questa o quella corrente ecclesiale. Insomma non pare proprio disposto ad agire, casomai nella direzione opposta, come Giovanni Paolo con i teologi della liberazione, e cioè a censurare o a mettere al bando alcuno. Per lui la Chiesa dev’essere un luogo dove convivono le differenze, dove albergano diverse e talvolta anche opposte sensibilità. Nessuno viene allontanato e tutti vengono accolti. Come insegna eloquentemente la metafora dell’ospedale da campo.

Detto questo, la sua personalissima visione della Chiesa e del cattolicesimo va in una direzione che io penso si possa definire populista. Il papa è infatti certamente, da un lato, indignato per le spaventose e crescenti diseguaglianze economiche globali, anche se non predica certo l’insurrezione rivoluzionaria, né ci ha mai indicato come poter fuoriuscire concretamente e praticamente dalla soggezione verso il pensiero unico liberista. Alla preoccupazione per le condizioni di vita dei più poveri tra gli abitanti della terra, il papa affianca una certa simpatia per i sistemi di credenze più popolari tra questi ceti. Credenze che il papa non fa mostra di voler in alcun modo modificare. Non ho purtroppo a disposizione dei dati affidabili sui pellegrini che si recano a San Giovanni Rotondo, ma credo che si possa dire che Padre Pio è tutto fuorché un “santo borghese”. Sarà certamente amato anche da molte persone colte e appartenenti ai ceti agiati, ma il santo di Pietralcina era un uomo semplice, privo di una cultura raffinata, impulsivo e sanguigno: insomma un uomo del popolo.

Che con molta parte del popolo del suo tempo condivideva la fiducia irrazionale in quel mondo incantato e ai confini della superstizione delle guarigioni miracolose, delle conversioni istantanee, delle stimmate, del soprannaturale che si fa visibile, degli angeli in lotta con i demoni, eccetera. Un universo simbolico decisamente poco illuminista, intriso di pensiero magico ed eredità piuttosto viva di un mondo premoderno che fatica ancora oggi a scomparire. Un mondo, genericamente non proprio simpatetico verso l’individualismo moderno e i diritti delle coppie omosessuali, che poi alimenta, e non poco, la partecipazione popolare ai Family Day e la resistenza culturale al cambiamento sociale e alla diffusione di una mentalità egualitaria. A questo proposito, può sicuramente darsi che il papa abbia, come molti sostengono, disapprovato i toni alti e lo stile radicalmente oppositivo del Family Day, ma certamente non sembra lontano e insensibile ai valori (una religiosità tradizionale basata essenzialmente sulla devozione e la preghiera) che stanno tanto a cuore a moltissimo dei partecipanti a quell’evento. Tutti costoro da oggi avranno la possibilità, grazie a Francesco, di ammirare le spoglie di Padre Pio nella Città Santa del cattolicesimo mondiale.