VIA LIBERA DI USA E CANADA AI NUOVI OGM DELLA MONSANTO

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

Qualche giorno fa i giganti delle biotecnologie Monsanto e Dow AgroSciences hanno annunciato l’immissione sul mercato a partire dal 2010 di un nuovo seme di mais geneticamente modificato. Il prodotto si chiamerà “SmartStax” e per la prima volta nella breve storia dell’ingegneria genetica il suo DNA conterrà ben otto geni modificati, così da opporre una maggiore resistenza a insetti e piante infestanti. L’approvazione, per così dire, del nuovo seme è arrivata frettolosamente dagli enti preposti dei governi canadesi e americano, entrambi sprovvisti dei mezzi necessari per valutare più a fondo i possibili rischi degli OGM per l’ambiente e la salute umana. Il tutto a poche settimane dall’appello lanciato da un’autorevole associazione di medici americani per una moratoria planetaria degli OGM.

A denunciare i metodi di verifica a dir poco approssimativi delle autorità sanitarie di Canada e Stati Unti è stata in particolare l’organizzazione no-profit di Ottawa CBAN (Canadian Biotechnology Action Network), la quale ha rivelato come non sia stato effettuato alcun controllo sugli effetti degli otto nuovi geni combinati tra di loro nel DNA del mais. Dal momento che questi geni erano stati approvati singolarmente dal Ministero della Salute canadese, praticamente nessuna valutazione dei rischi è stata fatta sul prodotto nato dalla collaborazione di Monsanto e Dow. Attualmente, sono in genere al massimo due i geni che vengono artificialmente immessi nel DNA di una singola pianta.

Lo SmartStax unisce le caratteristiche dei geni precedentemente approvati e resistenti all’erbicida Roundup – altro discusso prodotto di punta della Monsanto – con altri che permetteranno al mais di resistere agli insetticidi. Secondo la multinazionale del Missouri, il nuovo seme consentirà il raddoppiamento dei raccolti entro il 2030, dando la possibilità all’agricoltura di “rispondere alla crescente domanda mondiale di cibo ed energia”. Sempre secondo i dati forniti dalla corporation americana, a partire dal prossimo anno saranno 1,6 i milioni di ettari coltivati negli Stati Uniti e in Canada con il mais SmartStax.

Proprio negli USA intanto, l’Unione dei Consumatori ha chiesto ai governi dei due paesi nordamericani di ritirare immediatamente l’autorizzazione alla vendita del nuovo seme di mais. Lo SmartStax, infatti, con la combinazione di un tale numero di geni, violerebbe lo stesso Codex Alimentarius delle Nazioni Unite, producendo potenzialmente effetti indesiderati sulla salute dell’uomo, come l’insorgere di nuove allergie e tossine. Per questo motivo, andrebbero disposti immediatamente studi più approfonditi.

Nel 2001 una commissione indipendente di scienziati canadesi, incaricata di valutare una serie di possibili regolamentazioni per gli OGM nel proprio paese, aveva criticato aspramente il governo e la Canadian Food Inspection Agency (CFIA) per aver dato il via libera alle coltivazioni con semi geneticamente modificati senza indagare a sufficienza il loro impatto sulla salute e sull’ambiente. Da allora ben poco è cambiato in Canada, e non solo. Come se non bastasse, la CFIA ha anche ridotto le dimensioni dell’area cuscinetto normalmente richiesta attorno ai campi coltivati con semi geneticamente modificati e non ha finora fornito alcuna spiegazione per la decisione di approvare lo SmartStax senza richiedere ulteriori studi sui possibili effetti negativi.

Forse ancora più paradossale è addirittura la situazione negli Stati Uniti, dove l’intero processo di approvazione degli OGM è fortemente condizionato dalla decisione presa nel 1992 dall’amministrazione di George H.W. Bush, su richiesta della Monsanto, di considerare i semi modificati “sostanzialmente equivalenti” a quelli tradizionali. Una conclusione che ha determinato la pressoché totale assenza di controlli o studi sugli OGM immessi sul mercato da parte delle due agenzie responsabili (EPA e FDA), entrambe affollate in questi anni da ex avvocati e dirigenti della stessa Monsanto.

D’altra parte, va sottolineata anche l’assenza di studi scientifici indipendenti sui prodotti geneticamente modificati, dal momento che – come ha rivelato un’indagine della rivista Scientific American – aziende come Monsanto, BASF, Pioneer o Syngenta richiedono esplicitamente agli acquirenti dei loro prodotti di firmare un accordo che vieta di cedere i semi ad organismi di ricerca indipendenti. Di conseguenza, non è possibile verificare eventuali effetti collaterali dei semi modificati sull’uomo, gli animali o l’ambiente, né confrontarli con quelli tradizionali. Gli unici studi che le multinazionali delle biotecnologie consentono di essere pubblicati sono così quelli da loro preventivamente approvati, se non addirittura da loro stesse realizzati.

Alle crescenti proteste di agricoltori e organizzazioni a difesa dell’ambiente, si è aggiunto recentemente un appello della American Academy of Environmental Medicine (AAEM), associazione che riunisce medici e scienziati impegnati nello studio delle interazioni tra ambiente e salute umana. Dal proprio sito ufficiale, la AAEM ha affermato che il cibo proveniente da OGM “pone seri rischi per la salute” e per questo ne chiede l’immediata moratoria. Citando un numero sempre maggiore di studi condotti sugli animali, la stessa organizzazione indipendente conclude che vi sia “più di una associazione casuale tra cibo geneticamente modificato ed effetti dannosi sulla salute”, tra l’altro, in ambito tossicologico e allergologico, nonché delle funzioni immunitarie, riproduttive e metaboliche.

Oltre alla moratoria sugli OGM, la AAEM chiede l’implementazione di test sulla loro sicurezza, ai medici di educare i loro pazienti sui pericoli degli OGM per la salute, di considerare il ruolo del cibo prodotto con organismi geneticamente modificati nelle malattie diagnosticate e studi scientifici indipendenti sui loro effetti. Ben lontani dal rispondere in maniera sicura alla crescente domanda di cibo del pianeta, come sostengono le multinazionali dell’agrobusiness e delle biotecnologie, gli OGM rappresentano potenzialmente una seria minaccia per la salute umana e per l’ambiente in cui vengono piantati.

Tanto da richiedere da più parti in questo ambito l’applicazione del “principio di precauzione”, strumento di regolamentazione adottato dall’Unione Europea e concetto fondante di numerosi accordi internazionali. Stabilito nel corso della Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo del 1992 a Rio de Janeiro, questo principio che, “per proteggere l’ambiente”, dovrebbe “essere ampiamente applicato dagli Stati”, dispone come “qualora sussistano minacce di danni seri o irreversibili, l’assenza di certezza scientifica” non possa “essere usata per ritardare l’applicazione di misure vantaggiose in termini di costo volte a prevenire il degrado ambientale”.