La generazione “social forum” e la politica perduta

di Pierfranco Pellizzetti
da Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2010

Certo non dimostrabile, è – tuttavia – molto plausibile che una larga fetta dei 400mila voti incassati dalle liste sponsorizzate da Beppe Grillo nelle cinque regioni in cui erano presenti sia accreditabile ai ventenni. La nuova generazione che tende a informarsi e consigliarsi reciprocamente solo nei social forum, ora all’esordio sulla scena pubblica. Se ne potrebbe anche dedurre che l’ulteriore aumento del non-voto, registrato nelle ultime elezioni regionali, provenga da quello stesso bacino. Tutto ciò impone di riflettere attentamente sulla questione generazionale, in relazione con il crollo di capacità attrattiva dell’attuale proposta politica; ma anche in materia del tanto auspicato ricambio del personale stipato da decenni nei nostri partiti.

Va subito detto che quando ci si appella al rituale “largo ai giovani”, bisognerebbe rivolgersi ai “veri” giovani, non agli “ex”; i quarantenni che in un paese civile e moderno dovrebbero già da un pezzo essere classe dirigente.

Ma quella “X” (i nati dopo il 1965) è – purtroppo – una generazione perduta; schiacciata dal peso dei predecessori (“baby boomers”, venuti alla luce tra il 1945 e il 1964), prosciugata fin dai primi passi dal mood individualistico/carrieristico degli anni Ottanta e invischiata nelle pratiche impoverenti indotte da un falso mito spensierato del successo personale. Per dirla con il sociologo Robert D. Putnam, “tipi che giocano a bowling da soli”. Anche perché gli anni della loro formazione sono quelli in cui le lancette dello spirito del tempo hanno puntato decisamente verso le priorità del privato, determinando una vera desertificazione di civismo e relativi capitali sociali.

Tanto che la cosiddetta “X” neppure risulta essere una coorte generazionale dotata di coscienza di sé, capace di esprimere un pensiero – al tempo stesso – critico e innovativo: solo una folla di solitari over 40, alla ricerca ansiosa di singole scialuppe di salvataggio. Dunque, un requiem in loro memoria. Con grande compassione per il triste e ingiusto destino che li ha penalizzati, ma anche con profonda insofferenza verso quanti di loro hanno scalato gli organigrammi accettando di essere cooptati dagli anziani diventandone cloni (vedi i quarantenni del Pd, perfino più vecchi dei loro boss, che veleggiano verso la sessantina).

Ora – come si diceva – iniziano a fare capolino i ventenni, “i figli dei figli dei fiori”. Taluni li chiamano “generazione Y”, altri “millennials” (quanti hanno raggiunto la maggiore età nel XXI secolo). La loro irruzione indica che la lancetta del tempo ha cambiato direzione, spostandosi decisamente verso la dimensione pubblica, però rielaborata attraverso i filtri mentali delle esperienze biografiche emergenti.

Alcuni aspetti iniziano a precisarsi al riguardo. Anzitutto gli under nutrono molto meno timore reverenziale nei confronti delle figure dominanti, genitori inclusi; che giudicano terribilmente “lenti”, quando loro sono fast, simultanei come la schermata del PC o del cellulare, che maneggiano con naturalezza infinitamente superiore rispetto agli anziani.
L’elemento “rapidità” induce consapevolezza della propria originalità/diversità che li rende critici nei confronti del contesto vigente e che potrebbe tradursi nella soggettività da gruppo sociale. Anche perché traggono dalle esperienze quotidiane una sorta di agenda generazionale delle priorità, largamente influenzata da tali “vissuti”. In particolare, il tema della qualità relazionale e il problema della complessità.

Per inciso, essendo ancora largamente parcheggiati in ambito scolare, i millennials non sono stati morsi dalle repliche ansiogene dell’inserimento nel mondo del lavoro; cresciuti in una società dello spreco, hanno interiorizzato l’ambientalismo come un dato di fatto. Dunque, priorità scarsamente economicistiche. Appunto, altri sono gli ambiti su cui oggi esercitano la loro critica e magari domani (auspicabilmente) matureranno un protagonismo autonomo e originale.

La complessità di un futuro problematico e la conseguente domanda di orientamento li rende molto sensibili alle tematiche della formazione e altrettanto severi nei confronti delle istituzioni dedicate (non meno dei tentativi oscurantisti di controriformarle). Il sentirsi “nuovi” li spinge a coltivare relazioni con i coetanei, spesso orientate al cosmopolitismo (visto che la frequentazione con gli extracomunitari – per loro – risale già ai primi anni della scuola). La dimestichezza con le nuove tecnologie comunicative li indirizza naturalmente al loro uso strategico.

Tutti temi/problemi largamente trascurati dai programmi della politica ufficiale, che potrebbero rivelarsi un punto di partenza importante per la sperimentazione innovativa finalizzata a rifare società. Sempre che i ventenni non vengano sgarrettati per tempo. Anche perché sembrano ancora privi della consapevolezza di quale sia l’ambito in cui si gioca la partita decisiva: quello del Potere. Dunque, privi di strumenti per giocarvi un ruolo non subalterno.