Libia: cosa può e deve fare l’Italia

Stefano Rizzo
www.paneacqua.eu

100, 1000, 10.000, 100.000. Quanti morti sono abbastanza perché ci si decida ad intervenire? perché la comunità internazionale eserciti quel “dovere/diritto di protezione” nei confronti della popolazione libica che da decenni è parte del diritto internazionale, delle proclamazioni delle Nazioni Unite, e della prassi adottata (o invocata) in numerosi altri casi, dalla Somalia, alla Bosnia, Kossovo, al Sudan, al Libano, al Congo? E quanti morti ancora ci vorranno perché il governo italiano esca dalla sua passività, dal suo attendismo, e si assuma le responsabilità che la storia lontana e recente, la vicinanza geografica e i legami economici gli conferiscono in via principale, affinché – l’Italia prima e più di ogni altro paese — prenda le necessarie iniziative in tutte le sedi internazionali?

Ma il governo, si sa, è in altre faccende affaccendato e la nave Italia bordeggia senza guida, vede dall’altra sponda del Mediterraneo alzarsi il fumo degli incendi, sente il fragore degli spari e dei bombardamenti, vede le fosse che vengono scavate per i morti che già ci sono e per quelli che verranno, e nulla fa e nulla dice. Paralizzata dal terrore di una invasione barbarica di esseri umani terrorizzati che potrebbe riversarsi sulle sue coste. Fino ad oggi si è soltanto decisa a condannare i massacri, come se questo fosse sufficiente ad assolverla dalle sue responsabilità, ma sostanzialmente aspetta che passi la tempesta per vedere chi vincerà e poi, quando le fosse saranno riempite e chiuse, riprendere i traffici usuali con il vincitore. Il gas riprenderà a scorrere e ci saranno nuove possibilità di affari per la ricostruzione.

Per la verità anche le opposizioni, e in particolare quella di sinistra che a noi più interessa, si fanno sentire solo per criticare il governo e la sua “timidezza”, ma proposte concrete per porre fine alla mattanza e ripristinare un minimo di sicurezza, di legalità e di legittimità in quel paese, nessuna. E allora proviamo noi a dire cosa occorrerebbe fare, e da subito.

• Investire della questione il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite perché ordini alle truppe e alle milizie del dittatore di porre fine alle violenze contro la popolazione civile, approvi sanzioni economiche e embargo totale delle armi nei confronti del regime libico, e disponga l’invio di un contingente di peacekeeping per mettere a tacere le armi.
• Investire della questione il Tribunale penale internazionale perché avvii la procedura di incriminazione nei confronti del dittatore libico per crimini contro l’umanità e intanto spicchi un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti.
• Intervenire sull’Unione europea non solo e non tanto perché contribuisca a predisporre quanto necessario ad accogliere i rifugiati che fuggono dalle persecuzioni del regime, ma perché intervenga sia come governo europeo sia attraverso i governi dei paesi membri per rendere operative le decisioni delle Nazioni Unite, intraprendendo tutte le azioni giuridiche, economiche e militari necessarie a porre fine al conflitto.
• Intervenire sulla Nato perché, anche indipendentemente da una decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ma sperabilmente su suo mandato), organizzi un corpo di spedizione militare di almeno 5000 uomini per creare nella parte orientale della Libia o in altre zone sicure zone protette (safe havens) nelle quali fare affluire le persone in fuga dalla guerra, che verranno assistite dall’Alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni non governative.

Tutto questo l’Italia può e deve farlo attraverso gli organismi internazionali di cui fa parte; ma ci sono azioni che può e deve intraprendere in prima persona. Tra queste:

• Ritiro di tutti i cittadini italiani non essenziali alla protezione degli impianti petroliferi e dei gasodotti, accompagnato da un fermo monito al dittatore libico che qualunque atto di violenza o minaccia nei confronti del personale italiano rimasto verrà considerato alla stregua di un atto di guerra e riceverà una pronta risposta militare.
• Blocco di tutti gli interessi e partecipazioni economiche della Libia in Italia (banche, imprese, società sportive), che di fatto sono nella disponibilità del dittatore libico, della sua famiglia e dei suoi sodali. Revoca di tutti gli incarichi societari in aziende italiane ai rappresentanti libici legati alla famiglia del dittatore o che sono emanazione del suo governo e delle sue banche. Questi beni e partecipazioni finanziarie dovranno essere restituiti al legittimo governo libico, quando e se ve ne sarà uno, ovvero confiscati e riversati in un fondo bloccato se al potere resterà Mohammar Gheddafi.
• Predisposizione di campi profughi sul suolo italiano per accogliere i rifugiati dalla Libia o da altri paesi del Mediterraneo squassati dalla guerra civile, campi che dovranno essere gestiti di intesa e con l’aiuto dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e che in nessun modo possono essere equiparati alle strutture di accoglienza per altri richiedenti asilo o per gli immigrati irregolari. Le navi e i mezzi aerei italiani dovranno essere utilizzati per evacuare le persone — italiani, libici o di altre nazionalità — in fuga dalle zone del conflitto e portati nelle zone protette in Libia o nei campi profughi in Italia. In ogni caso e per tutta la durata dei conflitti, blocco dei respingimenti e dei rimpatri, per soli scopi umanitari e senza che questo configuri l’accettazione dei migranti in via permanente.

Italia, l’armata anti-immigrati

Antonio Mazzeo
www.peacereporter.net

Frontex, l’Agenzia Europea per la Gestione della Cooperazione Operativa alle Frontiere, lancia la sua guerra ai migranti nordafricani nel Canale di Sicilia. Quattro aerei, due navi e due elicotteri militari messi a disposizione da sei paesi membri opereranno sin dai prossimi giorni per presidiare le coste di Lampedusa. “A seguito di una richiesta formale da parte del ministro degli Interni italiano, ricevuta lo scorso 15 febbraio, Frontex e l’Italia hanno avviato l’operazione congiunta Hermes 2011 che interesserà l’area centrale del Mediterraneo”, recita il comunicato emesso dal quartier generale Frontex di Varsavia. “Originariamente Hermes 2011 era stata programmata per il mese di giugno, ma è stato deciso di anticiparla a febbraio. La missione dovrebbe concludersi il 31 marzo ma potrebbe essere estesa oltre il termine previsto”. Il costo preventivato per le operazioni è di due milioni di euro e sarà interamente coperto dalla Commissione europea.

Un team di pronto intervento dell’agenzia europea è già stato inviato a Lampedusa per operare a fianco delle autorità militari italiane nel “monitoraggio sul campo di quanto accade” e nel “rafforzamento della sorveglianza dei confini esterni dell’Unione europea”. Sempre secondo Frontex, “l’agenzia è attenta alla situazione migratoria di Lampedusa e il monitoraggio viene effettuato in stretto collegamento con il Frontex Operational Office del Pireo, Grecia”.

Sarà comunque l’Italia a guidare Hermes 2011 e a fornire tutte le unità navali e gli equipaggi che pattuglieranno il Canale di Sicilia per “individuare e prevenire l’attraversamento illegale delle frontiere per le isole Pelagie, la Sicilia e la penisola italiana”. Gli aerei e gli elicotteri per “accrescere la sorveglianza delle frontiere e le capacità di ricerca e salvataggio” saranno messi a disposizione da Francia, Germania, Italia, Malta, Spagna e Olanda. È inoltre prevista una “seconda linea” di controllo grazie al trasferimento a Lampedusa di una trentina di super esperti di Frontex nell’“identificazione delle nazionalità di provenienza dei migranti” e delle eventuali “reti dei trafficanti di persone”. Il passo successivo dello staff Ue sarà quello di dare assistenza all’Italia “nell’organizzazione delle attività di rimpatrio verso i Paesi di origine”. Gli esperti Frontex di Lampedusa forniranno – su richiesta dalle autorità italiane – le “analisi dei rischi specifici” relativi ai possibili scenari “sull’accresciuta pressione migratoria nella regione alla luce dei recenti sviluppi politici in nord Africa e sulla possibilità che si apra un ulteriore fronte migratorio nell’area centrale mediterranee” (vedi Libia n.d.a.). Il team d’intelligence sarà composto da 007 provenienti da Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Malta, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia e Svizzera, paese quest’ultimo “extracomunitario”.

A Lampedusa sarà pure installato un ufficio mobile di Europol che fornirà il proprio supporto tecnico alla Hermes 2011 Joint Operation. Dall’ottobre 2009, l’agenzia anti-crimine dell’Unione europea è divenuta una dei principali partner di Frontex nel campo della sicurezza e dello screening-migrazioni. Al rafforzamento del dispositivo militare concorrono inoltre un centinaio di militari dell’esercito (trasferiti nell’isola grazie al “decreto d’emergenza immigrati” del presidente del Consiglio dei ministri), due corvette della classe “Minerva” (Chimera e Fenice) con 226 membri d’equipaggio e la nuova nave di “supporto logistico ed elettronico interforze” Elettra. Le unità sono dotate di sofisticati sistemi d’arma: cannoni da 76/62 mm. compatti, lanciamissili “Albatros” a otto celle, lanciasiluri A/S MK 32, lanciarazzi multipli “Barricade” e mitragliere Alenia OtoBreda-Oerlikon KBA 25/80. In posizione più avanzata, di fronte alle coste libiche, opereranno il cacciatorpediniere lanciamissili Mimbelli che terrà i collegamenti elettronici con i Comandi della Marina militare e i cacciabombardieri Eurofighter ed F-16 in “massima allerta operativa” nelle basi di Trapani-Birgi e Gioia del Colle e le unità anfibie San Giorgio e San Marco, con a bordo i marines del Reggimento San Marco e gli incursori del gruppo “Comsubin”.

Imponente anche lo schieramento della Guardia costiera. Secondo quanto annunciato dal comandante Alessandro Nicastro, sono state dirottate a Lampedusa due motovedette classe 800, specializzate nella ricerca e soccorso costiero, e due della classe 300 “realizzate per le emergenze connesse al fenomeno migratorio e dedicate al soccorso in alto mare”. Il dispositivo è integrato dagli aerei Piaggio P-166 ed ATR 42-MP operativi dalla base aeromobili di Catania Fontanarossa. A largo delle isole Pelagie sono inoltre presenti le motovedette classe 2000 e classe 200, impegnate nel pattugliamento costiero e d’altura, e i pattugliatori della classe 900, con un’autonomia di diversi giorni. Complessivamente il personale della Guardia costiera impegnato nell’emergenza-sbarchi è di un centinaio di uomini di equipaggio, una cinquantina a terra e una decina per il supporto aereo. Secondo il quotidiano la Repubblica, il ministero della Difesa avrebbe autorizzato lo spostamento in Sicilia di elicotteri dell’Aeronautica e della Marina “da utilizzare in supporto al lavoro delle navi della Guardia costiera e della Guardia di finanza”.

Intanto il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha comunicato che si recherà a Catania lunedì 28 febbraio per incontrare il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, e alcuni sindaci siciliani per illustrare il piano di utilizzo del Residence degli Aranci di Mineo (proprietà della società di costruzioni Pizzarotti Parma) come “sede temporanea” dei richiedenti asilo politico. Secondo quanto anticipato dal sindaco del piccolo comune etneo, Giuseppe Castania, di ritorno da un incontro al Viminale, nella struttura saranno trasferiti “un massimo di duemila rifugiati, sopratutto famiglie con donne e bambini”. I richiedenti asilo “rimarranno all’interno del villaggio per sei mesi; trascorso questo tempo sarà lo stesso governo e le organizzazioni umanitarie ad adoperarsi per trovare un lavoro in Italia ed in Europa”. La conversione dell’ex villaggio dei militari USA di Sigonella a centro semi-detentivo per rifugiati sarà formalizzata con un contratto a tempo indeterminato tra il ministero degli Interni e la Pizzarotti S.p.A.