La Spagna commissariata rifiuta i tagli

Ettore Siniscalchi
www.articolo21.org, 20 luglio 2012

Notte di scontri a Madrid dopo una giornata di proteste che hanno portato decine di migliaia di persone in piazza nelle principali città spagnole. I tagli del governo Rajoy rischiano di spingere nella povertà una classe media che si avvicina sempre più al limite dell’indigenza e eliminano assistenza e servizi sociali a chi riesce a campare solo ricorrendo ai servizi pubblici. Giovedì il Parlamento ha approvato un’ondata di tagli di bilancio senza precedenti nella storia del paese. Lo ha fatto coi soli voti del Pp, con l’assenza del capo del governo che ha presenziato solo durante la votazione sfuggendo a una discussione molto tesa, col ministro delle finanze che lanciava il grido d’allarme: le casse sono vuote, rischiamo di non poter pagare gli stipendi. Intanto lo spread ha sfondato il muro dei 600 punti, alla notizia che la Comunità valenziana chiederà il salvataggio da parte dello Stato, e gli interessi dei Bot a dieci anni sono arrivati al 7 %. I tagli, ancora più duri di quanto annunciato, sono arrivati mentre le manifestazioni inondavano le strade e a Madrid le Cortes erano protette da centinaia di agenti, come una green zone in terra ostile.

Le manifestazioni sono continuate e nella notte sono arrivati gli scontri. Ma i protagonisti non sono okupas o aderenti al Black bloc. Gli animi sono stati scaldati dalla violenta risposta delle forze dell’ordine che alle minime scaramucce hanno reagito sparando pallottole di gomma che hanno ferito anche persone anziane. La reazione è arrivata da impiegati pubblici, membri delle stesse forze di polizia – probabilmente i protagonisti delle azioni di sabotaggio che hanno colpito un centinaio di mezzi delle forze dell’ordine stazionati nei parcheggi della Policía nacional – insegnanti e infermieri. E soprattutto pompieri, che sparando schiuma dalle autobotti hanno sfondato le linee degli antisommossa. E’ la classe media che si ribella, in primis gli impiegati pubblici che sono i più colpiti.

Il taglio delle tredicesime vale tra il 5 e il 7 per cento in meno del salario lordo, da aggiungere al 5 già levato da Zapatero. Ancor peggio va ai dipendenti delle Autonomie: un altro 5 per cento in meno in Catalogna: in Andalusia riduzioni del salario per evitare licenziamenti. Un dramma per le famiglie, mentre sale il costo della vita, soprattutto nel welfare, con minori erogazioni e ticket variabili da un’Autonomia all’altra. Il mancato pagamento delle tredicesime è una misura provvisoria e il governo ha detto che le restituirà nel fondo pensioni ma non si è certi se riguarderà anche la quattordicesima natalizia, né se si aprirà il capitolo della riduzione del pubblico impiego, evocato dal premier Rajoy. Pesantissime poi, visti i drammatici dati occupazionali, sono le riduzioni di tempi e quantità del salario di disoccupazione, mentre si rimette in discussione il sistema pensionistico, a un anno appena dalla riforma Zapatero che elevò a 67 anni l’età pensionabile con 37 di contributi.

Rajoy ha annunciato un progetto di legge per la revisione quinquennale del regime pensionistico che tenga conto del «fattore di sostenibilità»: rideterminazione degli assegni in regime automatico. Gli aiuti fiscali per l’acquisto di case sono cancellati con un risparmio di 15 miliardi. Altri 3500 vengono tagliati alla pubblica amministrazione, ma solo a quelle locali, che dovranno rivedere gli obiettivi di deficit dall’1,1 allo 0,7% nel 2013 e dall’uno allo 0,1 nel 2014 e ridurre di circa il 30% le assemblee elettive. Sommando l’aumento dell’Iva, i tagli delle spese dei ministeri, la riduzione del 20% dei contributi a partiti, sindacati e organizzazioni d’impresa, il governo prevede di risparmiare 65 miliardi in due anni.

Praticamente i 62 miliardi di cui dovrebbero aver bisogno le banche spagnole. Dopo aver tentato di negare in ogni modo alla fine lo stesso governo ha giustificato le misure dicendo di essere obbligato dall’Ue. Malgrado la concessione del finanziamento diretto alle banche e l’anno in più per raggiungere gli obiettivi di bilancio, le differenze rispetto agli obblighi di Portogallo, Grecia e Irlanda sono solo apparenti. In effetti, lo stato garantisce indirettamente il finanziamento, con una manovra pari alla prevedibile erogazione, e cede sovranità in un commissariamento di fatto, i cui termini sono evidenti nel memorandum di intesa sottoscritto per accedere al finanziamento. Doveva essere un documento limitato al settore del credito ma è un vero e proprio programma economico. Nei 32 punti che lo compongono si trovano la creazione di bad banks sui cui bilanci caricare i titoli tossici; la cessione del governo alla Banca di Spagna dei poteri di sorveglianza bancaria; il controllo di Commissione europea, Bce e Autorità bancaria europea, con ispezioni periodiche e straordinarie; l’obbligo di trasmissione dei dati. Misure rigidamente calendarizzate da qui al giugno 2013.

Come dicevamo è la classe media a guidare la ribellione, che mette in discussione la filosofia degli interventi anticrisi. A essere rifiutata è la politica di austerità, la possibilità di fare debito solo per tentare di pareggiare il bilancio e non per tentare politiche di sviluppo e creazione di lavoro, l’idea che il welfare debba esser indebolito proprio quando è più necessario. L’ira nasce dal fatto che a essere colpiti sono i più deboli, i lavoratori a reddito fisso i cui stipendi e contributi sono indifesi, mentre il governo vara un condono fiscale per chi ha evaso le tasse.

I sindacati indicono le manifestazioni ma non le controllano. I centomila di Madrid, in massima parte erano esponenti della piccola borghesia urbana del pubblico impiego, pompieri – i protagonisti dei più duri scontri con la polizia – gli stessi appartenenti alle forze dell’ordine, pensionati, studenti e persone dipendenti dai servizi pubblici. Non hanno grande fiducia nelle associazioni sindacali, coinvolti nella generale crisi di fiducia nelle istituzioni. Parlamento, politica, Chiesa, partiti, sindacati sprofondano nelle inchieste sulla fiducia mentre, significativamente, ai livelli più alti ci sono le rappresentanze del welfare quotidiano. Scuola pubblica e insegnanti, medici e sistema sanitario, assieme alle Ong, svettano nelle preferenze degli spagnoli che vedono in essi il meglio della democrazia e temono che vengano sacrificati sull’altare della lotta alla crisi. Il governo si trova in gradi difficoltà ma le opposizioni ancora non riescono a costruirsi una credibilità. Mai era capitato che a sette mesi dall’insediamento un esecutivo avesse un così basso gradimento, mentre aumentano le altre tensioni storiche spagnole. I nazionalismi, con l’estremizzazione dell’indipendentismo catalano e il futuro parlamento basco che sarà dominato dagli indipendentisti di centro e di sinistra, mentre il governo è immobile sulla questione dell’Eta, pur essendo davanti a un momento storico che potrebbe vedere la definitiva risoluzione del problema del terrorismo basco.

Tornando alle proteste esse appaiono come il grido di quella classe media impiegatizia su cui si è sin qui poggiatala Spagnademocratica, dalla transizione pacifica alla democrazia alla costruzione di un mercato interno di consumatori affezionati alle istituzioni della democrazia. Nelle proteste spagnole a essere messe alla prova sono le ricette anti crisi europee. Viene rifiutata la logica d’intervento che alimenta un circolo vizioso che crea recessione, nuova disoccupazione, riduzione del gettito fiscale e smantellamento della cosa pubblica.

A Madrid dovrebbero guardare con attenzione Bruxelles e Berlino. La classe media greca è stata ridotta alla fame perché il grido di aiuto non è stato ascoltato per colpa di classi dirigenti totalmente screditate. In Spagna, istituzioni e sistema politico sono ben più solidi, come più efficiente è la cosa pubblica. Ma vengono proposte ricette simili e si hanno le stesse reazioni. Che ci dicono anche che oggi nessun esecutivo europeo può permettersi di seguire politiche che vengano viste dalla popolazione come profondamente ingiuste o inutile macelleria sociale.

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Spanic, Madrid vede il baratro

Carlo Musilli
www.altrenotizie.org

La Spagna, da sola, non ha più le risorse per sopravvivere, ma dovrà comunque garantire i prestiti che l’Europa sta per inviare alle sue banche, gonfie di titoli tossici legati alla bolla immobiliare. Non è chiaro come riuscirà a farlo, né quale credibilità possano avere queste garanzie. L’unica certezza è che Madrid non avrà scelta, in ossequio all’intransigenza tedesca.

Intanto il governo di Mariano Rajoy, che fin qui non ha fatto nulla se non obbedire alle imposizioni altrui, continuerà a tormentare i cittadini con un’austerità che puzza di macelleria. E’ questo il messaggio che emerge da una giornata di allarmi incrociati per il Paese iberico.

Ad aprire le danze è stato Cristobal Montoro, ministro del Bilancio spagnolo, che ieri ha acceso la sirena: “Non abbiamo un soldo in cassa per pagare i servizi pubblici – ha annunciato candidamente in Parlamento – e se la Bce non avesse comprato i titoli di Stato, il Paese sarebbe già fallito”.

L’Esecutivo spagnolo ha seguito “le raccomandazioni dell’Ue, che sono in realtà degli obblighi – ha aggiunto Montoro – e se intendiamo essere Europa e costruire l’Europa dobbiamo accantonare parzialmente le nostre convinzioni. Bisogna rinunciare a quello che non può essere finanziato”. Il ministro ha tentato così di giustificare le misure varate pochi giorni fa, fra cui spiccano il taglio alle tredicesime agli Statali, la riduzione dei sussidi di disoccupazione e l’aumento dell’Iva.

Poi sono arrivati i mercati, che hanno messo il punto esclamativo alle parole di Montoro mandando a rotoli l’ultima asta di titoli di Stato spagnoli. Ieri il Tesoro di Madrid ha collocato Bonos a varia scadenza per quasi tre miliardi. Risultato pessimo: i rendimenti sono schizzati alle stelle e la domanda si è indebolita rispetto agli ultimi collocamenti. I tassi d’interesse sui bond decennali già in circolazione sono saliti oltre la linea rossa del 7%, portando lo spread al nuovo record storico di 583 punti base (per intenderci, il picco toccato dall’Italia alla fine dell’era Berlusconi era stato di 575). Il debito “ci sta schiacciando e condizionando – ha detto ancora Montoro e stiamo attraversando una seconda recessione economica, un prolungamento di quella del 2009. Dobbiamo uscirne per come siamo, cioè in Europa, e con l’euro”.

In ogni città del Paese sono scese in piazza le vittime dell’inconsistenza politica del governo. Più di ottocentomila persone hanno attraversato le strade chiedendo uno stop immediato alle manovre del governo che stremano la Spagna oltre ogni limite per proseguire inginocchiati di fronte alla speculazione finanziaria e ai diktat europei.

E proprio da Bruxelles gli spagnoli attendono la medicina per restare in vita. Oggi a metà giornata è previsto un Eurogruppo straordinario in teleconferenza, al termine del quale i ministri economici di Eurolandia dovrebbero dare il via libera ufficiale al piano di aiuti per Madrid. In tutto si parla di fondi che potrebbero raggiungere i 100 miliardi di euro, ma nel corso dell’ultimo vertice europeo si era deciso di varare già entro fine luglio un primo prestito da 30 miliardi per aiutare il sistema bancario. Un tampone sulla ferita più profonda.

Se l’accordo dovesse saltare, la bancarotta del Paese non sarebbe più un’ipotesi di scuola. E un crack si rivelerebbe molto più disastroso per la finanza europea degli eventuali fallimenti di Grecia, Irlanda e Portogallo (gli altri paesi che ricevono aiuti). Lo sanno benissimo anche in Germania, al punto che ieri perfino il rigoroso Wolfgang Schaeuble, ministro tedesco delle Finanze, ha spronato i suoi parlamentari a dare il via libera al piano: “Anche la semplice apparenza di una minaccia alla solvibilità dello stato spagnolo – ha detto – può portare a un aumento del pericolo di contagio nell’Eurozona, così come potrebbe farlo la debolezza di alcune banche spagnole”.

Poi però il Bundestag si è rilassato ascoltando la solita precisazione del ministro: “E’ la Spagna che chiede aiuto, è la Spagna che riceve i fondi e sarà la Spagna ad esserne garante”. Come a dire che Berlino, dopo aver imposto la mattanza sociale, non intende accollarsi alcun rischio.

In realtà, a fine giugno i leader europei si sono accordati sulla possibilità che il futuro fondo salva Stati permanente (l’Esm) possa ricapitalizzare direttamente le banche, senza passare per la mediazione dei governi nazionali. La nuova procedura toglierebbe dalle spalle dei singoli Paesi l’obbligo di garantire per i propri istituti ed eviterebbe di appesantire i debiti pubblici. Il meccanismo, tuttavia, non potrà entrare in vigore finché la vigilanza bancaria europea non sarà accentrata nelle mani della Bce. E ci vorrà un po’, visto che ancora non ci sono nemmeno delle proposte di riforma. Nel frattempo, gli spagnoli devono cercare di resistere.