Cdb di San Paolo – Commento alla lettura eucaristica del Gruppo “Marconi”

Domenica 9 marzo 2014

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I Lettura: Vangelo di Matteo (4,1-11)

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

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II Lettura: Da Dostoevskij I fratelli Karamazov, cap. V passim.

Per contestualizzare brevemente il racconto: Ivan, uno dei Karamazov, giornalista che si è costruito una certa fama, confida al fratello Aliosha, fervente aspirante monaco, il suo tormento di non poter conciliare l’esistenza di Dio e la presenza del male. La sofferenza di cui non si può trovare ragione, il male inferto ai bambini in particolare, non gli consente di accettare il mondo così come Dio l’ha creato. E gli offre la sua interpretazione dell’episodio delle tentazioni di Cristo raccontando un poema che avrebbe scritto, ambientato nella Spagna cinquecentesca degli autodafé. Cristo è tornato sulla terra per vedere come vive il suo popolo e il Grande Inquisitore lo fa immediatamente arrestare.

“Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell’autodistruzione e del non essere, – continua il vecchio, – il grande spirito Ti parlò nel deserto, e nei libri ci è riferito come egli Ti avesse “tentato”. Non è così? Ma si poteva mai dire qualcosa di più vero di quanto egli Ti rivelò nelle tre domande che Tu respingesti e che nei libri sono dette “tentazioni”?… In quelle tre domande infatti è come compendiata e predetta tutta la storia ulteriore dell’umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteranno tutte le insolubili, contraddizioni storiche dell’umana natura su tutta la terra… “Decidi Tu stesso chi avesse ragione, se Tu o colui che allora T’interrogava. Ricordati la prima domanda: se non la lettera il senso era questo: “Tu vuoi andare e vai al mondo con le mani vuote, con non so quale promessa di una libertà che gli uomini, nella semplicità e nella innata intemperanza loro, non possono neppur concepire, che essi temono e fuggono, giacché nulla mai è stato per l’uomo e per la società umana più intollerabile della libertà! Vedi Tu invece queste pietre in questo nudo e infocato deserto? Mutale in pani e l’umanità sorgerà dietro a Te come un riconoscente e docile gregge, con l’eterna paura di vederti ritirare la Tua mano, e di rimanere senza i Tuoi pani”. Ma Tu non volesti privar l’uomo della libertà e respingesti l’invito, perché, così ragionasti, che libertà può mai esserci, se la ubbidienza è comprata coi pani?… Sai Tu che passeranno i secoli e l’umanità proclamerà per bocca della sua sapienza e della sua scienza che non esiste il delitto, e quindi nemmeno il peccato, ma che ci sono soltanto degli affamati? “Nutrili e poi chiedi loro la virtù!”, ecco quello che scriveranno sulla bandiera che si leverà contro di Te e che abbatterà il Tuo tempio… Tu promettevi loro il pane celeste, ma, lo ripeto ancora, può esso, agli occhi della debole razza umana, eternamente viziosa ed eternamente abietta, paragonarsi a quello terreno? E se migliaia e diecine di migliaia di esseri Ti seguiranno in nome del pane celeste, che sarà dei milioni e dei miliardi di esseri che non avranno la forza di posporre il pane terreno a quello celeste? O forse Ti sono care soltanto le diecine di migliaia di uomini grandi e forti, mentre i restanti milioni, numerosi come la sabbia del mare, di esseri deboli, che però Ti amano, non devono servire che da materiale per i grandi e per i forti? …
Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli, per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza e desti così l’esempio. Lo spirito sapiente e terribile Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: “Se vuoi sapere se Tu sei Figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo”; ma Tu, udito ciò, respingesti l’offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giù. Oh, certo, Tu agisti allora con una magnifica fierezza, come Iddio, ma gli uomini, questa debole razza di ribelli, sono essi forse dei? Oh, Tu comprendesti allora che, facendo un solo passo, un solo movimento per gettarti giù, avresti senz’altro tentato il Signore e perduto ogni fede in Lui, e Ti saresti sfracellato sulla terra che eri venuto a salvare, e si sarebbe rallegrato lo spirito sagace che Ti aveva tentato. Ma, ripeto, ce ne sono forse molti come Te?… Ma Tu non sapevi che, non appena l’uomo avesse ripudiato il miracolo, avrebbe subito ripudiato anche Dio, perché l’uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l’uomo non ha la forza di rinunziare al miracolo, così si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, foss’egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo. Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu”. Tu non scendesti, perché una volta di più non volesti asservire l’uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore. Ma anche qui Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché, per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi… Noi abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono così terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti. Avevamo noi ragione d’insegnare e di agire così? Parla! Forse che non amavamo l’umanità, riconoscendone così umilmente l’impotenza, alleggerendo con amore il suo fardello e concedendo alla sua debole natura magari anche di peccare, ma col nostro consenso? Perché mi guardi in silenzio coi tuoi miti occhi penetranti? Va’ in collera, io non voglio il Tuo amore, perché io stesso non Ti amo… Da lungo tempo non siamo più con Te, ma con lui, sono ormai otto secoli. Sono esattamente otto secoli che accettammo da lui ciò che Tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono ch’egli Ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra: noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare e ci proclamammo re della terra, gli unici re, sebbene non abbiamo ancora avuto il tempo di compiere interamente l’opera nostra…
L’inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir più… non venire mai più… mai più!”. E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana.

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Commento introduttivo del gruppo:

Molteplici sono i filoni che potrebbero scaturire dalle letture di questa domenica. Noi, però, ci siamo concentrati sul tema della libertà di scelta e sulla possibilità di discernere tra bene e male, che si ritrovano nel passo di Matteo.

Anche il brano della Genesi affrontava la problematica della presenza del male nel mondo, rielaborando un mito preso a prestito dal mondo iranico da parte del popolo ebraico probabilmente nella sua prigionia in Babilonia tra il 587 e il 539, e adattandolo alla propria religione monoteista. Sarebbe interessante notare la distanza tra quanto la cultura ebraica ha prodotto e i dogmi che sono scaturiti dal lavorio della patristica. La risposta ebraica al problema si identifica nella disubbidienza dell’uomo nei confronti di Dio ma non è stroncante nei confronti dell’uomo perché comunica il messaggio che Dio benedice anche quando maledice, come ci ricorda sempre Giovanni. Il passo andrebbe letto con qualche versetto in più e si evincerebbe che la situazione in cui si ritrovano Adamo ed Eva non è una condanna senza speranza; perché la donna soffre ma ha il potere di dare la vita, e l’uomo è in grado di procurarsi il pane, se pur con sudore della fronte. La visione è lontana dall’elaborazione del dogma del peccato originale che ha bisogno del battesimo per essere mondato, pena la dannazione eterna, come ritroviamo in Agostino.

Per il commento al brano di Matteo ci siamo serviti delle famose pagine della cosiddetta “Leggenda del Grande Inquisitore”. Dostoevskij legge le tre tentazioni mostrando di comprenderne la portata rivoluzionaria ma – paradossalmente – la loro interpretazione è portata avanti dalla figura di un “Grande Inquisitore”, una sorta di Anticristo, che, dopo essersi macerato per anni dietro le parole di Gesù, ha capito la debolezza dell’uomo e su di essa ha costruito il suo potere.

È innegabile che nelle parole di Dostoevskij giochi un ruolo decisivo la critica alla Chiesa cattolica, ma schiacciare questo testo sulla traccia scontata della polemica religiosa significa impoverirlo e banalizzarlo. È, piuttosto, una critica verso qualsiasi società od organizzazione totalitaria, verticale e gerarchica, che tiene in minorità le masse non ritenendole in grado di esercitare in modo responsabile la propria libertà; oggi potremmo identificarla anche nella spersonalizzante società del consumo. “La Leggenda disegna un quadro preciso in cui cresce e si esercita il potere. Nel discorso dell’Inquisitore c’è un’ambiguità che è la sua vera ricchezza e che lo fa andare molto al di là della semplice illustrazione della cupidigia del potere. Questa bramosia è sostenuta da un’antropologia spietata, che conosce tutte le debolezze dell’uomo, ed è libera da quelle retoriche che le minimizzano o le cancellano, aliena da ogni giudizio morale” (Gherardo Colombo “Il peso della libertà”).

Riferendosi a Dio l’uomo è in grado da solo di distinguere il bene e il male, perché quel Dio non impone, ma ama: attraverso l’amore, simboleggiato da quel bacio che recupera anche il Grande Inquisitore, lascia liberi gli uomini di scegliere, di scegliere anche il male, ma suggerisce loro la strada per vivere insieme.
Non è neanche necessario presupporre l’esistenza di Dio perché si possa distinguere tra bene e male. Basta guardare agli esseri umani, come ha insegnato Cristo, alla loro capacità di gioire e di soffrire, di fare esperienza. È il riconoscimento ‘terreno’ e storico della dignità della persona umana la radice della distinzione tra il bene e il male.

Ma forse il Grande Inquisitore ha una lezione da darci e i suoi argomenti vanno presi sul serio: l’attenzione per i miseri, per coloro che non hanno la forza morale per essere all’altezza dei principi più esigenti formulati da Cristo ci impone di evitare atteggiamenti culturali di superiorità, la nostra eccessiva certezza di essere nel giusto e di essere riusciti a superare certi infantilismi della fede. Chi pretende di stare con gli ultimi deve essere capace di confrontarsi anche con le loro debolezze, con il loro bisogno di certezze e di sottomissione, con un’idea del divino molto terrestre, immediata e profana.

C’è tutta una massa grigia tra la schiera dei santi e quella dei dannati per la quale Annah Arendt aveva coniato la formula della “banalità del male”. Levi diceva di non aver visto mostri nei lager, ma solo gente mediocre, sia negli oppressori, che obbedivano ad ordini dall’alto, sia nei collaborazionisti che, schiacciati dalla violenza quotidiana, cercavano di ottenere qualche vantaggio. In ogni caso, come fare a ergersi a giudice di questi comportamenti? Come possiamo constatare anche in politica, il rischio delle avanguardie rivoluzionarie è quello di rimanere staccate dalle masse e potere per questo perire se non riescono a coinvolgerle nell’utopia. La stessa cosa deve essere intervenuta nella comunità cristiana dei primi tempi che si è sentita coinvolta nell’annuncio dell’arrivo dei “tempi nuovi”. L’entusiasmo spingeva i cristiani delle origini verso una fede intensamente vissuta e capace di sopportare i rischi e le persecuzioni senza cedimenti.

Questo grande entusiasmo era spiegabile però solo sulla base della credenza nel prossimo ritorno di Cristo sulla terra. Ma quando poi l’attesa si è allungata, quando la certezza di vivere nell’era messianica ha iniziato a scomparire, è diventato necessario fondare delle strutture organizzative che consentissero la prosecuzione dell’esperienza. La burocratizzazione possiede naturalmente il rischio di comportare corruzione e abusi, ma in sé è un elemento essenziale per la vita di qualsiasi movimento. C’è bisogno di persone di moralità elevata che prendano il compito politico come una missione ma chi ha a cuore la prospettiva dell’emancipazione dei deboli, deve imparare a fare i conti con la fragilità che caratterizza l’essere umano e non limitarsi a guardarla dall’alto. La lezione allora che si può ricavare è questa: “dobbiamo sperare di avere grande forza morale, ma questa forza non deve mai portarci a liquidare la nostra capacità di parlare con tutti e di provare a capirne le ragioni… la cosa peggiore che si può fare è lasciare l’altro uomo solo, perché prima o poi alla sua porta busserà l’ombra del Grande Inquisitore” (Franco Cassano “L’umiltà del male”). (Altri riferimenti da Gustavo Zagrebelsky: “La leggenda del grande Inquisitore”)