Su Vito Mancuso e papa Bergoglio di D.Bilotti

Domenico Bilotti
http://approccicritici.blogspot.it

Su “la Repubblica” del 24 Aprile 2014, l’affermato ed erudito teologo Vito Mancuso si lancia in una velocissima dissertazione sul concetto di santità nella tradizione cristiana, nelle altre esperienze monoteistiche e nelle appartenenze spirituali di origine asiatica (hinduismo e buddhismo soprattutto). Se pure in essa vengono rilevati alcuni profili di diritto interno alle confessioni religiose, in materia di santità, che la corrente antropologia religiosa ha sostanzialmente saputo ricostruire con apprezzabile precisione e accuratezza filologica, i temi dell’articolo sfumano, poi, in una riflessione sul recupero di una certa dimensione del pontificato di Francesco, vista “dal basso”, come istanza partecipativa, comunque da attuare e comunque meritoria.

Pochi cenni ai limiti della prospettazione veicolata in materia di tendenze abramitiche e “religioni del Libro”. Ad esempio, il deficit del quid “Santità” nel percorso teologico islamico certamente può essere compreso tenendo distinte le categorie concettuali del divino e dell’umano -come fa Mancuso, ma tale deficit va considerato con più profondità di una mera schermatura ed incomunicabilità. Assai più affascinante, secondo un filone di studi che in Italia ad esempio troviamo non occasionalmente articolato negli studi, capire se questa dimensione della “santità”, sottratta all’umano, vada o non vada incanalata nel contraddittorio, ma talora eccezionalmente proficuo, rapporto tra piano collettivistico (o, comunitaristico) e individualistico (o, personalistico).

E, ancora, potremmo dire che la posizione di Mancuso sulla limitata presenza di un riferimento alla santità, nella cultura protestante, sia parziaria. Particolarmente rispettosa, comunque sia, come nello stile di Mancuso, che ha scritto in almeno un paio dei suoi precedenti lavori monografici pagine eccezionali sul contributo di alcune figure teologiche della cultura protestante; tale posizione, tuttavia, racchiusa entro un preciso orizzonte ermeneutico luterano per cui la teologia protestante muove da un’antropologia pessimistica (perché per Lutero si è sempre “simul iustus et peccator”).

Eppure, la ricchezza della riflessione protestante non per forza si conclude nel sistema dell’interpretazione scritturale luterana e non è detto che essa viva come un limite sfiancante e, in senso lato, “millenaristico” la mancata radicabilità del male persino dal migliore dei giusti. L’accettazione del malus non è il salto “ad bonum”, però non è ancora inequivocabile affermazione del malus, anzi…

Convince, assai di più, la critica che Mancuso pone sulla prassi invalsa, tradotta, volta per volta, in procedure giuridiche ecclesiali, da parte del Papato di canonizzare assai frequentemente propri esponenti, secondo logiche che paiono rispondere, più che alla riflessione sul carisma o sull’ecclesiologia vitale di una Chiesa popolo di Dio, alla gestione (tutta politica) del dinamiche del consenso.

E bene fa Mancuso a sottolineare i dubbi del Cardinal Martini su canonizzazioni intempestive, cogliendo un elemento che nell’analisi del compianto cardinale restava meno esplicito: la canonizzazione esprime ancora una volta una valutazione, trasferibile in negativo (si decide chi resta escluso, anche se l’opinione comune identificherebbe quell’uomo in quanto santo e martire, martire e santo, ovvero: vittima, testimone, esempio). E allora, proiettando fino in fondo lo spunto di Mancuso, teniamoci qualche valutazione critica sulle canonizzazioni parallele del presente.

Un Papa semplice, conciliare, il Roncalli, che nelle prime battute veniva pur stigmatizzato da alcuni detrattori per la sua estraneità alle sottigliezze curiali e alle valutazioni di limite, contrasto e supremazia a danno dei poteri profani, e un Papa per qualcuno “teologo da campo”, ma di enorme successo mediatico, “trotamundo”, suo malgrado esponente di una Chiesa sfarzosa e talora gerarchicamente acritica (almeno fino alla prima metà degli anni Novanta), Giovanni Paolo II. La fortuna di entrambi, ci fa capire Mancuso, più che sanzione assembleare e popolare, essa stessa, forse, rispose, risponde o risponderà a dettami finanche involontari di politica ecclesiastica.