Pace, pace, pace!

Giovanni Sarubbi
www.ildialogo.org

E’ passato appena un mese dall’incontro di preghiera promosso da Papa Francesco per la pace in medio oriente. Era l’otto giugno scorso. La parola fra israeliani e palestinesi è di nuovo alle armi. La striscia di Gaza è di nuovo sotto attacco. L’esercito israeliano si prepara alla sua invasione.

Per scatenare l’ennesima guerra è stata messa in atto una provocazione finalizzata all’elevamento della tensione fra palestinesi e israeliani: prima sono stati rapiti e uccisi tre ragazzi israeliani, poi è toccato ad un palestinese. E’ un classico della guerra. Si creano ad arte “casus belli” per dare la parola alle armi.

Opposte fazioni estremiste avrebbero compiuto questi omicidi. A pagarne le conseguenze, non saranno però gli estremisti che li hanno compiuti ma la popolazione civile palestinese e israeliana che ora sono ostaggio dei rispettivi bombardamenti. In pochi giorni di guerra sono già centinaia le vittime a Gaza, soprattutto bambini.

Nell’editoriale che avevo scritto su Il Dialogo in occasione dell’incontro di preghiera in vaticano dell’otto giugno, auspicavo la preghiera dei fatti e non quella delle parole. Sono rimaste le parole, vuote ed inutili, le invocazioni a Dio false ed ipocrite. I fatti parlano ancora di guerra, di morti, distruzioni, odio su odio.

Ed il motivo è semplice: la pace dipende dagli uomini, dai governi, dai parlamenti, dai popoli e non dal Dio posto nell’alto dei cieli.

E i governi spendono miliardi e miliardi di euro in armamenti. Ventuno paesi europei hanno fornito armi ad Israele dal 2008 al 2012 per un miliardo e 160 milioni di euro. Fra questi paesi, la cattolicissima Italia ha contribuito ad armare Israele per quasi 500 milioni di euro divenendo, come documenta la Rete Disarmo, il principale fornitore armato di Israele.

Il nostro paese, che ha scritto nella propria Costituzione il ripudio della guerra, è uno dei principali paesi produttori di armamenti, che guadagna sulle guerre, sulle morti, sulle distruzioni.

E quando un paese è pieno di armi, la guerra è sicura, e le provocazioni necessarie a scatenarla non ci vuole nulla ad organizzarle per chi possiede le armi e i soldi necessari ad armare e pagare assassini prezzolati. E ce ne sono purtroppo molti in giro per il mondo.

In queste ore stiamo ricevendo da numerosi lettori lettere piene di sgomento per ciò che sta accadendo. Ci si sente impotenti nonostante tutti i propri sforzi a costruire iniziative per la pace. Ed in questi mesi molte ce ne sono state in diverse parti d’Italia e molte noi stessi ne abbiamo documentate.

Non ci sono reazioni di massa alla guerra. Questo è il dato che lascia sgomenti. Bisognerà capire perchè e cosa si deve fare per invertire tale tendenza. In queste occasioni gli strumenti di distrazione di massa funzionano a tutto spiano. La cultura della guerra è inoltre diffusa in ogni spot pubblicitario.

In questo mese, il campionato mondiale di calcio è stato usato sia come un potente soporifero, sia come strumento per scardinare il Brasile e tentare di riportare quel paese di nuovo sotto le grinfie del capitale nord-americano. Anche il calcio diventa uno strumento di guerra.

Ci vorrebbero oggi milioni di persone che occupassero le piazze di fronte ai rispettivi parlamenti nazionali, alle prefetture, ai palazzi comunali e innalzassero la bandiera della pace su ognuno di questi palazzi.

Ci vorrebbero migliaia e migliaia di consigli comunali che approvassero ordini del giorno che chiedessero l’immediata cessazione di ogni conflitto, con l’immediato ritiro di ogni soldato italiano da qualsiasi fronte di guerra, e l’immediato blocco all’esportazione di qualsivoglia tipo di armamenti. E a chiedere queste cose dovrebbero essere milioni e milioni di persone.

Solo così si potranno fermare le guerre. Solo così si potranno avere decine e decine di capi di stato che assumano la decisione di fermare la guerra e di avviare concrete politiche di pace.

Noi diciamo a quanti oggi sono sgomenti e si sentono impotenti, di non abbattersi e di tirare su di nuovo la bandiera della pace. Dobbiamo essere più forti e intelligenti dei militaristi e dei guerrafondai, di chi produce armi e si ciba della morte e del dolore di milioni e milioni di vittime.

Ci auguriamo che i grandi leader religiosi, come ha fatto e sta facendo ancora Papa Francesco, facciano sentire forte la loro voce togliendo qualsiasi alibi religioso alle guerre, assumendo decisioni coraggiose che rendano chiaro in modo inequivocabile il proprio ripudio della guerra.

L’impegno per la pace, la cessazione di ogni guerra e la fine della produzione di armamenti, è un impegno di lunga durata. Millenni di cultura bellicista non si possono cancellare dall’oggi al domani. Ci vorrà un lavoro di più e più generazioni per giungere alla eradicazione completa della guerra dall’orizzonte dell’umanità. Ma tutti dobbiamo avere la coscienza che è possibile farlo e che così sarà, pena la distruzione completa dell’umanità.

Di nuovo allora in piedi costruttori di pace.

Pace, pace, pace!