Somalia senza pace

di Eugenio Roscini Vitali
da www.altrenotizie.org

La Somalia è certamente una delle aree più instabili del pianeta, una regione devastata dalla carestia e dalla costante presenza della violenza, un fattore al quale la popolazione civile sembra essersi ormai rassegnata, abbandonata a se stessa come in un incubo che, giorno dopo giorno, si consuma negli scontri di potere, nelle battaglie per il controllo dei quartieri e dei villaggi, nelle lotte tra fazioni e nelle leggi imposte con la forza.

Sono ormai tre anni che le milizie islamiche Al-Shabaab guidate da Moktar Ali Zubeyr, e il gruppo radicale Hizbul Islam di Hassan Aweys, hanno in pugno gran parte del paese, da quando l’ex capo delle Corti islamiche, Sheikh Sharif Ahmed, si è schierato della parte del Governo di Transizione ed ha così perso ogni credibilità agli occhi dei somali. Tre anni di combattimenti durante i quali Washington e l’Unione Africana hanno sostenuto una leadership divisa e impotente, schiava degli interessi personali e delle lotte tra i clan.

Tre anni che vanno ad aggiungersi ad un conflitto ventennale e alla tragedia di un popolo perseguitato dall’angheria dei regimi, dai processi sommari e dalle punizioni spietate; un popolo costretto a fuggire da una Mogadiscio ormai in rovine, sotto la costante minaccia del fuoco incrociato degli AK-47, dei colpi di mortaio da 82 mm e delle Tecniche, le micidiali mitragliatrici montate sul retro dei Toyota pick-up.

In quello che molti definiscono “l’eterno conflitto”, la violazione dei diritti umani è crimine di tutti i giorni. Un crimine che subisce gran parte della popolazione da parte di tutte le parti in lotta, un bollettino di morte che si rinnova di giorno in giorno. All’uso indiscriminato di armi pesanti e ai bombardamenti sferrati dalle truppe “regolari” del Governo di Transizione e dai suoi alleati, fanno da contraltrare gli attacchi dei miliziani contro i civili e contro gli operatori umanitari, prigionieri spesso degli scontri che, nella capitale, nel Middle Shabelle e nelle regioni centrali di Galgadud e Bakol, vedono di fronte Al-Shabaab e Ahlu Sunna Waljama’a, il gruppo paramilitare che nel marzo scorso ha sottoscritto un accordo con il governo somalo.

Si calcola che dal gennaio 2007, nella sola Somalia centro-meridionale, le vittime civili sono circa 16 mila, più di 1,4 milioni gli sfollati, quasi 3,5 milioni le persone dipendenti dagli aiuti alimentari di emergenza distribuiti dalle organizzazioni umanitarie, gran parte dei quali andati distrutti a causa della guerra. Inoltre, sarebbero più di 20 mila i somali fuggiti in Kenia, Etiopia, Yemen e negli altri paesi confinanti.

A Mogadiscio le ondate di violenza continuano a provocare la fuga di migliaia di persone e le Nazioni Unite stimano che negli ultimi sei mesi almeno 100 mila civili hanno abbandonato la capitale per rifugiarsi nei campi profughi situati 30 chilometri più ad ovest, nel corridoio di Afgooye, dove sono già ospitati più di 300 mila sfollati. Negli ultimi mesi i bombardamenti sarebbero sempre più frequenti e ad aprile avrebbero perso la vita almeno 50 persone, per la maggior parte civili, alcuni dei quali bambini. I violenti gli scambi di artiglieria tra Al-Shabaab e gli uomini fedeli al Governo di Transizione interessano soprattutto la periferia settentrionale della città, le piazze di Dabka e Talibunka e il quartiere di Hodan, dove la settimana scorsa i mujahidin hanno affrontato i caschi verdi dall’Amisom, la missione di pace dell’Unione Africana in Somalia.

Da alcuni giorni si sta assistendo poi a un diverso tipo di violenza: gli atti di terrorismo contro i luoghi di culto. E’ una strategia del tutto nuova per lo scenario somalo che cerca di abbassare il livello di consenso fino ad ora ottenuto da Al-Shabaab a Mogadiscio dimostrandone la vulnerabilità. Due gli attacchi registrati negli ultimi giorni: la mina fatta esplodere il 27 aprile nella moschea di Abu Hureya e il duplice attentato che il 1° maggio ha colpito il mercato di Bakara e la moschea di Abdalla Shideye e che ha causato 39 morti ed almeno 70 feriti, alcuni dei quali gravissimi. Un’azione portata durante la consueta preghiera di mezzogiorno, quando il quartiere era gremito di fedeli, e che aveva come obiettivo primario un alto dirigente del movimenti islamico, Fuad Mohamed Khalaf, noto come Fuad Shongole.

Secondo l’organizzazione mondiale della sanità, durante i combattimenti non esiste alcun rispetto per la sicurezza dei civili e le strutture sanitarie non riescono ad assistere tutti i feriti; gli ospedali che sorgono nell’area di Mogadiscio sono in grave difficoltà e la carenza di dottori, infermieri qualificati e medicinali è ormai cronica. Per chi vive nelle zone stabilmente controllate dai radicali islamici le cose non vanno comunque meglio e le organizzazioni per i diritti umani parlano di processi sommari e di brutali forme di repressione.

Al-Shabaab vieta la mescolanza tra i sessi e, se le donne escono di casa senza indossare un particolare tipo di abaya, l’indumento femminile utilizzato nei paesi musulmani, vengono arrestate o punite con 10 frustate, anche se l’indigenza delle famiglie non permette l’acquisto dell’abito. Proibito l’uso di campanelle nelle scuole perché troppo simili a quelle usate nelle chiese cristiane; i ragazzi devono frequentare le duksi, le scuole coraniche e, ancora adolescenti, vengono costretti ad arruolarsi. Proibito il cinema, la musica e la visione delle partite di calcio e chi non si piega alle leggi imposte dal gruppo o non collabora con le autorità rischia di veder colpiti anche i parenti più stretti. I capelli lunghi e l’abbigliamento occidentale (bastano un paio di pantaloni lunghi) viene punito con l’umiliazione pubblica, così come non è tollerato non frequentare regolarmente la moschea o simpatizzare per il Governo di Transizione, un “reato” che comporta la pena di morte.

Gravissime poi le azioni contro i media e le organizzazioni umanitarie, con omicidi e sequestri di molti operatori e giornalisti: bloccate le trasmissioni radiofoniche di Voice of America e della BBC perché accusate di diffondere propaganda cristiana a favore dei nemici dei musulmani; sequestrate le attrezzature del media britanno a Mogadiscio, Beledweyn, Baidoa e in due località dello Shabelle; minacciate le radio locali che ritrasmettono i programmi non autorizzati; colpita la seda dell’emittente satellitare al-Jazeera, centrata da un razzo lanciato il 29 aprile scorso contro gli uffici di Mogadiscio; numerosi gli operatori umanitari uccisi o rapiti, come i quattro somali che collaborano con l’associazione Stella bianca, nelle mani degli estremisti dal 3 luglio 2008.