Buongiorno, ecco la croce per le donne

Maria Mantello
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“Si è liberata nel martirio”, ha detto il parroco al funerale di Immacolata Maria Rumi, la donna uccisa dalle percosse del marito. 35 anni di matrimonio, 35 anni di violenza continua e feroce che lei non aveva mai denunciato. E neppure nessuno dei familiari, che quella morte accolgono senza eccessiva sorpresa: «Non si registrano reazioni tipiche dinanzi a una morte del tutto improvvisa, – dichiara il Gip – ma viceversa una certa disperata rassegnazione ad un epilogo quasi annunciato».

Al pronto soccorso degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, Immacolata se la sono vista arrivare alle 7 di mattina di sabato 4 maggio, accompagnata dal marito stesso che continua a prometterle altri pugni, anche lì, se non sta buona. La poveretta ha il volto tumefatto, piegata in due per il dolore (costole rotte, milza gravemente compromessa, come poi evidenzia l’esame autoptico), dopo poco muore per arresto cardiocircolatorio. O meglio per femminicidio.

Stefano Lefaca, questo il nome del marito padrone, la prendeva a schiaffi e calci e anche a bastonate. Sono i figli che lo dicono. «Andava su tutte le furie – spiega uno di loro – solo perché mia madre gli rispondeva».

Sposo padrone, moglie sua proprietà. Oggetto muto e obbediente. Un modello patriarcale indecente che continua a veicolare, sotterraneo e omertoso. Perché di certe cose ormai ci si vergogna. Ma stanno lì arcaiche e maligne. Esplodono nella violenza, reiterata, continuata, omicida: possesso massimo, ti distruggo perché sei mia.

Un modello che considera normale che la donna si sacrifichi e magari neppure si lamenti.
Un modello sedimentato per secoli: “buona, paziente e generosa verso il marito”, come quello portato ad esempio da S. Agostino: sua madre Monica, che ricordava alle donne come il marito fosse il loro padrone comunque: «Giunta in età matura per le nozze, fu consegnata a un marito che servì come un padrone. […] Tollerò gli oltraggi del letto coniugale in modo tale da non avere il minimo litigio per essi col marito. Aspettava la tua misericordia, che scendendo su di lui gli desse insieme alla fede la carità […]. Molte altre signore, pur sposate a uomini più miti del suo, portavano i segni delle percosse che ne sfiguravano addirittura l’aspetto, e nelle conversazioni tra amiche deploravano il comportamento dei mariti. Essa [Monica] deplorava invece la loro lingua, ammonendole seriamente: dal momento, diceva, in cui si erano sentite leggere il contratto matrimoniale, avrebbero dovuto considerarlo come una sanzione della propria servitù». (Confessioni, IX 9, 19)

Sono passati diversi secoli, ma questo putridume patriarcale continua a veicolare nella sedimentazione delle pulsionalità, a cui indirettamente possono dare giustificazione anche certi predicozzi come quelli del parroco che metabolizza il femminicidio di Immacolata in sacrificio. È restata lì. Per la famiglia, per i figli (ben 6), ha sopportato la croce.

Altro che emancipazione e autodeterminazione! Il patriarcato resta la gabbia per continuare a rinserrare la donna nel ruolo di donna fattrice.

E il primo buongiorno politico di papa Bergoglio va tutto in questa direzione, visto il plauso dato domenica 12 maggio ai Pro-life che anche quest’anno in coincidenza con la festa della mamma hanno replicato la loro marcia su Roma in “sacra” compagnia: suore, francescani dell’Immacolata, Orionini, parrocchie, militanti di Forza nuova e Militia Christi.

Papa Bergoglio ha ringraziato da S. Pietro chi difende la vita fin dal suo concepimento e ha chiamato alla mobilitazione europea per il riconoscimento giuridico dell’embrione ricordando anche che a giugno sarà celebrata la Giornata dell’Evangelium Vitae.

Già, proprio l’Evangelium vitae, l’inno di crociata di papa Wojtyla contro l’autodeterminazione delle donne per farne le eroine del sacrificio: «A tale eroismo del quotidiano appartiene la testimonianza […] di tutte le madri coraggiose, che si dedicano senza riserve alla propria famiglia, che soffrono nel dare alla luce i propri figli. […] Nel nome del progresso e della modernità vengono presentati come ormai superati i valori della fedeltà, della castità, del sacrificio, nei quali si sono distinte e continuano a distinguersi schiere di spose e di madri cristiane». (Evangelium vitae, IV, 86)

Già, schiere di spose e madri cristiane, votate al dono per l’altro, accudenti per vocazione, come sempre Wojtyla loro ricordava: «É infatti specialmente nel suo donarsi agli altri nella vita di ogni giorno che la donna coglie la vocazione profonda della propria vita […] In questo modo, si realizza nella storia dell’umanità il fondamentale disegno del Creatore (Lettera alle donne, 12).

Tra queste sacralizzate stereotipie e il femminicidio attuale forse c’è qualche nesso.

Bisogna che ognuno si assuma le sue responsabilità, perché non ci siano più le tante Immacolata Maria, che compagni-padroni vogliono mute e obbedienti, oggetti di riproduzione e di servizio.