Egitto, gli attivisti di Rebel: “Cacceremo Morsi, la rivoluzione è nostra”

Giovanna Loccatelli
L’Huffington Post31 maggio 2013

“Abbiamo in serbo una grande sorpresa per Morsi: il 30 giugno manifesteremo davanti al palazzo presidenziale e lo cacceremo.” Alza la voce Maroof, uno degli attivisti della campagna ‘Rebel’ – ‘tmrood’ in arabo- movimento egiziano che ha raccolto, in soli due mesi, oltre 7 milioni di firme per chiedere che venga sfiduciato il presidente e che si vada a nuove elezioni.

L’obiettivo della campagna è di raccogliere 15 milioni di firme entro il 30 giugno. La loro forza – non lo nascondono – sta nel canalizzare le simpatie di chi, oggi sfiduciato, ha votato il candidato dei Fratelli musulmani alle ultime presidenziali : “non chiamateli musulmani, i Fratelli; perché anche noi siamo musulmani ma non ci riconosciamo in loro. Molti islamisti non vogliono più Morsi: anche numerosi giovani sostenitori della Fratellanza sono dalla nostra parte”, incalza Maroof.

L’incontro si svolge nel loro covo, al quarto piano di un palazzo a due passi da Piazza Tahrir. L’appartamento è sommerso di scatoloni pieni zeppi di moduli firmati. Per terra, invece, decine di lattine vuote di coca cola, scarpe gettate negli angoli e cicche di sigarette sparse sul pavimento.

“Come puoi vedere, lavoriamo qui tutti i giorni: mattina, sera e notte. Il governo lo sa e sta tremando”, pressa l’attivista.

Alla domanda sul perché hanno scelto questo nome – ‘Rebel’, ossia I Ribelli – interviene Moheb Doss, uno dei leader, che durante la prima mezz’ora dell’incontro ha scrutato con attenzione i nuovi arrivati: “L’idea del nome viene da un nostro amico siriano. Ci è piaciuta. Noi siamo i veri rivoluzionari, quelli che erano in prima linea a piazza Tahrir due anni fa. Oggi ci vogliamo riappropriare della rivoluzione, scippata dai Fratelli”.

Doss fuma incessantemente, in poco tempo finisce un pacchetto di Marlboro light. Tra una sigaretta e l’altra, aggiunge: “Siamo in 5 ad aver fondato questa campagna che è partita il 28 aprile scorso e quasi tutti proveniamo dal movimento Kifaya. In un secondo momento si sono aggiunti altri attivisti del gruppo ‘6 aprile’ e gli ultras. L’idea del progetto, invece, affonda le radici dagli atti di disobbedienza civile degli ultimi mesi, portata avanti ad Alessandria, Port Said e anche qui Cairo”.

Doss ci tiene a sottolineare che almeno metà del comitato centrale al Cairo è composto da donne : “Il consiglio è formato da 25 membri, tra cui 12 donne. Poi ci sono i rappresentanti di ciascun governatorato che, di volta in volta, vengono al Cairo per aggiornarci sulla situazione – e gli stati d’animo- sul territorio. Abbiamo, inoltre, 9 mila volontari in tutto il Paese. Di certo, siamo una macchina ben organizzata e motivata; diamo molto peso anche ai nuovi media: su Twitter rispondiamo alle domande dei cittadini e su Facebook organizziamo e diffondiamo le nostre iniziative”.

È evidentemente molto orgoglioso del lavoro che hanno svolto in così poco tempo: “Nei primi 10 giorni della campagna abbiamo ottenuto più di due milioni di firme”, spiega Moheb, accennando un sorriso, intriso di evidente entusiasmo e malcelata preoccupazione in vista dei prossimi eventi.

Poi prende in mano uno dei volanti ed elenca, leggendoli ad alta voce e con piglio deciso, i motivi per cui – secondo i Rebel – Morsi deve lasciare la sua carica: “La sicurezza non è tornata per le strade; la situazione per i più poveri sta degenerando, tra un po’ non avranno neanche più il pane per sfamarsi a fine giornata; l’unica cosa che il Presidente sa fare è chiedere elemosina agli altri paesi; non è stata fatta giustizia per la morte dei martiri; l’Egitto sta ancora seguendo la politica americana e noi non lo vogliamo”.

Poi alza lo sguardo e spiega: “Quelli che tra di noi hanno votato alle ultime elezioni presidenziali (molti si sono rifiutati), hanno dato la preferenza a Morsi. Era un voto obbligato all’epoca: l’avversario, Shafiq, era un rappresentante del vecchio regime. Da noi osteggiato fino alla morte”.

Il leader del Gruppo sorseggia del tè e torna a parlare delle riunioni, che si svolgono tutti i giorni: “Quotidianamente arrivano nel quartier generale i report dalle altre città egiziane. In modo che sappiamo quello che succede anche fuori la capitale”. Spiega che tutti fanno tutto ma che, piano pian che si avvicina la data del 30, il lavoro si fa sempre più strutturato e ritmato: “per velocizzare i compiti, ci siamo divisi il da farsi: c’è chi si occupa della stampa; chi della segreteria; chi raccoglie e ordina i moduli che arrivano; chi contatta le persone; chi organizza i flash mob per strada, insomma siamo una macchina che sta lavorando molto bene, non mancheremo il nostro obiettivo”.

L’attivista risponde in continuazione al telefono che squilla ininterrottamente. E riguardo alle sue aspettative future, la replica è immediata “continueremo finché Morsi non lascerà. Vedi, non è cambiato nulla dai tempi di Mubark, tranne una cosa: prima gli uomini dell’ex Rais fumavano il sigaro. Ora gli uomini di Morsi tengono in bocca lo stuzzicadenti”. Conclude sorridendo, mentre tutti gli attivisti in stanza annuiscono in segno di approvazione.

Tra un via vai continuo di attivisti, la conversazione si concentra sul tema dei finanziamenti: “l partiti del Fronte di Salvezza Nazionale hanno firmato i nostri moduli e appoggiano la nostra causa. Ma noi – sottolinea l’attivista – siamo un gruppo autonomo. L’opposizione ci dà sì una mano sovvenzionando alcune nostre attività e mettendoci a disposizione alcune stanze nelle loro sedi. Ma i nostri finanziatori principali sono soprattutto i cittadini”. Si ferma, fa un sospiro e conclude : “Noi chiediamo, sempre e in tutte le occasioni pubbliche, più aiuti concreti che soldi: abbiamo bisogno di gente che lavori con noi e sostenga le nostre istanze”.

Infine non nasconde, accennando una smorfia di insofferenza in volto, che hanno ricevuto, recentemente, diversi ricatti dai sostenitori della Fratellanza: “Ci hanno intimato, in tutti i modi, di abbandonare il nostro lavoro. L’altra sera uno di loro mi ha chiamato al telefono e – senza che io pronunciassi verbo – mi ha minacciato, dicendomi: ‘chi farà le manifestazioni verrà ucciso o rapito’ e poi ancora: ‘attenti alle vostre donne, se continuate nelle azioni sovversive’. Sono passati pure dalle parole ai fatti: hanno messo alcuni numeri delle attiviste del gruppo su delle hot-line che si trovano in rete; le ragazze hanno cominciato a ricevere telefonate oscene da persone sconosciute. Per concludere – e questo è il colmo – ci sono arrivate un paio di denunce, questa volta da un membro della Fratellanza, per aver insultato l’Islam. Ecco, pura fantascienza – conclude alzando il tono di voce Doss – anche noi siamo musulmani, ma la politica, quella vera, è un’altra cosa”.