Parrocchie vuote… Chiesa da riformare

intervista ad Helmut Schüller a cura di Marco Politi
il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2013

Il grido di dolore dei parroci plana sul conclave. “I preti sono frustrati, le parrocchie perdono la loro
vitalità. I cardinali in conclave – dice don Helmut Schüller, parroco alle porte di Vienna – ascoltino
la domanda di riforme che sale dal popolo di Dio”.

È il grande problema che vescovi e cardinali conoscono perfettamente, ma rispetto al quale da 35
anni non si muove un dito.I preti mancano, le vocazioni non bastano, le parrocchie si svuotano.

Don Schüller, fondatore della “Iniziativa dei Parroci” che in Austria raccoglie quattrocento sacerdoti
su tremila, ha lanciato nel 2011 l’Appello alla Disobbedienza. Un manifesto che impegna gli
aderenti a lottare per la riforma della Chiesa, a non rifiutare la comunione ai divorziati risposati, a
lasciare tenere la predica anche ai fedeli che sono preparati, a non lasciare scoperte parrocchie senza
parroco affidandole alla guida di un fedele (uomo o donna che sia), a rivendicare il sacerdozio per le
donne e gli sposati.

Così, esposto con semplicità, il programma di riforme è diventato la punta di diamante di analoghe
richieste in altre parti del mondo cattolico. “Ci hanno telefonato persino dall’America latina e
dall’Asia”, dice il 60enne Schüller, ordinato prete nel 1977 e dal 1995 al 1999 vicario generale della
diocesi di Vienna, licenziato dal cardinale Schoenborn per “profonde divergenze di opinione”.
Lo stesso Benedetto XVI è rimasto impressionato da questo simbolico assalto alla Bastiglia
dell’immobilismo vaticano e nella celebrazione del Giovedì Santo del 2012 non ha negato la buona
fede di quanti “affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa, convinti che si debba
affrontare la lentezza delle istituzioni con mezzi drastici”. Poi però ha ribadito in maniera
“irrevocabile” il no al sacerdozio femminile e ha scandito: “La disobbedienza è una via per
rinnovare la Chiesa?”. Domanda retorica. Non e no su tutta la linea. Eppure, ascoltando il racconto
pacato di questo parroco nel villaggio dal nome azzeccatissimo di Probstdorf (Villaggio del
prevosto), ci si accorge che radicale è la realtà piuttosto che il programma.

Don Schüller, da dove siete partiti?
Da quanto accade sul territorio. In Austria come in Italia, in Europa e tante altre parti del mondo, la
carenza di parroci porta ad accorpare le parrocchie. Tre, quattro, cinque parrocchie sotto un unico
parroco. Nella regione del Burgenland anche 19 località affidate ad un solo curatore d’anime.

E cosa succede?
Il prete perde i contatti con i fedeli, si sposta continuamente per celebrare i sacramenti, dedica la
maggior parte del tempo a problemi organizzativi e le singole parrocchie restano parecchie
settimane senza eucaristia. ‘Comunità e comunione’ diventano un fatto impossibile. La gente
quando incontra il parroco, già lo previene dicendo: Reverendo, so che lei ha poco tempo!

Risultato?
I parroci diventano frustrati, insoddisfatti, non conoscono più a fondo i propri fedeli e hanno
l’impressione di riuscire a svolgere solo un lavoro superficiale.

Ne ha parlato anche con preti italiani?
Sentono lo stesso problema con l’accorpamento delle parrocchie , ma si sfogano sottobanco.
D’altronde lo stesso fenomeno si verifica in tante altre parti del mondo.

Pensate di risolverlo con il clero sposato? Nei paesi protestanti non è che le vocazioni
siano cresciute.

Non ci facciamo illusioni, ma pensiamo che sia sano permettere la libertà di scelta riguardo a un
clero sposato o celibatario. Molti modi di vita indegna verrebbero evitati. E già adesso vi sono nelle
parrocchie tanti uomini e donne, provenienti dalle professioni più varie e impegnati in funzioni di
guida nelle parrocchie, che sarebbero adatti a svolgere funzioni sacerdotali.

Per esempio?
Oh, sono tanti. Si va dal poliziotto alla madre di famiglia. Già ora questi fedeli si curano della
preparazione per la cresima o il matrimonio, portano la comunione, tengono corsi biblici, preparano
la liturgia, presiedono ai riti funebri e, dove mancano i parroci, guidano in chiesa la ‘liturgia della
Parola’. Il punto è che i fedeli di una parrocchia hanno diritto alla celebrazione eucaristica.

Dunque è necessario che anche le donne siano chiamate al sacerdozio ?
Le donne sono l’elemento portante della vita parrocchiale odierna. Direi che la maggioranza dei
fedeli impegnati al servizio di una parrocchia sono donne.

Non è l’unica vostra richiesta.
Pensiamo sia giusto dare la comunione ai divorziati risposati, celebrare la cena eucaristica con i
fratelli e sorelle evangelici e considerare con rispetto le coppie omosessuali perché ciò che conta
non è l’orientamento sessuale, ma la serietà dell’impegno di fedeltà e di vita insieme, che due
partner si assumono anche senza le nozze benedette in chiesa. A queste coppie diamo la comunione
e pensiamo non vadano condannate.

Avete provato a parlare di questi argomenti con l’episcopato austriaco?
Abbiamo incontrato una serie di nostri vescovi nel 2006. Ci hanno detto che le questioni andavano
risolte in Vaticano. Siamo venuti a Roma e le Congregazioni hanno rifiutato di riceverci. Poi
abbiamo avuto un incontro alla Congregazione per la Dottrina della fede: ci hanno rimandato ai
vescovi di casa nostra. Allora abbiamo capito che la nostra obbedienza serviva solo a soffocare le
riforme. Perciò è nato l’Appello alla Disobbedienza.

Che messaggio manderebbe ai cardinali riuniti in conclave?
É venuto il tempo di una Chiesa in cui ci sia co-decisione a tutti i livelli e in cui i responsabili si
abituino a rendere conto alla comunità. Chiederei di aprire una stagione di riforme, caratterizzata
dall’apertura alla società moderna, dal progresso ecumenico, da un ripensamento di ciò che
significa dottrina morale e da una revisione del linguaggio con cui annunciare la fede. Insomma
chiederei di muoversi nello spirito del concilio Vaticano II.